Sappiamo in generale poco di quello che succede alle cose che buttiamo dopo che lasciano le nostre case rinchiuse in sacchetti di plastica: da poco più di un anno, il sistema con il quale ci liberavamo della spazzatura ha smesso di funzionare. C’entra la Cina, come ci spiega Giovanni De Benedictis. Ludovica Lugli invece ci racconta le cose che abbiamo sempre saputo male sulla plastica che finisce negli oceani.
Fa pensare come noi ci sbattiamo per pulire i vasetti di yogurt e una percentuale obesa della plastica in mare è causata da altri continenti. Bravi, come sempre
Grazie per aver dato grande spazio a un tema così importante. Segnalo però alcune imprecisioni e posizioni discutibili. 1: Dire che la plastica in mare proviene da fiumi asiatici e quindi la sua dispersione non è colpa nostra contraddice tutta la prima parte del podcast, nella quale si riassumono decenni di rifiuti di scarsissimo valore mandati in Cina da noi (e non da qualcun altro). 2: Copenhagen non dimostra che gli inceneritori non inquinano (anche se sicuramente quello danese è nei limiti di legge), ma che per dare un senso alla poca energia che recuperano bisogna farli in città: il teleriscaldamento ha senso nei luoghi freddi e vicino alle case. Certo, un inceneritore è meglio di una discarica o un rogo tossico. 3: Quando si parla di NIMBY bisogna ricordarsi che ora neanche i cinesi vogliono robaccia vicino casa. Colpevolizzare i cittadini è ingiusto, inutile e controproducente (lo spiego poi). 4: Sui sacchetti biodegradabili non ho capito la posizione dell'intervistata ma, da quanto so, per conferirgli le necessarie proprietà meccaniche sono mischiati a plastiche non degradabili (circa il 60% in peso) che, quando si dissolvono, finiscono nell'ambiente: s'era appena detto che le microplastiche sono un grosso problema... 5. L'industria usa le migliori tecniche per produrre h24 beni che - per leggi di conservazione del flusso - prima o poi diventano rifiuto. Se il bene prodotto ha un valore di mercato che merita l'investimento industriale, il rifiuto il mercato - letteralmente - lo rifiuta. Pensare di recuperare rifiuti di beni prodotti industrialmente con pratiche semiartigianali che coinvolgono i cittadini è assurdo: dire ai cittadini che dovrebbero informarsi dove mettere il tetrapak e gli scontrini o che dovrebbero pulire il vasetto dello yogurt è industrialmente privo di significato: le persone responsabili lo faranno pure, ma sono in netta minoranza. E come classe dirigente, non tener conto di ciò è da irresponsabili.