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Puntata 5 - Non è decisamente come ce lo ricordiamo...

Puntata 5 - Non è decisamente come ce lo ricordiamo...
Jul 4, 2021 · 8m 21s

Scommetto che se dico... Ariosto, vi viene in mente subito “Orlando Furioso”. E scommetto anche che molti di voi, se dico “Orlando Furioso”, penseranno “che palle!”, memori di lezioni scolastiche,...

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Scommetto che se dico... Ariosto, vi viene in mente subito “Orlando Furioso”. E scommetto anche che molti di voi, se dico “Orlando Furioso”, penseranno “che palle!”, memori di lezioni scolastiche, magari frettolose e anche un po' pesanti.

In realtà il buon Ludovico ha avuto una vita apparentemente comune, specie in confronto ad altri grandi come Dante, Petrarca, Foscolo e altri. Tuttavia non fu per niente scontata, e se vogliamo fu anche avventurosa: primo di dieci figli, a causa della precoce morte del padre si dovette presto occupare del sostentamento della sua famiglia, rinunciando così a molte sue libertà, al punto da prendere gli ordini minori, e da mettersi al servizio di un cardinale, peraltro, per come lo dipinge nelle sue satire, piuttosto spocchioso.
Ebbe varie avventure amorose, sinché non incontrò l'amore della sua vita: Alessandra Benucci.
Lui aveva preso gli ordini minori, lei era diventata vedova poco dopo l'inizio della relazione con lui, e avendo entrambi dei figli da mantenere non potevano perdere le loro rendite dichiarando ufficialmente la loro relazione, ma nonostante ciò i due erano così innamorati che, dopo una frequentazione di quindici anni, si sposarono in segreto.

Le difficoltà e le rinunce di Ariosto lo avrebbero potuto infiacchire, o magari trasformare in un pessimista assoluto: in realtà l'Orlando Furioso, se anche troviamo episodi a tinte fosche o opinioni che oggi ci sembrano assurde, è colmo di ironia.

La tagliente ironia di Ariosto ribolle anche in tutte le sue Satire, per non parlare delle sue opere teatrali.

La sua voglia di vivere e amare però è ancor più facilmente percepibile in questa straordinaria dedica a una notte d'amore passata insieme alla sua amata Alessandra, in cui ringrazia tutte le condizioni favorevoli che gli concessero di poterne godere.
Ringrazia le stelle, dotte, cioè esperte, nell'aiutare gli amori nascosti, che in quella notte diminuirono la loro luce per aumentare per lui le “amiche tenebre”.
Ringrazia il sonno per aver lasciato i due amanti ben svegli mentre gli altri dormivano profondamente, non potendo così sentire che cosa succedesse nel frattempo.
Ringrazia la porta, aperta silenziosamente.
Cita poi la felicità della sua mente, la mano benedetta dell'amante, i complessi, cioè gli abbracci, ripetuti; la dolcezza della bocca dell'amata; il letto, testimone dei piaceri e donatore dei giusti premi.
Cita, per esaltarli, tutti gli oggetti che ebbe come “ministri”, come compagni dell'“alto piacer”.
E non vuole dimenticare di citare la lucerna con cui poteva vedere meglio e così duplicare il suo piacere, perché, dice il poeta, “non si può dir perfetta una gioia amorosa a lume spento”. Sostiene infatti che giovi ad un soave effetto nutrire la vista degli occhi divini dell'amata, della sua fronte, del suo bianco petto, ammirare le ciglia e i capelli ricci dell'amata, le rose sulle labbra, su cui può poggiare le sue labbra senza temere le spine; e che giovi anche ammirare il corpo dell'amata, a cui non si può uguagliare nessuno splendore, osservando che le grazie del cielo sono state generose con il fisico dell'amata; e ancora, che giovi soddisfare ciascun senso, sì che tutti godano senza escluderne uno.
Il poeta conclude chiedendosi perché i frutti dell'amore siano così rari, perché il tempo della gioia sia così breve e perché i lutti siano invece lunghi e senza fine.
Si lagna con l'Aurora, per aver lasciato il letto di suo marito, Titone, per portare il giorno dopo una notte così piacevole.
Conclude rivolgendosi proprio all'Aurora, chiedendole perché, dal momento che il vecchio Titone la annoia al punto da farla alzare così presto dal letto, non si trovi un amante più giovane, in modo da allungare anche per il poeta la durata della notte.
Secondo la leggenda infatti, Aurora chiese agli dei l'immortalità per il suo sposo, dimenticandosi però di chiedere per lui anche l'eterna giovinezza. La decrepitezza del marito dunque la spingeva ad abbandonare il prima possibile il letto coniugale e a riportare il giorno sulla terra, invidiosa degli amanti notturni.
Il poeta esorta dunque l'Aurora, alla fine, a vivere, lasciando gli altri vivere con gioia.


O più che il giorno a me lucida e chiara,
Dolce, gioconda, avventurosa notte,
Quanto men ti sperai, tanto più cara!
Stelle a’ furti d’amor soccorrer dotte,
Che minuiste il lume, né per vui,
Mi fûr l’amiche tenebre interrotte!
Sonno propizio, che lasciando dui
Vigili amanti soli, così oppresso
Avevi ogn’altro, ch’invisibil fui!
Benigna porta, che con sì sommesso
E con sì basso suon mi fosti aperta,
Ch'a pena ti sentì chi t’era presso!
O mente ancor di non sognar incerta,
Quando abbracciar dalla mia dea mi vidi,
E fu la mia con la sua bocca inserta!
O benedetta man ch'indi mi guidi;
O cheti passi che mi andaste innanti;
O camera che poi così m’affidi!
O complessi iterati, che con tanti
Nodi cingeste i fianchi, il petto e il collo,
Che non ne fan più l'edere o gli acanti!
Bocca, onde ambrosia libo, né satollo
Mai ne ritorno! dolce lingua, umore,
Per cui l’arso mio cor bagno e rimollo!
Fiato che spiri assai più grato odore
Che non porta, da l’Indi da’ Sabei,
Fenice al rogo ove s’incende e more!
O letto testimon de’ piacer miei;
Letto cagion che una dolcezza io gusti,
Che non invidio il lor nettare ai Dei!
O letto donator de’ premî giusti;
Letto che spesso in l’amoroso assalto
Mosso, distratto ed agitato fusti!
Voi tutti ad un ad un, ch’ebbi dell’alto
Piacer ministri, avrò in memoria eterna,
E, quanto è il mio poter, sempre vi esalto.
Né più debb’io tacer di te, lucerna,
Che con noi vigilando, il ben ch’io sento,
Vuoi che con gli occhi ancor tutto discerna.
Per te fu duplicato il mio contento:
Né veramente si può dir perfetto
Un amoroso gaudio a lume spento.
Quanto più giova in sì soave effetto
Pascer la vista or degli occhi divini,
Or della fronte, or dell’eburneo petto:
Mirar le ciglia e gli aurei crespi crini,
Mirar le rose in su le labbra sparse,
Porvi la bocca, e non temer di spini:
Mirar le membra, a cui non può agguagliarse
Altro candor, e giudicar mirando
Che le grazie del ciel non vi fûr scarse:
E quando a un senso soddisfare, e quando
All’altro, e sì che ne fruiscan tutti,
E pur un sol non ne lasciare in bando!
Deh! perché son d’amor sì rari i frutti?
Deh! perché del gioir sì breve è il tempo?
Perché sì lunghi e senza fine i lutti?
Perché lasciasti, oimè, così per tempo,
Invida Aurora, il tuo Titone antico,
E del partir m’accelerasti il tempo?
Ti potess’io, come ti son nemico,
Nocer così! Se il tuo vecchio ti annoja,
Ché non ti cerchi un più giovane amico?
E vivi, e lascia altrui viver in gioja!
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Comments
Mamù - Mattia Murgia

Mamù - Mattia Murgia

2 years ago

Grazie!
Gabriella Botta

Gabriella Botta

2 years ago

Grazie, molto piacevole.
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Author Mamù - Mattia Murgia
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