6 APR 2022 · LIBRO PRIMO
CAPITOLO 1.
Riporta la prima strofa. Parla di due diverse notti per le quali passano gli spirituali, secondo le due parti dell’uomo, inferiore e superiore; e spiega la seguente strofa:
In una notte oscura
d’amorose ansie infiammata
o felice ventura!
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata.
1. In questa prima strofa l’anima canta la sorte felice e la fortuna che ebbe di uscire da tutte le cose esteriori, e dagli appetiti ed imperfezioni che vi sono nella parte sensitiva dell’uomo per il disordine della sua ragione. Per capir ciò occorre sapere che, affinché un’anima giunga allo stato di perfezione, ordinariamente prima deve passare attraverso due principali modi di notte, che gli spirituali chiamano purgazioni o purificazioni dell’anima. Le chiamiamo notti perché l’anima, tanto nell’una come nell’altra, cammina come di notte, allo scuro.
2. La prima notte o purgazione è della parte sensitiva dell’anima; di essa si tratta nella presente strofa e si tratterà nella prima parte di questo libro. E la seconda è della parte spirituale, della quale parla la seconda strofa che segue; e di essa pure tratteremo nella seconda e terza parte per quanto riguarda il suo aspetto attivo e, per quanto riguarda quello passivo, nella quarta.
3. E questa prima notte appartiene ai principianti allorché Dio comincia a porli nello stato di contemplazione, e di essa partecipa anche lo spirito, come diremo a suo tempo. E la seconda notte, o purificazione, appartiene a coloro che già sono profìcienti, allorché Dio vuole ormai porli nello stato dell’unione con Dio; e questa è purgazione più oscura e tenebrosa e terribile, come diremo dopo.
Spiegazione della strofa
4. In questa strofa l’anima vuole dunque dire che uscì — traendola Dio — solo per amore di lui, infiammata nel suo amore, in una notte oscura, che è la privazione e purgazione di tutti i suoi appetiti sensuali, nei confronti di tutte le cose esteriori del mondo e di quelle che erano dilettevoli alla sua carne, ed anche dei gusti della sua volontà . E tutto ciò avviene nella purgazione del senso. E perciò dice che uscì stando già la sua casa addormentata, cioè la parte sensitiva, essendo ormai tranquilli e addormentati in essa gli appetiti ed essa in questi. Infatti non si esce dalle pene ed angustie delle prigioni degli appetiti finché non si siano smorzati e addormentati. E questo significa che le fu felice ventura / uscire non notata, cioè senza che nessun appetito della sua carne né di altra cosa glielo potesse impedire. E inoltre perché uscì di notte, cioè privandola Dio di tutte queste cose, il che per lei era notte.
5. E questo fu felice ventura, ossia che Dio l’abbia posta in questa notte, donde le derivò tanto bene, e nella quale ella non avrebbe indovinato d’entrare, perché, da soli, non si riesce a vuotarsi di tutti gli appetiti per venire a Dio. 6. Questa è dunque la spiegazione della strofa. Ed ora dovremo proseguire scrivendo intorno a ciascun verso, spiegando ciò che ci proponiamo. E il medesimo stile si tiene con le altre strofe, come ho detto nel prologo: prima si riporterà ciascuna strofa e la si spiegherà , e poi si farà lo stesso con ciascun verso.
CAPITOLO 2
Spiega la natura di questa notte oscura attraverso la quale l’anima dice d’esser giunta all’unione. In una notte oscura.
1. Per tre motivi possiamo dire che si chiama notte questo passaggio dell’anima all’unione con Dio. Primo, a causa del termine donde l’anima esce, poiché deve procedere privando l’appetito di tutte le cose del mondo che possedeva, negandole; e questa negazione e privazione è come notte per tutti i sensi dell’uomo. Secondo, a causa del mezzo o cammino, attraverso cui l’anima deve andare a questa unione, cioè la fede, che pure è oscura per l’intelletto, come notte. Terzo, a causa del termine verso cui va, cioè Dio, il quale ugualmente in questa vita è per l’anima notte oscura. Queste tre notti devono passare attraverso l’anima o, per meglio dire, l’anima attraverso esse, per giungere alla divina unione con Dio.
2. Nel libro di san Tobia (6, 18-22) questi tre modi di notte si raffigurarono attraverso le tre notti che l’angelo comandò al giovane Tobia di lasciar passare prima d’unirsi con la sua sposa. Nella prima gli comandò di bruciare il cuore del pesce nel fuoco, che significa il cuore affezionato e legato alle cose del mondo, che, per cominciare ad andare verso Dio, bisogna bruciare, e purificare di tutto ciò che è creatura con il fuoco dell’amore di Dio. E con questa purgazione si mette in fuga il demonio, che ha potere sull’anima mediante l’attaccamento alle cose corporali e temporali.
3. Nella seconda notte gli disse che sarebbe stato ammesso nella compagnia dei santi patriarchi, che sono i padri della fede. Infatti, passando attraverso la prima notte, che consiste nel privarsi di tutti gli oggetti del senso, l’anima entra poi nella seconda notte, restando sola nella fede — non come escludente la carità , bensì le altre notizie dell’intelletto, come in seguito diremo —, che è cosa che non cade nel senso.
4. Nella terza notte l’angelo gli disse che avrebbe ottenuto la benedizione, cioè Dio, il quale, mediante la seconda notte, che è la fede, va comunicandosi all’anima tanto segretamente e intimamente che per essa è un’altra notte, in quanto tale comunicazione va facendosi molto più oscura delle altre, come poi diremo. E passata questa terza notte, che è compiere la comunicazione di Dio nello spirito, il che ordinariamente avviene in una grande tenebra dell’anima, segue poi l’unione con la sposa, che è la Sapienza di Dio. Come anche l’angelo disse a Tobia, passata la terza notte, si sarebbe congiunto con la sua sposa con timore del Signore; e quando il timore di Dio è perfetto, è perfetto l’amore, il che avviene quando l’anima si trasforma per amore.
5. Queste tre parti della notte sono una sola notte; la quale, come la notte, ha tre parti. Infatti la prima, quella del senso, si paragona alla prima notte, che è quando le cose scompaiono dalla vista. E la seconda, cioè la fede, si paragona alla mezzanotte, che è totalmente scura. E la terza infine, cioè Dio, è ormai vicinissima alla luce del giorno. Ma, per meglio comprendere, verremo trattando di ciascuna di queste cause per se stesse.
CAPITOLO 3
Parla della prima causa di questa notte, cioè la privazione dell’appetito in tutte le cose e della ragione per la quale si chiama notte.
1. Chiamiamo qui notte la privazione del gusto nell’appetito di tutte le cose; infatti, così come la notte non è altro che privazione della luce e, per conseguenza, di tutti gli oggetti che si possono vedere mediante la luce, onde la potenza visiva rimane allo scuro e senza nulla, così anche la mortificazione dell’appetito si può chiamare notte per l’anima, poiché, privandosi l’anima del gusto dell’appetito in tutte le cose, rimane come allo scuro e senza nulla. Infatti, così come la potenza visiva mediante la luce si ciba e pasce degli oggetti che si possono vedere, e, spenta la luce, non si vedono, così l’anima mediante l’appetito si pasce e ciba di tutte le cose che secondo le sue potenze si possono gustare; e quando l’appetito sia spento, o, per meglio dire, mortificato, l’anima cessa di pascersi nel gusto di tutte le cose e così rimane, quanto all’appetito, allo scuro e senza nulla.
2. Portiamo qualche esempio per ogni potenza. Quando l’anima priva il suo appetito nel gusto di tutto ciò che il senso dell’udito può dilettare, essa, quanto a questa potenza, resta allo scuro e senza nulla. E privandosi del gusto di tutto ciò che al senso della vista può essere gradevole, anche quanto a questa potenza resta allo scuro e senza nulla. E privandosi del gusto di ogni soavità di profumi che l’anima può gustare mediante il senso dell’olfatto, ugualmente quanto a questa potenza resta allo scuro e senza nulla. E negando anche il gusto di tutti i cibi che possano soddisfare il palato, l’anima vi resta allo scuro e senza nulla. E infine, se l’anima si mortifica in tutti i diletti e gradevolezze che possa ricevere dal senso del tatto, allo stesso modo quanto a questa potenza resta allo scuro e senza nulla. Dimodoché l’anima che avesse negato e allontanato da sé il gusto di tutte le cose, mortificando in esse i suoi appetiti, potremo dire che sta come di notte, allo scuro, il che non è altro che un vuoto in essa di tutte le cose. 3. La causa di ciò è che l’anima, come dicono i filosofi, non appena Dio la infonde nel corpo, è come una tavola rasa e liscia, sulla quale non sta impresso nulla; e se non fosse che viene conoscendo attraverso i sensi, per altra via naturalmente non le si comunicherebbe niente. Così, fino a che sta nel corpo, è come chi sta in uno scuro carcere, nel quale non si sa niente se non quello che si riesce a vedere dalle sue finestre, e se attraverso queste non si vedesse niente, niente si vedrebbe in altro modo. Così l’anima, se non fosse per ciò che le si comunica mediante i sensi, che sono le finestre del suo carcere, naturalmente non raggiungerebbe niente per altra via. 4. Pertanto, se essa rifiuta e nega ciò che può ricevere tramite i sensi, possiamo ben dire che resta come all’oscuro e vuota; infatti, come appare chiaro da quanto s’è detto, naturalmente non le può entrare luce da altri passaggi che da quelli detti. Infatti, sebbene in verità non possa cessare di udire, di vedere, di odorare, di gustare e di sentire, se però nega e rifiuta tutto ciò, l’anima non vi fa più caso e non ne è gravata più che se non vedesse né udisse, ecc.; così come chi vuol chiudere gli occhi resterà allo scuro come il cieco che non può vedere. E così dice David in proposito: Pauper sum ego, et in laboribus a iuventute mea. Che significa: «Io sono povero e in travagli fin dalla mia gioventù» (Sal. 87, 16).... (incompleto)