"Umanità in guerra: nonno Toni" del 01-05-22

Apr 30, 2022 · 19m 44s
"Umanità in guerra: nonno Toni" del 01-05-22
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UMANITÀ IN GUERRA: NONNO TONI A ridosso dell’anniversario del 25 aprile, nel giorno in cui si celebra la festa del lavoro affidata a S. Giuseppe Lavoratore che celebriamo nel 1°...

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UMANITÀ IN GUERRA: NONNO TONI
A ridosso dell’anniversario del 25 aprile, nel giorno in cui si celebra la festa del lavoro affidata a S. Giuseppe Lavoratore che celebriamo nel 1° maggio. Avvolti dalla cupa nube di orrori di guerra e di precarietà della vita, vorrei proporre una riflessione proprio sulla dignità dell’esistenza umana.
Ci sono cose che fanno grandi anche le persone più semplici, quelle come noi che non vivono sotto i riflettori delle news eclatanti.
Vi parlerò di mio nonno Toni, per rendere omaggio ai tanti “Toni”, quelli della schiena dritta, che fanno bella la vita.
Per arrivare a questo vorrei partire da un componimento poetico che tutti conosciamo a memoria. È una poesia di Giuseppe Ungaretti: SOLDATI.
Si sta come / d'autunno
sugli alberi / le foglie
Questo breve componimento di Giuseppe Ungaretti si trova nella raccolta L'Allegria. Questa poesia è formata da un'unica similitudine, soldati/foglie.
Leggendo o ascoltando questo testo notiamo subito come si riferisca alla guerra, e sia attraversato da un presagio di morte.
Al termine “soldati” è però facilmente sostituibile quello di uomini, e alla guerra è applicabile la più ampia nozione di vita. Così ci rendiamo conto come non siano solo i militari al fronte a vivere una condizione precaria e incerta, ma come sia la natura stessa dell'essere umano a dover fare i conti con la propria finitudine.
Tutti ogni giorno dobbiamo fare i conti con la nostra finitudine. Con la precarietà della vita. E la guerra accresce questa consapevolezza.
Rispetto alla vita, al mio paese ancora oggi si usa dire “Oggi in figura, domani in sepoltura” … oggi va bene, domani potrei non esserci più. È terribile tutto questo, lo sappiamo, ma è realtà. Da questo non si scappa.
È allora che mi sorge – o può sorgere – una riflessione. Questo orizzonte di incertezza e di finitudine che è sempre lì dietro all’angolo imprendibile quanto imprevedibile, potrebbe trasformarsi in un monito o meglio ancora, uno stimolo per come impostare la vita.
C’è un componimento poetico diventato canto che paragona la nostra esistenza di uomini a una foglia e a dei giunchi che quotidianamente hanno a che fare con il vento.
IL DONO DEL VENTO: TESTO E MUSICA DI Davide Van de Sfroos
“Dove andrai a cadere foglia bruna
dove ti porteranno il vento e la fortuna”
“Dondolando sopra il mio ramo, non ci ho ancora pensato
e anche se poi io ci penso, non potrò averlo saputo;
per il momento io danzo fino a quando mi dovrò staccare
e dovunque io vada a cadere dirò che ho volato”.
I giunchi oscillano nel vento che viene dal monte, che viene dal mare
oscillano che altro non possono fare
e qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo
qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato
ma in molti accettano il dono di farsi cullare
in molti accettano il dono di farsi cullare.

Noi – ciascuno di noi – è dondolato o sbattuto dal vento delle situazioni, degli eventi, dei fatti, degli incontri, delle esperienze. A volte questo vento è pesante e ti mette a dura prova, come i giunchi qualcuno non riesce a portare il peso della fatica del vivere e desidera che qualcuno lo spezzi, lo recida. Altri – la maggioranza - accetta di farsi cullare. Facciamoci cullare…

Credo sia importante conoscere questa forza che spinge l’esistenza. Riuscire a riconoscerla, ma più ancora stabilire quale sia. Sembra strano ma noi abbiamo anche la possibilità di scegliere da chi farci cullare. Possiamo dare un nome a questa silenziosa forza che ci spinge e che ci fa dare un valore aggiunto e grande alla vita.
Per noi credenti è la misteriosa e silente forza dello Spirito. E – guardate – è lo stesso spirito che ha animato l’esistenza di quel Gesù di Nazareth, Dio-uomo che ancora non ha smesso di offrirsi agli uomini di ogni tempo, di impastare la loro esperienza terrena con i colori del cielo.
Di dare una dignità alla vita. Di poter camminare a testa alta perché i nostri passi siano guidati e mossi da ciò che rende onorabilità ad ogni esistenza. Che la caratterizza, la rende rispettabile … anche dentro gli orrori della guerra.
Mio nonno Toni, era nato nel 1908 in una contrada, che porta il suo cognome che poi è anche il mio, di un piccolo paese di montagna, in terra vicentina: Conco.
È posto tra la pianura padana e le Prealpi venete, porta di accesso al grande e meraviglioso altopiano dei 7 Comuni o anche detto di Asiago. Terra di montagna. Questo è un particolare importante per capire quello che vi voglio raccontare di lui.
Mio nonno era contadino - come tutti in montagna - viveva poveramente e tutta la sua famiglia - genitori compresi - era emigrata in terra francese. Appena sposato con la sua Nina - Fiorina all’anagrafe – ha cercato fortuna in Belgio, dove è nato mio padre. Le miniere non facevano per lui e richiamato dalle sorelle, anche lui raggiunse il sud della Francia, dove sono nate altre due figlie.
Mio nonno da piccolo, come tutti, era un fervente frequentatore della chiesa, al punto che era diventato così bravo nella conoscenza della dottrina cristiana che fu anche inviato nella sede della diocesi a Padova per partecipare ad una gara-concorso sul catechismo.
Ma qualche anno dopo successe una cosa strana.
Quando l’Italia ha dichiarato guerra all’Etiopia, l’esercito è stato in piazza S. Pietro a Roma dove – a detta di mio nonno – hanno ricevuto la benedizione papale. Nulla di più verosimile in quel periodo. Beh … a mio nonno quella cosa non andò giù, me lo ripeteva spesso. Non era possibile che chi andava ad ammazzare altre persone, potesse essere anche benedetto da Dio! Era il 1936!!!
Mio nonno abbandonò la frequentazione della chiesa.
Oggi potremmo dire… un obiettore ante-litteram.
Poi arrivò la seconda guerra mondiale e si ritrovò a battagliare nella compagine rossa dei partigiani, divenendo anche capo cellula del gruppo del paese.
Di umiliazioni ne subì molte. Solo dopo tanti anni ho capito e ora sappiamo perché i protagonisti, nonno compreso, non parlavano facilmente di quel periodo.
Una pagina di storia bruttissima e dolorosissima. Famiglie falcidiate da odio e violenze spesso gratuite, ingiustificate e brutali. Ma tant’è la guerra è così.
Una persona del mio paese che al tempo dei fatti era una ragazza, mi raccontava che spiando dalle finestre dell’osteria del paese, aveva visto mio nonno e un altro suo compagno, subire un violento interrogatorio dal gerarca del tempo e dai suoi scagnozzi.
Gli rimase impresso che mio nonno ricevette alcune percosse e ad uno schiaffo violento, gli volarono via gli occhiali, (senza i quali non poteva vedere) e che prontamente un uomo, che vestiva una divisa tutta nera, con il piede glieli schiacciò. Privando così mio nonno dell’autonomia visiva. Sanguinante, fu costretto a farsi accompagnare a casa da altre persone.
Io non mi meraviglio di tutto questo, purtroppo abbiamo ormai capito che la guerra non conosce limiti all’orrore e conduce l’uomo alla dis-umanizzazione. Alla brutalità.
Ma voglio arrivare a quanto successe ormai verso la fine di quella tristissima e orribile pagina di storia della nostra bella Italia. Una bellezza stuprata da piccole e grandi violenze, umiliazioni, soprusi e fratricidi. La bellezza di un popolo laborioso, semplice, amicale e benevolo, si è ritrovata a versare lacrime e ad aprire ferite, ancora oggi sanguinanti.
Verso la fine di quel periodo di orrore avvenne che i partigiani del mio paese, in un agguato, riuscirono a far prigioniero uno dei gerarchi fascisti, che si era macchiato di sangue e brutalità inferte a suoi compaesani.
Apro una parentesi: quelle brutalità furono provocate da ambedue le fazioni sia pur con motivazioni differenti e spinti comunque da forti idealità. Chiusa la parentesi.
Bene, quella persona – a detta dei partigiani – avrebbe dovuto pagare caro i suoi crimini. Pagare con la vita. Lo presero e lo condussero ad una delle loro basi sulla montagna. Lì in quel momento mio nonno non c’era.
Lo mandarono a chiamare per sentire cosa avrebbe deciso di fare. Forse qualcuno era certo che si sarebbe trattato non solo di emettere un verdetto di morte – che davano per scontato - ma sul come farlo morire.
Questo raccontò non lo seppi mai da mio nonno. Me lo raccontò un compagno d’armi solo dopo la morte del nonno. Mio nonno, come molti – ripeto - non parlava di quel periodo.
Quando mio nonno arrivo alla montagna gli andarono incontro festeggiando e sparando colpi di fucile in aria.
Raccontarono tutto a mio nonno, capo cellula, che ascoltò in silenzio. Alla fine parlò. Le sue parole furono queste: “gli avete dato da mangiare?”!!!
Non so se serve aggiungere altre parole. Io di fronte a questo mi fermo. Mi inchino con un groppo in gola e ringrazio il buon Dio, che ha permesso a mio nonno di non lasciarsi schiacciare dagli eventi e mantenere viva l’umanità che gli apparteneva!
Il vento della dignità, del rispetto dell’altro, chiunque esso sia, ha prevalso.
Anche dentro l’orrore della guerra, si può restare uomini! Il soffio dello spirito di Pace del Risorto, si fa largo dentro ad ogni situazione. Basta accoglierlo, lasciarsi cullare e alimentare e allora la vita diventa meritevole esperienza che vale la pena vivere.
E se la vita è come una foglia … io danzo fino a quando mi dovrò staccare
e dovunque io vada a cadere dirò che ho volato. Buon volo a tutti.
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Author Fabrizio Bagnara
Organization Fabrizio Bagnara
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