L'uomo che dialogò col Genio

Apr 14, 2020 · 9m 6s
L'uomo che dialogò col Genio
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L’UOMO CHE DIALOGO’ COL GENIO - da "La bellezza del caos" di Leo Tenneriello Era rintanato nel comodo abisso di casa sua. Stava leggendo. Ogni tanto abbozzava scarse poesie. Cercava...

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L’UOMO CHE DIALOGO’ COL GENIO - da "La bellezza del caos" di Leo Tenneriello

Era rintanato nel comodo abisso di casa sua. Stava leggendo. Ogni tanto abbozzava scarse poesie. Cercava di esplorare il percorso del dolore e dell’amore che quel libro raccontava. Ritracciarsi – sì, ritracciarsi, senza n - era un'efficace strategia per rintracciarsi.

Alternava delle pause alla lettura. Quando si fermava, guardava lontano, nel vuoto, all'esterno. Ricomponeva il filo di sé stesso. Chi era e chi era stato si stava svelando pian piano in quelle ore lente, pigre, ma curiose. Curiose di sgranare un tempo più grande.

Vedeva fuori dalla finestra il suo vicino che batteva i tappeti della sua auto per pulirli, per farli ritornare come nuovi.

Il genio della bellezza abitava in quel libro che sapeva di piscio, muffa e profondità di pensiero. Il genio era un gigante ormai invisibile, rannicchiato in un cantuccio di una cella in un misero carcere a contare giornate eterne come viaggi immobili fatti di recriminazioni, rimpianti e rammarichi. Vedeva nascere la Bellezza dalla Sofferenza. Benediceva i suoi errori perché gli avevano fatto assaporare nel profondo il senso del dolore e il dolore lo aveva portato al centro di sé facendogli comprendere la sua fragilità.

Il lettore da tempo era impantanato nell’impassibilità. Non si sentiva all’altezza del tempo che viveva; non piaceva e non si piaceva. Era immobile nella sua passività assoluta e si gongolava ad ammirare la vita nella sua essenzialità.

Quel libro gli imponeva di cercare nel suo profondo una bellezza da tirar fuori per vincere il fatalismo, la quasi totale mancanza di passioni, la noia delle sensazioni.

Improvvisamente il genio uscì dal libro e rivolse una domanda al lettore: «sai qual è il nesso fra bellezza e dolore?»

Il lettore spaventato non credeva ai suoi occhi e alle sue orecchie. Ma il genio del libro era proprio lì di fronte. Si era materializzato.

Il lettore timidamente cominciò ad argomentare una risposta: «il dolore aiuta a scoprire in noi nuove ampiezze dell’anima. La bellezza del dolore è una predisposizione all’ascolto, alla comprensione, al male degli altri».

Era una risposta da bravo scolaretto. Il genio con aria di sufficienza non dette importanza a un interlocutore tanto insignificante. Tuttavia, accavallò le gambe e si dispose ad ascoltare ancora. Il lettore riprese la parola: «tu dici che bellezza e dolore camminano tenendosi per mano e dicono la medesima cosa».

Si lasciò andare ancora a una considerazione: «siamo cose nelle mani del caso. Tragedia e parodia sono gli ingredienti della vita. Ecco, sarà banale, ma ho capito perché non ci può essere arte senza un legame fra bellezza e dolore e non ci può essere riparo senz’Arte. Nel tuo libro trovo la chiave per la mia rinascita, per la risalita dagli inferi dell’indifferenza verso la luce della gioia di vivere. La creatività è la chiave».

Il genio chiese al suo lettore: «sei un rivoluzionario?»

Il lettore rispose: «sono un rivoluzionario che non crede nella rivoluzione. Il mondo non si cambia e io non mi chiamo fuori per cambiarlo. No, il mondo mi basta capirlo con lucida ignoranza per perdermi nelle sue viscere».

Genio: «esagerato! Ma quali viscere. Ma non ti vedi che sei un comunissimo omuncolo rintanato in quattro mura».

Lettore: «non me ne andrò mai da questa casa. Lo so che parlo del mondo standomene sempre qui che è il mio massimo senso di universo!»

Genio: «quasi quasi mi sei simpatico perché ti atteggi a parlare come un poeta».

«Grazie a Te» - replicò il lettore.

Genio: «ma tu non eri l’inetto? Dov’è finito quello scemo di un attimo fa?»

Il lettore ribadì: «sono due, tre, quattro… persone (accenno di sorriso) inette!»

Il genio chiese da bere. Un attimo di silenzio e poi: «quanta solitudine che c’è qui, ti somiglia. Ma perché non esci all’aria aperta. Perché non vai a incontrare il mondo vero invece di arrovellarti tra i libri e le ovvietà che scrivi?»

Il lettore carico di ingenuo entusiasmo rispose: «voglio fuggire dal mio malumore».

Il genio con una smorfia di stizza: «parli come un libro stampato, sei finto, vuoi fare l’artista ma non lo sei, convinciti!»

L’atmosfera cominciava a essere sempre più tesa fra i due interlocutori. Dall’ammirazione che il lettore nutriva nei confronti del genio/protagonista del libro che stava leggendo, il dialogo era scivolato in una disputa.

Lettore: «caro il mio genio, io sono un animale imperfetto e per me più importante dell’opera è stare all’opera».

Genio: «ma ti rendi conto? È a me che lo racconti? Io che ho messo il genio nella mia vita e ho messo solo il mio talento nelle mie opere».

Lettore: «ti sto semplicemente dicendo cosa penso. Lo so che non ho nulla da insegnarti. Sei tu che mi fai domande».

Genio: «mi fai pena!»

Lettore: «non capisci … avrei desiderato organizzare la mia vita per cercare una qualche perfezione, mi sarei dato volentieri in pasto alla tirannia dell’esemplarità, volentieri avrei barattato le relazioni con le altre persone per il silenzio necessario alla concentrazione. Avrei voluto semplicemente immergermi in me stesso, senza occuparmi mai di nessuno per coltivare quanto mi stava a cuore.
Sulla fronte cominciano a comparire le prime rughe che sono lì a ricordarmi che il tempo sta scadendo e le velleità artistiche sono bocconi già morsicati. Gli artisti, in fondo, sono santini compassionevoli, vanagloriosi sempre delusi da se stessi con quello stato d’animo tenebroso che nessuno riesce mai a prendere sul serio».

Durante la sua breve arringa il lettore cercava di non incrociare mai gli occhi del genio armato di uno sguardo da commissario che conosceva già le colpe prima delle accuse.

Genio: «guarda, io non so che cosa mi ha portato qua e che cosa mi trattiene ancora ad ascoltare le tue dozzinali teorie sull’arte e la vita…»

Dispiaciuto ma convito replicò il lettore: «l’Arte è finzione e la vita è falsità. Sarò pure l'idiota di turno. Orgoglioso di esserlo. Caro il mio genio lo so che non sarò mai redento dalla Bellezza, ma il mio percorso nella melma mondana, nel torbido dell’umanità, sarà più luminoso. Ora lasciami in pace. Vattene, ritornatene nella fama della tua prigione. Sei un vanitoso, esibizionista ed egocentrico. Sei un falso umile. Nessuno ti ha chiesto di leggere le mie anonime e sconosciute poesie. Sei tu, che senza invito, sei piombato nella mia stanza. Critico dei miei stivali! Dici e dici, pontifichi ma tanto poi anche tu tornerai a ripetere gli errori di sempre! Tu torna a fare il Personaggio che io resto qui a essere Persona».

Il lettore deluso e dispiaciuto gettò quel libro nel camino sperando che quel genio non gli facesse più visita. Mentre le pagine bruciavano, le parole del libro fuggivano via a rifugiarsi tra gli scritti di quello sconosciuto lettore.
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Author Leo Tenneriello
Organization Leo Tenneriello
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