Andrea Molesini - Derek Walcott

Mar 18, 2017 · 16m 18s
Andrea Molesini - Derek Walcott
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Andrea Molesini traduttore di Derek Walcott Derek Walcott, poeta e drammaturgo santaluciano e premio Nobel per la Letteratura nel 1992, è morto a Cap Estate, sull’isola di Santa Lucia, a...

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Andrea Molesini
traduttore di Derek Walcott


Derek Walcott, poeta e drammaturgo santaluciano e premio Nobel per la Letteratura nel 1992, è morto a Cap Estate, sull’isola di Santa Lucia, a 87 anni. Il suo lavoro più famoso è Omeros (tradotto da Andrea Molesini), un poema epico di 300 pagine pubblicato nel 1990, che traspone la storia e i personaggi dell’Odissea di Omero a Santa Lucia, tra pescatori e un autista di taxi, ripercorrendo allo stesso tempo la storia del colonialismo e la tratta degli schiavi nei Caraibi. William Grimes lo racconta sul New York Times dicendo che la sua «poesia di metafore intricate ha catturato la bellezza fisica dei Caraibi, l’eredità del colonialismo e le complessità di vivere e scrivere in due mondi culturali».
L’opera di Walcott ruota soprattutto attorno alla definizione dell’identità caraibica e del suo denso e difficile multiculturalismo: lui stesso veniva da una famiglia di origini africane ed europee, come racconta nella poesia The Schooner Flight.

«I’m just a red nigger who love the sea,
I had a sound colonial education,
I have Dutch, nigger, and English in me,
and either I’m nobody, or I’m a nation»

«Sono solo un nero caraibico che ama il mare
ho avuto una solida istruzione coloniale
in me c’è dell’olandese, del nero, e dell’inglese
e o sono nessuno o sono una nazione»

La difficoltà di far parte di mondi diversi e contrastanti viene fuori continuamente, nell’opera e nella vita di Walcott, come quando fu duramente criticato dal movimento dei diritti civili afroamericani delle Pantere nere per aver scritto soprattutto in inglese anziché in creolo, la lingua di Santa Lucia: «Non ho nessuna nazione se non l’immaginazione. Dopo l’uomo bianco, anche i negri non mi vogliono», commentò lui.
Il tema dell’identità e la volontà di costruirsi un canone letterario personale si ritrova anche nelle sue raccolte di poesie: pubblicò la prima a 19 anni ma la più famosa, dopo aver lavorato come critico, giornalista e insegnante, è In a Green Night: Poems 1948–1960, del 1962, che lo fece conoscere in tutto il mondo. Walcott scrisse anche un’autobiografia in versi – Another Life – e un’ottantina di opere teatrali: la più celebre è Dream on Monkey Mountain (1970), prodotta da NBC negli Stati Uniti e poi messa in scena a Broadway a New York.
Il lavoro di Walcott unisce la musicalità del testo a una densa ricerca letteraria e storica. Lui stesso raccontò in un’intervista del 1985 alla Paris Review il rapporto tra il carattere del suo paese e del suo lavoro: «Vengo da un posto a cui piace la grandeur e i gesti ampi, che non è inibito dalla fioritura: è una società retorica, è una società di prestanza fisica, è una società con stile». Nell’assegnargli il Nobel – era stato il secondo scrittore caraibico ad averlo ricevuto, dopo Saint-John Perse del Guadalupe – la giuria lo motivò dicendo che la sua è «un’opera poetica di grande luminosità, sostenuta da una visione storica, il risultato di un impegno multiculturale».
In Italia la casa editrice Adelphi ha pubblicato alcuni suoi lavori, tra cui Mappa del nuovo mondo, Isole. Poesie scelte (1948-2004), e La voce del crepuscolo.
fonte: www.ilpost.it





da "Mappa del Nuovo Mondo"
Adelphi Edizioni

STELLA
Se, alla luce delle cose tu scolori
vera, eppure debolmente sottratta
alla nostra determinata e giusta
distanza, come la luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del
semplice giorno.

*

EPILOGHI
Le cose che non esplodono:
vengon meno, sbiadiscono,
come il sole sbiadisce dalla carne,
come la schiuma esala nella sabbia,
anche il fulmineo lampo dell’amore
non ha un epilogo tonante,
muore invece con un suono di fiori
che sbiadiscono come fa la carne
sotto la pietra pomice sudante,
tutto concorre a dare questa forma
finché restiamo soli col silenzio
che circonda la testa di Beethoven.


IL PUGNO
Il pugno stretto intorno al mio cuore
si allenta un poco, e io respiro ansioso
luce; ma già preme
di nuovo. Quando mai non ho amato
la pena d’amore? Ma questa si è spinta
oltre l’amore fino alla mania. Questa
ha la fronte stretta del demente, questa
si aggrappa alla cornice della non-ragione, prima
di sprofondare urlando nell’abisso.

Tieni duro allora, cuore. Così almeno vivi.



AMORE DOPO AMORE
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.


CONCLUDENDO
Vivo sull’acqua,
solo. Senza moglie né figli.
Ho circumnavigato ogni possibilità
per arrivare a questo:
una piccola casa su acqua grigia,
con le finestre sempre spalancate
al mare stantio. Certe cose non le scegliamo noi,
ma siamo quello che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano, lasciamo
tante cose per via, fuorché il bisogno
di fardelli. L’amore è una pietra
che si è posata sul fondo del mare
sotto acqua grigia. Ora, non chiedo nulla
alla poesia, se non vero sentire:
non pietà, non fama, non sollievo. Tacita sposa,
noi possiamo sederci a guardare acqua grigia,
e in una vita che trabocca
di mediocrità e rifiuti
vivere come rocce.
Scorderò di sentire,
scorderò il mio dono. E’ più grande e duro,
questo, di ciò che là passa per vita.





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