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L'Imbrattacarte

  • Mia nonna - Leo Tenneriello

    3 DEC 2020 · Guerra di religione fra nonna e nipote Mia nonna, con quel suo onnipresente vestito nero, una vita a lutto, mi riempiva di ordini da eseguire. La vita è fatta di regole, ma ci ispiriamo e aspiriamo alle eccezioni. Per non farmi seppellire da quella montagna di precetti ho sviluppato da allora un pavido e mediocre senso d’insubordinazione e rifiuto delle gerarchie. Tutte le tavole della legge che mi son trovato a dover osservare, nella vita di adulto, le ho sempre immaginate scritte sul ghiaccio, ma le ho sempre o quasi, comunque, ahimè, rispettate. Un rivoluzionario senza palle. Mia nonna mi portava un giorno sì e uno no a messa. Era fissata con Gesù, la Madonna e Tutti i Santi. Lei aveva in mano il suo rosario e io il mio camioncino. Già da allora, con quel giocattolo semplicissimo manifestavo, inconsapevolmente, il mio no alle statue. Lei aveva la testa piegata a recitare le stesse preghiere di sempre, da sempre, e io steso sulle panche della chiesa a immaginare viaggi interminabili col mio camioncino. Era la nostra guerra di religione. ( da "Il giardino dei dispari" di Leo Tenneriello)
    1m 8s
  • Voglio somigliare a Craco

    17 OCT 2020 · "Voglio somigliare a Craco" tratto da "Il giardino dei dispari" di Leo Tenneriello Voglio somigliare a Craco, paese a mezz’aria fra la terra e il cielo, fragile come un cracker e forte come il pane duro. Quando andavamo a trovare i nonni, lo incrociavamo sempre e il mio sguardo era incantato da quel paese spettrale. Era un incubo o un sogno? Craco è un paese sospeso sul vuoto, chiuso, col suo destino franato, offeso, dove i fantasmi se la ridono di notte e raccontano barzellette sul sindaco corrotto, sulle condotte sbagliate dell’acquedotto. Craco è un paese allagato alle radici, è un giglio che parla col sole e che non chiede aiuto perché sa che il suo grido tornerebbe indietro. Somiglia alla mia noia. Il mio costante darmi da fare è sempre stato un tentativo di resistenza per combatterla. Non sono più un giovanotto e sono anche stanco. Sono una vita di seconda mano, come certi annunci commerciali “usato ma tenuto bene”. La prendo a ridere e porto a termine la mia missione sul pianeta terra, in compagnia di me stesso e del mio motore interiore che deve andare e va e io non gli chiedo dove. Immagino le mie lunghe camminate sotto il sole e il rientro a casa, felice di bere dall’orcio in terracotta che con il suo collo stretto mi sembra un signorotto inamidato, col panciotto abbottonato stretto stretto, con un aspetto popolare, per nulla brillante, ma molto simpatico. Sono qui nel paese fantasma. Solo, gioco a nascondino. Sono quel ragazzino che prima di incontrarti era tristemente sereno. Guardo verso il mare, cerco di scovare una specie di America, qualcosa che ancora non c’è o che ho perduto.
    2m 26s
  • Il cammino delle parole

    26 APR 2020 · IL CAMMINO DELLE PAROLE - Leo Tenneriello - Il primo viaggio che noi facciamo è quello con le parole e quindi partiamo dalle parole e partiamo con le parole. Per questo mi piace leggere perché le parole camminano dentro e fuori di me. Mi piace sentire quel formicolio, quel fiume di lettere che attraversano la mia mente e il mio cuore e creano qualcosa che prima non c'era. Le parole, in un certo senso, liberano l'anima e sono un mezzo per riprendermi il corpo, mi donano libertà. Più ne ho e più mi muovo. Leggere è un cammino, una tensione, un pensiero in movimento, la metamorfosi costante della mente. È un invito al confronto, al bisogno di vita. Mi piace pensarmi come un soggetto pensante. Mi piace pensarmi con i libri in mano, libero da "maestri", libero da mesti attivisti che amano la morte e propongono che la vita funzioni come un cadavere vivo e maleodorante. Mi piace pensarmi in cammino, con i libri in mano e nella testa, in compagnia di grandi e piccoli scrittori per testimoniare l'amore per la vita viva e terrena. Mi piace immaginarmi con i libri in mano, in cammino, all'aperto perché le parole non mi restino dentro, ma viaggino come piume felici, senza una meta e segnalatrici di senso. Parole in cammino nel cammino delle parole. Mi piace la grande letteratura. La letteratura è girovaga, non è mai sedentaria, sa che la vita non basta e se la va a cercare sempre altrove. La letteratura è una viandante che attraverso il suo cammino conosce il mondo e il cuore delle persone. La letteratura non è istruzione, è conoscenza. La letteratura non è iper-informazione. L'iper-informazione inibisce l'azione, la conoscenza invita ad agire. C'è differenza fra lettura e letteratura, fra informazione e conoscenza. È tutto così digitale e veloce, i libri, invece, reclamano lentezza e gusto per le parole. I libri buoni danno e hanno profondità, sanno coltivare i ricordi. I libri buoni ci allenano al pensiero critico. La letteratura è una ficcanaso, guarda dove gli altri vedono o non vedono per nulla. Intuisce e capisce prima degli altri e mette sul chi va là, perché la letteratura, la grande letteratura sa guardare avanti. La letteratura è per gente raffinata perché la letteratura è raffinata, sa leggere fra le righe. In un mondo, interiore ed esteriore, complesso come il nostro, se si vuole abitarlo e capirlo al meglio, non si può non coltivare il proprio essere raffinati. Quindi, libri in mano, inizia il cammino delle parole
    3m 46s
  • L'uomo che dialogò col Genio

    14 APR 2020 · L’UOMO CHE DIALOGO’ COL GENIO - da "La bellezza del caos" di Leo Tenneriello Era rintanato nel comodo abisso di casa sua. Stava leggendo. Ogni tanto abbozzava scarse poesie. Cercava di esplorare il percorso del dolore e dell’amore che quel libro raccontava. Ritracciarsi – sì, ritracciarsi, senza n - era un'efficace strategia per rintracciarsi. Alternava delle pause alla lettura. Quando si fermava, guardava lontano, nel vuoto, all'esterno. Ricomponeva il filo di sé stesso. Chi era e chi era stato si stava svelando pian piano in quelle ore lente, pigre, ma curiose. Curiose di sgranare un tempo più grande. Vedeva fuori dalla finestra il suo vicino che batteva i tappeti della sua auto per pulirli, per farli ritornare come nuovi. Il genio della bellezza abitava in quel libro che sapeva di piscio, muffa e profondità di pensiero. Il genio era un gigante ormai invisibile, rannicchiato in un cantuccio di una cella in un misero carcere a contare giornate eterne come viaggi immobili fatti di recriminazioni, rimpianti e rammarichi. Vedeva nascere la Bellezza dalla Sofferenza. Benediceva i suoi errori perché gli avevano fatto assaporare nel profondo il senso del dolore e il dolore lo aveva portato al centro di sé facendogli comprendere la sua fragilità. Il lettore da tempo era impantanato nell’impassibilità. Non si sentiva all’altezza del tempo che viveva; non piaceva e non si piaceva. Era immobile nella sua passività assoluta e si gongolava ad ammirare la vita nella sua essenzialità. Quel libro gli imponeva di cercare nel suo profondo una bellezza da tirar fuori per vincere il fatalismo, la quasi totale mancanza di passioni, la noia delle sensazioni. Improvvisamente il genio uscì dal libro e rivolse una domanda al lettore: «sai qual è il nesso fra bellezza e dolore?» Il lettore spaventato non credeva ai suoi occhi e alle sue orecchie. Ma il genio del libro era proprio lì di fronte. Si era materializzato. Il lettore timidamente cominciò ad argomentare una risposta: «il dolore aiuta a scoprire in noi nuove ampiezze dell’anima. La bellezza del dolore è una predisposizione all’ascolto, alla comprensione, al male degli altri». Era una risposta da bravo scolaretto. Il genio con aria di sufficienza non dette importanza a un interlocutore tanto insignificante. Tuttavia, accavallò le gambe e si dispose ad ascoltare ancora. Il lettore riprese la parola: «tu dici che bellezza e dolore camminano tenendosi per mano e dicono la medesima cosa». Si lasciò andare ancora a una considerazione: «siamo cose nelle mani del caso. Tragedia e parodia sono gli ingredienti della vita. Ecco, sarà banale, ma ho capito perché non ci può essere arte senza un legame fra bellezza e dolore e non ci può essere riparo senz’Arte. Nel tuo libro trovo la chiave per la mia rinascita, per la risalita dagli inferi dell’indifferenza verso la luce della gioia di vivere. La creatività è la chiave». Il genio chiese al suo lettore: «sei un rivoluzionario?» Il lettore rispose: «sono un rivoluzionario che non crede nella rivoluzione. Il mondo non si cambia e io non mi chiamo fuori per cambiarlo. No, il mondo mi basta capirlo con lucida ignoranza per perdermi nelle sue viscere». Genio: «esagerato! Ma quali viscere. Ma non ti vedi che sei un comunissimo omuncolo rintanato in quattro mura». Lettore: «non me ne andrò mai da questa casa. Lo so che parlo del mondo standomene sempre qui che è il mio massimo senso di universo!» Genio: «quasi quasi mi sei simpatico perché ti atteggi a parlare come un poeta». «Grazie a Te» - replicò il lettore. Genio: «ma tu non eri l’inetto? Dov’è finito quello scemo di un attimo fa?» Il lettore ribadì: «sono due, tre, quattro… persone (accenno di sorriso) inette!» Il genio chiese da bere. Un attimo di silenzio e poi: «quanta solitudine che c’è qui, ti somiglia. Ma perché non esci all’aria aperta. Perché non vai a incontrare il mondo vero invece di arrovellarti tra i libri e le ovvietà che scrivi?» Il lettore carico di ingenuo entusiasmo rispose: «voglio fuggire dal mio malumore». Il genio con una smorfia di stizza: «parli come un libro stampato, sei finto, vuoi fare l’artista ma non lo sei, convinciti!» L’atmosfera cominciava a essere sempre più tesa fra i due interlocutori. Dall’ammirazione che il lettore nutriva nei confronti del genio/protagonista del libro che stava leggendo, il dialogo era scivolato in una disputa. Lettore: «caro il mio genio, io sono un animale imperfetto e per me più importante dell’opera è stare all’opera». Genio: «ma ti rendi conto? È a me che lo racconti? Io che ho messo il genio nella mia vita e ho messo solo il mio talento nelle mie opere». Lettore: «ti sto semplicemente dicendo cosa penso. Lo so che non ho nulla da insegnarti. Sei tu che mi fai domande». Genio: «mi fai pena!» Lettore: «non capisci … avrei desiderato organizzare la mia vita per cercare una qualche perfezione, mi sarei dato volentieri in pasto alla tirannia dell’esemplarità, volentieri avrei barattato le relazioni con le altre persone per il silenzio necessario alla concentrazione. Avrei voluto semplicemente immergermi in me stesso, senza occuparmi mai di nessuno per coltivare quanto mi stava a cuore. Sulla fronte cominciano a comparire le prime rughe che sono lì a ricordarmi che il tempo sta scadendo e le velleità artistiche sono bocconi già morsicati. Gli artisti, in fondo, sono santini compassionevoli, vanagloriosi sempre delusi da se stessi con quello stato d’animo tenebroso che nessuno riesce mai a prendere sul serio». Durante la sua breve arringa il lettore cercava di non incrociare mai gli occhi del genio armato di uno sguardo da commissario che conosceva già le colpe prima delle accuse. Genio: «guarda, io non so che cosa mi ha portato qua e che cosa mi trattiene ancora ad ascoltare le tue dozzinali teorie sull’arte e la vita…» Dispiaciuto ma convito replicò il lettore: «l’Arte è finzione e la vita è falsità. Sarò pure l'idiota di turno. Orgoglioso di esserlo. Caro il mio genio lo so che non sarò mai redento dalla Bellezza, ma il mio percorso nella melma mondana, nel torbido dell’umanità, sarà più luminoso. Ora lasciami in pace. Vattene, ritornatene nella fama della tua prigione. Sei un vanitoso, esibizionista ed egocentrico. Sei un falso umile. Nessuno ti ha chiesto di leggere le mie anonime e sconosciute poesie. Sei tu, che senza invito, sei piombato nella mia stanza. Critico dei miei stivali! Dici e dici, pontifichi ma tanto poi anche tu tornerai a ripetere gli errori di sempre! Tu torna a fare il Personaggio che io resto qui a essere Persona». Il lettore deluso e dispiaciuto gettò quel libro nel camino sperando che quel genio non gli facesse più visita. Mentre le pagine bruciavano, le parole del libro fuggivano via a rifugiarsi tra gli scritti di quello sconosciuto lettore.
    9m 6s
  • Che fine fanno i baci

    22 MAR 2020 · CHE FINE FANNO I BACI? (Leo Tenneriello) Mi chiedo che fine facciano le tenerezze, le carezze, i baci che abbiamo, durante la nostra vita, scambiato con le persone a noi care. A volte penso che esista un posto “speciale” dove una fatina e un diavoletto svolgano una specie di raccolta differenziata: da una parte quelli sinceri e dall'altra quelli vaporosi. Mi piace immaginare che questi ultimi, per ovvie ragioni gestiti dal diavoletto, vengano lavorati e restituiti ai rispettivi mittenti sotto forma di rancori e livori. Le carezze, le tenerezze, i baci buoni vengono invece lavorati dalla fatina che li impasta come una grande massa soffice (tipo quella del pane) e ne fa una enorme montagna dove i mittenti possano, nei momenti di dolce malinconia, fare dei grandi salti, rimbalzando tra i ricordi e i desideri, rinnovare l’appuntamento con la felicità.
    1m 7s
  • Un sorriso

    18 MAR 2020 · UN SORRISO da "Sorella Noia Fratello Nulla" di Leo Tenneriello Un sorriso? Vi sembra poco? E’ la caparra per il paradiso. E’ il legame infinito e passeggero tra un inizio e una fine. E’ il riassunto della parte migliore di sé. E’ quella dolce coltellata che recide e allaga un’anima. Adesso potete spegnere il mondo, tanto quel sorriso si vedrà comunque, forse voi non lo vedrete, ma io sì e lo mimerò nei miei momenti più tristi.
    37s
  • La nuotatrice

    16 MAR 2020 · Un desiderio che diventa appagante - "La nuotatrice" dal libro di racconti di Leo Tenneriello "La bellezza del caos". LA NUOTATRICE In quella spiaggia alcuni erano occupati a consumare qualcosa, altri a parlottare col coinquilino di postazione, altri ancora a prendere convenzionalmente il sole. Marie non c’entrava nulla con quell'umanità. Era molto bella. Pablo era il suo vicino d’ombrellone e, senza volerlo, ascoltò una telefonata nella quale lei litigava col fidanzato fino a lasciarlo. «Basta! Non sarai neanche un ricordo! Se c’è stato qualcosa è stato qualcosa d'impulsivo e leggero! La mia memoria ti trafiggerà! Io lo sapevo che con te avrei sperperato del tempo! Non chiamarmi più!» Pablo avrebbe voluto rivolgerle la parola per confortarla, ma si sa che chi termina una storia d’amore si sente un derelitto e per questo rifiuta l’idea di essere consolato. Il caso volle che quell’addio meritasse un'adeguata colonna sonora e dalla radio del bar fece echeggiare un vecchio brano riportato da poco al successo Insieme a te non ci sto più guardo le nuvole lassù cercavo in te la tenerezza che non ho la comprensione che non so trovare in questo mondo stupido quella persona non sei più quella persona non sei tu finisce qua chi se ne va che male fa… Marie contrariata si tolse le ciabatte e si avvicinò al bagnasciuga. Pablo la seguiva con gli occhi. Marie analizzò con i piedi l’acqua del mare. Né calda né fredda, ma poco importava. Pochi passi e poi subito un tuffo. Cominciò la sequenza di bracciate per raggiungere chissà quale meta. Di fronte a lei il mare, alle sue spalle la vita. Il sole con tutta la sua immobile pigrizia era lì a ricordare che se ci siamo o non ci siamo non cambia niente e Marie di questo era consapevole. Intanto le sue costanti bracciate sembravano voler stringere il celeste nulla che il cielo prometteva. «E’ finita! È finita!» ripeteva a se stessa. Era pervasa da una tranquilla follia. I suoi piedi e le sue mani schiaffeggiavano l’acqua. «Non mi ferma più nessuno! E poi a chi mancherò? Affaticarmi, preoccuparmi, perché? Per chi?» Quella fine le provocava una strana gioia. Già dall’auto, prima di arrivare al mare, durante il viaggio, pregustava quella sensazione di abbandono. Prima che lo sentenziasse per telefono, era già finita con il suo fidanzato. «Mi lascerò cambiare dall’acqua, mi purificherò. Libererò la mia anima da tutte le briciole di quest'amore sbagliato e le farò mangiare ai pesci. Io stessa sarò cibo per i pesci». Uno sguardo indietro e la spiaggia era lì immobile con il suo pigia pigia. Il taglio netto ormai c’era già stato. Pablo riusciva ancora a vederla. «Poveretta. Chissà come deve star male dopo aver lasciato il suo ragazzo. Chissà perché poi si sono lasciati. Una ragazza così bella come si fa a lasciarsela scappare». Ma di colpò lui la vide leggermente sollevarsi dall’acqua e nuotare verso il cielo. Sembrava una farfalla. Una bellezza simile non poteva restare imbrigliata nella mediocrità dell’ordine delle cose. «Che succede? Dove va? Come fa? Dio mio!» Allora anche lui si precipitò in acqua e cercò subito di raggiungerla. Voleva volare con lei verso il cielo sorvolando il mare, la spiaggia, la città, la vita. Aveva in cuore di dirle: «dobbiamo guardare al domani più che al passato! Affidiamoci alla leggerezza dei sogni più che ai macigni della memoria! Tu ed io, nuotiamo nell’aria!» Si sentì trascinato dagli ultimi zampilli d’acqua. Di colpò si staccò da terra come se si sentisse stritolato da quel piccolo mondo. Le afferrò la mano e s'innalzarono, si tesero verso le nuvole. Marie girò la testa e con quel suo sguardo magnetico sedusse Pablo. Le teste giravano. Il cuore volava. Era solo un sogno. Pablo si svegliò, raccolse le sue cose e si preparò al ritorno verso casa. In auto gustava ancora quel sogno che non capì mai dove era cominciato e dove era finito. Il sogno aveva il sapore di un dolce ricordo. Pensò: «Dio mio com'è faticoso cavare dei pezzetti di vita dai desideri. Oggi ci sono riuscito e quei frammenti vorrei conservarli sempre con me».
    6m 7s
  • Codice a barre

    15 MAR 2020 · Ci vuole poco a diventare merce, a esser trattato come cosa. "Codice a barre" dal libro di racconti di Leo Tenneriello "La bellezza del caos". CODICE A BARRE Fabrizio entrò in un negozio. Mentre dava un’occhiata alle merci esposte, gli comparve all’improvviso sul braccio, a mo’ di tatuaggio, un codice a barre. Il proprietario, attirato dall’incanto e dallo sbigottimento che quell'apparizione aveva suscitato in quel cliente, si avvicinò e chiese: «problemi?» Fabrizio disorientato rispose: «no, no, nessun problema», e si guardò il braccio. Il proprietario vide il codice a barre e urlò contro Fabrizio: «tu sei mio! Tu fai parte della mia merce!» Prese una grossa gruccia, tramortì il povero malcapitato, lo appese in bella mostra a un espositore e gli appiccicò anche l’etichetta col prezzo di quella nuova mercanzia. Dopo un po’, entrò nel negozio un nuovo cliente e, incuriosito da quello strano manichino appeso, si avvicinò a osservare. Guardo un po’, poi prese il braccio di Fabrizio e lesse il costo; fece un’ambigua smorfia e con ingenua indifferenza se ne andò. Dopo un po’ entrò un vecchio amico di Fabrizio. Lo riconobbe si avvicinò e gli chiese: «ma tu che ci fai qui?» Vide il prezzo e acquistò il suo amico. Mentre uscivano dal negozio per consolarlo e per rimproverarlo gli disse: «Fabrizio, sei bravo solo a metterti nei guai!»
    1m 20s
  • Se ci fossi tu

    14 MAR 2020 · SE CI FOSSI TU Leo Tenneriello. Se ci fossi tu nella mia vita non ci sarebbe spazio per altro. Non avrei bisogno neanche del divano, della musica, dei film, / del vino e delle chiacchiere. Ma tu non ci sei e ho mille amici, mille interessi, due divani e quattro poltrone invasi da estranei.
    56s
Pensieri, Racconti, Canzoni di un Imbrattacarte
Information
Author Leo Tenneriello
Categories Books
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