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Passaggio afgano

  • L’ingombrante presenza afgana in Pakistan risolta con l’espulsione?

    12 NOV 2023 · https://ogzero.org/tag/pakistan/ Improvvisamente vengono cacciati gli afgani senza documenti in Pakistan… dopo svariati decenni della loro migrazione, perché quelli senza documenti sono per lo più pashtun espatriati a inizio anni Ottanta, quando non avevano bisogno di documenti. Emanuele Giordana ci racconta innanzitutto che questa “incentivazione” al rientro non è la prima volta che viene innescata dal Pakistan, anche perché l’accoglienza di Islamabad è sicuramente maggiore di quella italiana, se si considera che Peshawar era abitata da 400.000 pakistani, ora gli abitanti superano i 2 milioni, con presenza di mercati afgani e regolarizzati, vista la storia degli ultimi decenni. Dunque si può pensare si tratti di una strategia politica per fare pressione sul regime di Kabul. I rapporti con l'Afghanistan si sono guastati nel momento in cui i Talebani hanno respinto il controllo del Pakistan sul potere conquistato; e ovviamente l’ospitalità ai talebani pakistani “terroristi” per il governo di Islamabad è diventato un valido pretesto per la rivalsa. La situazione è precipitata con la caduta di Imran Khan (pashtun), che aveva iniziato un negoziato con i gruppi estremisti. Una vulgata hazara interpreta i rimpatri forzati non come una rivalsa contro i pashtun, ma come un’accettazione dell’espulsione deii talebani afgani per dirottarli in una parte di territorio settentrionale, dove i pashtun sono minoranza, mentre è molto popolato da uzbeki e tagiki, i primi facilmente radicalizzabili e fornendo un incentivo alla colonizzazione di quelle terre di confine con il potenziale sfruttamento agricolo del nuovo canale Qosh Tepa sull’Amu Darya: Emanuele non ritiene siano correlabili le due notizie, verosimili le ipotesi, ma considerando l’attitudine hazara a vittimizzarsi è difficile che sia accettabile da parte di Kabul l’accettazione di altri 2 milioni di persone da sfamare ora; piuttosto è possibile che a mala parata vengano mandati ai confini. La posizione talebana sulla produzione di stupefacenti è moralistica e di grande durezza nei confronti dei trafficanti di oppiacei, sia la prima volta che erano al potere, sia ora che ci sono piani di eradicazione delle piantagioni, pur se all’interno dei gruppi di talebani si registra uno scontro in quanto molti di loro nella zona di Kandahar avevano “tassato” la produzione dell’oppio per finanziarsi, ma la produzione pare sia stata ridotta del 95% per cui sorge spontanea la domanda su chi avesse interesse e traesse vantaggi dalla coltivazione del papavero ai tempi dell'Isaf e della collaborazione occidentale. E in parallelo forse si può immaginare che non tanto dal'Afghanistan, quanto dal Bangla Desh si incremtnino le metanfetamine a seguito della minore produzione di oppio afgano.
    18m 9s
  • Nostos, ma dov'è la vera casa?

    30 OCT 2021 · Nostos sarebbe ritornare ancora a Kabul per ricongiungersi con moglie, madre, sorella, amici, oppure Nostos è rientrare dove si è messa su casa, si lavora, si vive? Il rientro di Seyf a Ciriè, casa canavesana, vicino al lavoro, dove lo aspettavano trepidanti, perché è un tipo capace... non hanno cercato sostituti e lo hanno aiutato nei 2 mesi trascorsi nelle pastoie afgane. Momenti di terrore, rabbia, panico, scelte dolorose. Abbandoni, ancora una volta costretto a lasciare gli affetti per potersi sottrarre almeno lui al lento giro di vite taliban sulla società afgana e al pugno di ferro contro la comunità hazara. Si prefigura una nuova enorme frattura insanabile con le componenti della società non pashtun, con l'esplosione delle frontiere tracciate dal colonialismo europeo con la Durand Line. Seyf, con voce dolente, è convinto che si arriverà o prima o dopo a una nuova guerra civile. I primi giorni è stato spaventoso, ci racconta... e la data era decisa, c'era la netta convinzione che fosse tutto predisposto. E le prospettive sono azzerate e stanno creando un Pashtunistan, né di studio, né di lavoro: non ci sono i diritti, quindi nemmeno possibilità di studio, o di lavoro. Chi non ha alcun documento, e sono i più, e non ha speranze per il futuro, perché ha perso il lavoro che in qualche modo aveva trovato, non ha possibilità di uscire dall'Afghanistan. Non esistono corridoi umanitari ancora attivati e i ricongiungimenti non sono praticabili; i paesi limitrofi non rilasciano visti e hanno blindato le frontiere; non esistono nemmeno campi profughi al di là delle frontiere in attesa di riconoscimento di eventuali fuggitivi che siano riusciti a superare i blocchi di confine. Fa molto freddo ormai a Kabul e i molti che non hanno avuto modo di uscire dalla trappola si trovano senza mezzi di sussistenza, tantissimi ancora accampati nei parchi, in tende dove muoiono di stenti e di fame. E l'economia del paese va a rotoli, con i finanziamenti bloccati e i traffici che arricchiscono soltanto pochi signori dell'oppio e poco altro. E in Occidente ormai non si ricorda già più lo scempio di questo paese.
    14m 3s
  • Multilateralismo in salsa Kabuli

    30 OCT 2021 · L'ultima occasione in cui si è parlato sugli schermi italiani di Afghanistan è stato per far calare il sipario su quella narrazione, ormai superata dagli eventi – nonostante le sofferenze di milioni di persone bloccate in un paese allo sbando, senza risorse economiche e alla mercé di bande fanatizzate che hanno fatto grippare ogni meccanismo della società. Il sipario è stato fatto scendere da Draghi su ispirazione di Biden straparlando di multilateralismo, quando Xi e Putin si erano sfilati, come poi hanno fatto tre settimane più tardi al G20 romano dove le potenze occidentali cercavano di inchiodarli alle scelte ambientali. Sono due argomenti sui quali è impossibile trovare al momento un piano comune da cui cominciare a parlare. Abbiamo sentito Seyf ancora bloccato a Kabul nel momento in cui russi, cinesi e turchi incontravano i vertici Taliban... tutto questo sul popolo afgano ha un impatto pari a zero: chi non è impegnato a cercare di uscire dal paese, avendo qualche risorsa per farlo (un volo verso Peshawar ora costa 2500 dollari, mentre prima ne bastavano 500), ha il problema di sfamare la famiglia, ci racconta Seyf di code e risse in attesa del visto. Il problema per i Taliban è quello di farsi accettare dalla popolazione civile che non vuole collaborare con loro, anche se cercano di cooptare i cervelli di cui hanno bisogno per far funzionare il paese: la società civile in questo ventennio ha sviluppato una mentalità priva di qualsiasi aderenza con l'ideologia degli studenti coranici. Oltretutto hanno imposto tasse, per esempio sulla casa, o sui commerci, imposizioni inusitate in Afghanistan. Altro elemento che si aggiunge ai motivi di rivalità tra Taliban e Iskp che proseguono lo stillicidio di attentati e stragi per dimostrare che non è autentica sicurezza quella pubblicizzata dal nuovo governo di Kabul. Nel prossimo spreaker di questo podcast troverete una bella sorpresa: https://www.spreaker.com/user/ogzero/2021-10-28-seyf-in-rbo
    13m 42s
  • L’autodistruzione dell’espressione artistica e le altre facce dell’ottusità talebana

    1 OCT 2021 · Inclusività, culture e conoscenza, indipendenza. Queste parole ipocrite condannano gli afgani a un inferno dove i giovani che non avevano vissuto il primo periodo talebano di 20 anni fa scoprono un mondo distopico che gli cancella ogni speranza, tutti i piani fatti, arrivano a distruggere le loro opere d'arte perché non li denuncino all'oscurantismo ignorante che fa pascolare le mucche nel loro Campus, dove invece i giovani non possono entrare e che è diretto da un giovane pastore senza laurea, né cultura. I due preziosi oggetti in copertina sono stati pensati e prodotti da un giovane afgano che non può riprendere gli studi a pochi mesi dalla laurea, sono gli unici oggetti risparmiati dei prodotti della sua arte: gli altri li ha distrutti lui stesso. Condizionare la società attraverso la via dell'istruzione è sempre più difficile, ma ci sono esempi virtuosi: a dimostrazione che solo l'arte, la musica, la cultura – meglio se clandestina – possono contrapporsi alla chiusura, laddove gli unici che hanno a disposizione le armi sono i Talebani. Questo rende pericolosa la vita a Kabul, perché in qualsiasi momento possono portarti via tutto ciò che hai a seconda di cosa passa per la testa dei Talebani che si aggirano per le strade. Le stesse restrizioni dell'esistenza libera colpiscono gli hazara di Daykundi, costretti a uscire dalle abitazioni costruite 50 anni fa per assistere alla loro distruzione; cacciati. Sono le prime vittime della pulizia etnica, che va a sovrappopolare Kabul, ormai allo stremo, perché cominciano a mancare i contanti e dunque il cibo; scarseggiano fondi anche per fuggire, per cui si innesca la speculazione di chi compra a un terzo del valore di beni che fino due mesi fa erano introvabili o impagabili per i prezzi al metro quadro (12mila euro prima della crisi era il costo medio di una magione, che ora ne vale soltanto 4mila). Su questa situazione si innestano questi profughi interni, che versano in una condizione ancora peggiore, dovendo sperare negli aiuti dell'Onu per avere indumenti e cibo. La condizione odierna spinge tutti a tentare di fuggire, compreso il nostro interlocutore che vagheggia l'uscita, per sottrarsi anche alla leva di chi lo affronta dicendosi un combattente della jihad da 20 anni, mentre lui migrava e dunque ora dovrebbe invece farsi un po' di jihad, anziché tornare in occidente a lavorare per gli infedeli. Tuttavia è difficile anche muoversi: nel senso che per ora non è impedito lo spostamento di chiunque, ma si è acuita la frattura etnica e la richiesta di pedaggi sulla strada (5 euro a botta è tantissimo per un taxista afgano), l'aria minacciosa, anche gli indumenti indossati alla moda dei Talebani da parte persino dei bambini e le armi esibite lo sconsigliano e spingono verso la guerra civile – come in fondo propenderebbero alcuni protagonisti tra le potenze locali. Tanto che alcuni hazara minacciano la ribellione... ma senz'armi e di fronte alla totale chiusura a qualsiasi discorso è un percorso difficile da immaginare. Il sogno per i talebani da questo e dall'altro lato della Durand Line diventa un incubo per chi si sente straniero a casa propria, sia perché è il Pakistan il vero burattinaio (quindi di nuovo un agente esterno), sia perché viene espropriato da etnie avverse, nuovamente arroganti e strafottenti, prepotenti e onnipotenti, come 20 anni fa... al tracollo economico e privi di consenso, lontanissimi dalla società civile.
    17m 5s
  • Dietro le tende del mercato a Kabul. Prospettive di miseria

    24 SEP 2021 · Ascoltiamo una nuova corrispondenza da Kabul a una settimana di distanza. La chiacchierata si attarda su aspetti della vita quotidiana che in una settimana è ancora più precaria di quello che avevamo potuto cogliere lo scorso giovedì, e più drammatica perché ora è soprattutto l'impossibilità di avere disponibilità del denaro per comprare cibo. Inoltre la pervasiva presenza dei Talebani in ogni luogo incute timore, anche fondato vista la brutalità; un altro aspetto che colpisce è la compravendita (o forse sarebbe meglio dire svendita) di oggetti e merci dei tanti che si preparano a lasciare il paese, le loro abitazioni, tutto... e quindi cercano di disfarsi dei loro oggetti. Non solo al mercato la presenza femminile è ridottissima e i modi in cui vengono trattate sono improntati alla violenza e brutalità, ma soprattutto perché l'ordine è di impedire ogni contatto di chiunque non sia un famigliare con le donne, pena conseguenze su chi viene pescato anche solo a interloquire con loro: «Hanno paura a parlare con le donne». Ma ora i Talebani non riescono a imporre le loro credenze a una società ormai secolarizzata: le persone a qualsiasi genere appartengano non si lasciano più imporre regole inaccettabili, non si lasciano togliere la libertà. Questa è la forza che proviene dal fatto di aver potuto frequentare le scuole... la mentalità è cambiata per questo motivo, perciò i Talebani non riusciranno più a cambiare la società a loro immagine, se non ritrovandosi una nazione svuotata. Infatti il nostro interlocutore ci parla dei visti, il cui prezzo è lievitato: per andare in Pakistan vengono richiesti 2000 dollari; un modo di taglieggiare chi è disperato e teme per la propria vita e di essere oggetto di vendette, per essere stato magari collaboratore degli occidentali fuggiti lasciandolo indietro. Un'altra istantanea che colpisce è quella che fotografa il mondo del lavoro: i lavoratori già normalmente vengono assunti con prassi da caporalato: ora trascorrono l'intera giornata in attesa di un ingaggio, ma tutto è fermo e nessuno si avvale di manovalanza, aggiungendo miseria alla situazione ormai al collasso, con file davanti alle banche per ritirare almeno i 400 dollari alla settimana ammessi al prelievo.
    11m 12s
  • Travolti da un insolito incubo nella Kabul d'agosto

    18 SEP 2021 · Un giovane hazara che vive, lavora e paga le tasse in Italia da alcuni lustri non ha avuto diritto a un posto per rientrare dopo la guerra lampo dei talebani che lo ha sorpreso a Kabul dove era stato costretto dalla burocrazia italica a preparare documenti da produrre a un apparato arcaico e razzista. Il suo attuale osservatorio particolare ci consente di restituire l'angoscia per la tensione, i sotterfugi per sopravvivere, i maneggi per scappare di trenta milioni di persone attonite... ma anche la muta indignazione per come un intero popolo è stato riconsegnato a un'impostazione della comunità e a una gestione dell'economia che non possono corrispondere ai parametri su cui si regge il resto del mondo attuale. Le istantanee che scatta vanno oltre gli screzi tra il moderato Baradar e il feroce Haqqani – a cui si allude quando si spiega più chiaramente lo spirito di Kandahar; superano le spartizioni tra potenze straniere – di cui comunque si ha sentore e si comprende in che modo il mondo è complice e gli abitanti di Kabul lo hanno sgamato; stigmatizzano la svendita a un nuovo padrone straniero (e i Talebani che si aggirano nella capitale non sono afgani, né pashton) – stavolta il Pakistan è arrivato al suo intento di occupare le terre a ovest della Durand Line... ma il boomerang adesso sono i pashton pakistani che cancellerebbero la Durand Line per coronare un altro sogno colonialista: il Pashtunistan. Ma gli afgani scettici ridono amaro, sapendo che nulla si fa se non ha un tornaconto o non rientra nei piani globali delle potenze mondiali... ed è lì che nasce la paura di una nuova guerra civile.
    14m 44s
  • Mettere a fuoco l'Afghanistan

    17 JUL 2021 · Emanuele Giordana, Yurii Colombo, Sabrina Moles: occhiali e punti di vista diversi per orientare lo sguardo nel paesaggio afgano I russi sono ancora scottati dalla avventura sovietica in Afghanistan, quindi hanno un approccio alla nuova fase di rimescolamento del potere nel paese centrasiatico: hanno preferito identificarsi in uno dei protagonisti clanici, i tagiki, quelli più affini a cui Mosca ha promesso appoggio militare senza coinvolgimento diretto per ottenere una sorta di cuscinetto, che allontani dai confini russi i Talebani, che già controllano il 70 per cento dei confini lungo l'Amu Darya; però Yurii Colombo ricorda come la recente guerra caucasica con gli armeni al posto dei tagiki è stata un fallimento. E anche in questo caso Putin ha cominciato a cercare una qualche intesa con i futuri presunti padroni dell'Afghanistan, che pare abbiano cercato di monetizzare con i russi la protezione dei loro alleati, dopo questo periodo di transizione durante il quale la maggior parte degli analisti si attendono una guerra civile. E in fondo qualche forma di scontro armato facilmente si scatenerà, perché una guerra civile è richiesta dal business del traffico d’armi; ciò che è imponderabile è quanto sarà intensa, la durata e chi ne sarà coinvolto. Emanuele Giordana ci ricorda come i russi già 3 anni fa, durante l'offensiva afgana avevano rafforzato i dispositivi di difesa tagiche; l'intento è duplice e mira anche a tenere fuori dai territori delle ex repubbliche sovietiche le basi americane. Peraltro anche agli Usa fa comodo poter dire che si ritirano dall'Afghanistan, puntando a interventi dalle navi dislocate strategicamente nel territorio per controllare il fronte sud dell'ex Urss, sia in funzione antiraniana La preparazione della guerra civile sembra avviata, visto il rafforzamento dei vecchi signori della guerra di vent'anni fa; i talebani hanno agito strategicamente attaccando le zone del Nord del paese mentre le forze governative sono dislocate maggiormente al Sud e hanno occupato i posti di frontiera senza quasi colpo ferire, controllando il transito delle merci e così facendo un'azione di propaganda, come nel caso di Spin Boldak, il valico con il Pakistan; infine il traguardo dei negoziati di Doha comporta una corsa ad arrivarci in posizione di preminenza e dunque avendo fatto azioni di forza. Si è venuto dunque a creare un garbuglio di interessi che va a detrimento soprattutto dei giovani. Yurii tiene ad accendere un riflettore sui vari "stan" e in particolare su Uzbekistan e Turkmenistan, che non hanno alcuna intenzione di rientrare sotto l'ombrello russo, e già non sono entrati nell'alleanza. Sono neutrali; e infatti Mosca ha già cercato di sensibilizzarli al pericolo talebano. Infatti in particolare l'Uzbekistan ha già iniziato a trattare direttamente con i Talebani, ai quali – secondo Yurii – interessa per ora aprire falle e con i russi sembra ci stiano riuscendo, dopo l'invito a Mosca, le dichiarazioni e l'irritazione di Putin nei confronti del governo di Kabul. Su questo si innesta anche il problema dei molti jihadisti coinvolti nella guerra siriana e nei tanti focolai di guerra che vedono l'utilizzo di mercenari alla ricerca di nuovi padroni; e se c'è stato uno scontro tra Talebani e militanti dell'Isis, i perdenti staranno cercando di riorganizzarsi (probabilmente in quella zona tagika che torna come luogo centrale in questa fase). E per Mosca questo è un problema molto sentito, visti gli episodi nei decenni scorsi di attentati islamisti – ceceni, ma anche ultimamente kirghizi – che hanno segnato la sensibilità alla sicurezza antijihadista di Mosca e dei suoi servizi. I Talebani sono una forza retriva, reazionaria del paese, ma sono anche sottomessi al consenso nel paese, oggi: sanno di non avere popolarità, se non derivante dall'errata gestione di questi vent'anni di occupazione e di bombardamenti ed eccidi, perché il periodo del regime talebano furono di fame e stenti, oltreché di mancanza di diritti. E gli afgani non vogliono tornarci, perciò Emanuele Giordana si dichiara fiducioso nella pressione della cittadinanza per evitare la continuazione di 40 anni ininterrotti di guerra e che l'unica strada è l'accordo di tutti gli afgani e si possono rilevare come passi in questa direzione una maggiore tolleranza da parte talebana del rispetto dei diritti delel donne persino nelle zone da loro controllate, o l'apertura ad altre etnie diverse da quella pashtun. Ed è proprio la rottura di questa cappa clanica a poter rappresentare quel poco di buono che hanno rappresentato questi vent'anni di occupazione militare, se si immagina cosa ha potuto rappresentare in termini di contaminazione culturale il contatto instauratosi tra le genti che hanno attraversato il territorio. La questione imperiale vede a seconda dell'approccio con occhiali moscoviti, han o dalla realtà afgana, impressioni che si differenziano molto: dalla considerazione russa che aveva secondo Yurii Colombo scarso interesse imperiale per il territorio afgano rispetto al Great Game dell'impero britannico o della grande partita della Guerra Fredda e la Cina stessa si andrebbe a posizionare su ancora altre forme di interesse. Perciò nella discussione si inserisce Sabrina Moles, che riconosce come l'Afghanistan sia stato coinvolto nella Belt Road Initiative solo tangenzialmente, proprio perché considerato instabile. La Cina ha preferito avvicinare il Pakistan che ora è un alleato particolare nella regione, di cui interessa nella logica cinese una stabilizzazione per poter fare affari. L'altro aspetto interessante è che il corridoio afgano condiviso con il territorio cinese si affaccia sulle estreme propaggini dello Xinjiang, territori a ovest del Taklimakan, di grandi mercati interetnici... nazione uygura, con cui anche i Talebani sono stati coinvolti. La provocazione di Emanuele Giordana a proposito dei cinesi è un augurio che davvero decidano di occuparsi dell'area afgana e in buona misura lo hanno già fatto con dei contratti capestro, accaparrandosi miniere e che può contrapporsi a tutti gli altri protagonisti, rispetto ai quali ha una sostanziale differenza: non prediligono la guerra come via militare al controllo del territorio; poi non hanno remore a trattare con chi detiene il potere, chiunque egli sia. Persino i Talebani. Yurii è perplesso riguardo alla possibilità che si possa arrivare a una reale alleanza tra Russia e Cina, venuta meno negli scontri tra le due potenze comuniste degli anni Sessanta. Anche Sabrina concorda, seppure proprio riguardo al rapporto con gli "stan" si può individuare una sorta di organismo di sicurezza accomunante Mosca e Pechino, solo che attraverso la Shanghai Cooperation Organisation la Cina tende a essere egemone con i semplici fini di controllo dei confini e di estensione degli affari. Un ultimo aspetto riprende il ruolo specifico del Pakistan nel contesto afgano che Sabrina conferma esistere realmente come collaborazione con Pechino, benché Islamabad abbia proprio in questi giorni convulsi dialogato riguardo alla Bri sul confine afgano con entità non istituzionali; l'interesse deriva anche dall'ingombrante presenza dell'India e dall'importanza del corridoio sino-pachistano con interessi per 62 miliardi
    38m 11s

Sarà la solita transizione verso un baricentro esterno o stavolta cambierà l'esercizio del potere? Nell'immediato alle viste abbiamo una probabile riedizione della guerra civile, con gli stessi protagonisti, ma forse...

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Sarà la solita transizione verso un baricentro esterno o stavolta cambierà l'esercizio del potere?
Nell'immediato alle viste abbiamo una probabile riedizione della guerra civile, con gli stessi protagonisti, ma forse si limiterà a sancire una spartizione entro limiti che rappresentino le reali forze locali... e poi si esprimerà la solita influenza di potenze esterne. Questa volta si manifesterà alla fine ancora con l'occupazione manu militari come per gli imperi britannici, sovietici e americani, oppure chi controllerà il potere sul territorio attiverà alleanze, siglerà accordi...?
Lo snodo epocale che si prospetta con la ritirata anche dell'esercito Nato trova la società afgana finalmente in grado di emanciparsi e di rendersi espressione di una comunità pacifica, tollerante e inserita nel consesso mondiale alla pari con il resto del mondo? oppure come scritto ormai due anni fa da Giuliano Battiston:«Senza una sottostante pace sociale ogni accordo politico tra attori illegittimi è destinato a produrre risultati effimeri».

Lo sguardo sull'Afghanistan assume ottiche diverse a seconda di quali occhiali si indossano: l'impero britannico guardò alle valli al di là del Khyber Pass in un'ottica indiana; quello russo dal bisogno di rafforzare il fronte degli "stan"; gli americani guardavano al mondo iraniano; i cinesi stanno gettando uno sguardo dalla Via della seta, dall'Hindu-Kush, dallo Xinjiang uyguro; l'India cercando di cancellare il Pakistan dal panorama che vedono orientando lo sguardo verso Kabul; i pakistani con un'ottica ravvicinata e tribale.
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