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Tigray nascosto: silenzioso annientamento di una comunità

Tigray nascosto: silenzioso annientamento di una comunità
May 15, 2021 · 23m 5s

Le parole ferme, lancinanti e determinate di Gloria, diciottenne afrodiscendente toscana legata al Corno d'Africa, ci hanno dischiuso – già il 6 maggio durante la trasmissione Bastioni di Orione di...

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Le parole ferme, lancinanti e determinate di Gloria, diciottenne afrodiscendente toscana legata al Corno d'Africa, ci hanno dischiuso – già il 6 maggio durante la trasmissione Bastioni di Orione di Radio Blackout – una delle situazioni più infernali completamente occultate dal mondo.
Una delle sintesi più complete proviene ora dall'Ispi che inquadra tutti gli aspetti di un tentativo di cancellazione di un popolo: «Stupri e assedio come arma di guerra nel Nord dell’Etiopia. E il patriarca ortodosso denuncia “un genocidio” contro la popolazione tigrina, ma il conflitto resta ‘invisibile’ agli occhi della comunità internazionale».
Così prosegue la nota dell'Ispi di @cam_casola (Camilo Casola): «Migliaia di donne, ragazze e bambine sarebbero vittime di stupri di guerra nella regione del Tigray, in Etiopia settentrionale al confine con l’Eritrea, teatro da mesi di un conflitto che vede impegnato l’esercito di Addis Abeba, a cui si sono unite le truppe della vicina Eritrea, in lotta contro il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf). Il conflitto ha provocato lo sfollamento interno di migliaia di persone e la fuga di oltre 63000 tigrini nelle regioni confinanti del Sudan orientale, mentre l’Onu ha confermato che i militari bloccano l’accesso alle vie di comunicazione impedendo la distribuzione di cibo e aiuti nella regione dove ormai l’80 per cento della popolazione (6 milioni di persone) rischia di morire di fame. Come se non bastasse, a denunciare il ricorso agli stupri come arma di guerra sono diverse associazioni sul territorio, mentre nella capitale proseguono gli arresti ai danni di giornalisti. Le testimonianze riferiscono di violenze sessuali “diffuse e sistematiche” perpetrate da uomini in uniforme. Nel suo briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 15 aprile, Mark Lowcock, coordinatore dei soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, ha dichiarato che “non c'è dubbio che la violenza sessuale sia usata in questo conflitto come arma di guerra, come mezzo per umiliare, terrorizzare e traumatizzare un’intera popolazione oggi e una generazione successiva domani”. Da settimane le accuse di massacri ai danni dei civili nella regione del Tigray si moltiplicano. Appena pochi giorni fa, il patriarca della Chiesa ortodossa etiope ha accusato il governo di genocidio contro il popolo dei Tigrini. “Dio giudicherà tutto” ha detto il patriarca Abune Mathias, un tigrino, aggiungendo: “Non so perché vogliono spazzare via la gente del Tigray dalla faccia della terra”. Il primo commento pubblico dall'inizio della guerra da parte del patriarca è stato affidato a un messaggio video ripreso con il cellulare dal direttore di una ong americana nel paese. Secondo Cnn, il religioso – 80 anni, patriarca ortodosso del paese con la più antica tradizione cristiana dell’intero continente africano – avrebbe registrato di nascosto il messaggio da Addis Abeba dove sarebbe agli arresti domiciliari nella sua residenza. È in questo contesto, di sospette violazioni del diritto umanitario e crimini di guerra e contro l’umanità, che si stanno consumando stupri etnici di massa».
Anche la ricostruzione dell'Ispi si fonda su notizie ampiamente condivise – ma pochissime e ampiamente filtrate da tutti gli stati limitrofi al Tigray, che appaiono contribuire alla dissoluzione della nazione tigrina, che ha controllato il potere etiope per quasi un trentennio; riporta l'Ispi: «Il casus belli, fatto risalire a un attacco delle forze tigrine a una base federale, sarebbero in realtà le elezioni convocate a settembre 2020 dalle autorità tigrine in segno di sfida contro il lockdown nazionale imposto da Addis Abeba. Ma le ragioni dello scontro tra il primo ministro e l’élite tigrina hanno radici ancor più profonde e affondano in una lotta di potere e legittimità tra il governo federale e il Tplf. Il 27 novembre il capoluogo Macallè cadeva e la giunta del Tplf veniva sostituita con una amministrazione ad interim. Abiy promise che la guerra si sarebbe conclusa in poche settimane e non avrebbe sprofondato il paese nel caos. Lo scorso 26 marzo il premier Abiy ha dichiarato che le truppe eritree si erano ritirate dal Tigray, ma secondo diversi mezzi di informazione la loro presenza sarebbe ancora ben visibile sul territorio».
Doveva essere un Blitzkrieg, un'operazione di polizia, va avanti da 6 mesi: non è stata valutata la capacità di resistenza di Macallé (o forse non si pensava ci fosse un così forte supporto al Fronte tigrino da parte degli abitanti dell'area)? L'@ispionline si pone alcune domande condivisibili: «il blackout sui mezzi di informazione, mentre l’accesso agli operatori umanitari è arbitrario e consentito con il contagocce. Inquietanti interrogativi si moltiplicano: Addis Abeba non vuole testimoni delle massicce violazioni dei diritti umani da parte delle truppe federali? L’Eritrea sta approfittando della situazione per assestare un colpo definitivo ai tigrini, avamposto delle truppe etiopi nei lunghi anni di guerra tra i due paesi?».
Oltre a Gloria proseguiremo prossimamente con testimonianze provenienti dal Corno d'Africa.
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Author OGzero - Orizzonti geopolitici
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