Chi di noi non ha mai vissuto un conflitto con la propria immagine ed il proprio involucro di presentazione rispetto al resto del mondo? Il campo della cosiddetta diet culture – la cultura della dieta – è un campo minato: grassofobia, conta calorica continua, misurazione delle porzioni di cibo, distorsione della propria immagine, sono solo alcune delle conseguenze di una cultura fortemente radicata e figlia del mito della bellezza. Dai primi del ‘900 si è cercato di insegnare alla popolazione tanto femminile quanto maschile che l’unica unità di misura che conta è la caloria, affiancata dalla bellezza intesa come valuta universale, come sostiene l’autrice femminista e liberale Naomi Wolf. Per combattere questo sistema abbiamo bisogno di un nuovo modo di vedere e di vederci; di riappropriarci dell’aggettivo “grasso” restituendogli la sua neutralità descrittiva e di questo si occupano, ad esempio, gli account social “belle di faccia” e “guy overboard” spiegando l’apporto del movimento body-positive, ieri come oggi, nella lotta fra la magrezza come supremo standard di bellezza e un approccio salutare al mondo della nutrizione. Come sfatiamo, dunque, il mito della bellezza? Con “sesso, amore, attrazione e stile non solo intatti, ma più fervidi che in passato”: smettiamola – per quanto difficile possa sembrare – di interpretare e interpretarci in termini negativi, di rincorrere ideali che, in totale libertà probabilmente non apparterrebbero nemmeno al nostro occhio. E’ il momento, questo XXI secolo della positività e propositività: sessuale, fisica, relazionale. Femminista.
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