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Gli islamici applicano il Corano sull'esempio del loro fondatore Maometto... perché stupirsi delle conseguenze?
Islam - BastaBugie.it
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10 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7923
NUOVA ONDATA DI ATTENTATI ISLAMICI IN EUROPA di Lorenza Formicola
La chiesa dell'Immacolata Concezione nella cittadina di Saint-Omer, nel dipartimento del Passo di Calais nella regione dell'Alta Francia, non ha più un tetto, né un campanile. L'interno è completamente devastato, e non resta quasi nulla d'intero.
È stata data in fiamme lo scorso lunedì e per domare l'incendio sono dovuti intervenire 90 pompieri. Quando alle prime luci dell'alba, il parroco è stato informato dell'incendio in corso, s'è fiondato sul posto chiedendo ai pompieri di entrare in chiesa: «la cosa più importante, il Santissimo Sacramento, l'abbiamo recuperato», ha riferito poi. Ma la chiesa neogotica, costruita nel 1854 e che era stata restaurata nel 2018, adesso va ricostruita. Come Notre Dame a Parigi.
A compiere l'attentato anticristiano è stato un quarantenne uscito di prigione solo il 27 agosto. Il casellario giudiziario dell'uomo racconta di 26 condanne per reati gravi, tra questi decine di incendi dolosi in altrettante chiese.
Così, mentre il pubblico ministero ritiene che sono «necessari accertamenti psichiatrici e psicologici per comprendere le sue reali motivazioni in merito alla recidiva in particolare in relazione ai luoghi di culto», la Francia si conferma prima in Europa per attacchi, attentati e incendi in chiese cattoliche. L'unica costante che ha avuto, infatti, l'estate francese, sono stati gli attentati alla cristianità.
A luglio, a pochi giorni di distanza, sono stati appiccati incendi nella chiesa di Saint Simplicien a Martigné-Briand che ha visto il confessionale bruciare per intero e poi nella cattedrale di Rouen che ha distrutto "solo" la guglia più alta, il resto è stato sedato in tempo. In entrambi i casi, nessun colpevole.
E se era da qualche anno che «Allah Akbar» non compariva sul portone di una chiesa come fu per Notre Dame du Taur a Tolosa e a Saint Pierre du Martroi a Orleans dove, prima delle fiamme, il grido di battaglia islamico è stato lasciato come firma, la storia s'è ripetuta lo scorso 14 luglio. A Notre Dame du Travail, nel 14° arrondissement di Parigi, qualcuno - che non è stato ancora identificato - ha ricoperto l'interno dell'edificio sacro di pensieri come, «della chiesa qui stiamo bruciando la prima parte»; «sottomettetevi ad Allah»; «un solo dio Allah» insieme a tante altre scritte con bestemmie esplicite. L'attentatore ha provato anche a darle fuoco, ma senza successo e prima di abbandonare l'edificio, ha rubato dalla chiesa una statua lignea della Vergine Maria, ritrovata nel bagno in un bar accanto, con un coltello piantato alla gola, e il biglietto, «Maria, questo è il tuo destino. Noi musulmani non ti possiamo accettare».
OSTIE CALPESTATE
In Nuova Caledonia, ancora a luglio, incendi dolosi hanno colpito le chiese di Notre-Dame de l'Assomption, la chiesa di Tyé e di Saint Louis, di quest'ultima non resta più nulla. Atti di violenza talmente brutale da indurre un intervento sull'argomento a Macron e al ministro dell'interno, Darmanin. Ad agosto, invece, prima della messa domenicale il parroco della chiesa di Saint Pierre a Lège Cup Ferret, ha trovato il tabernacolo divelto e trafugato delle Ostie consacrate lanciate a terra e calpestate.
La cronaca francese degli attacchi alla cristianità raccoglie una lista sterminata e quanto mai creativa nella declinazione di una violenza gratuita, ciononostante non racconta mai di un colpevole. Basti pensare ai casi di Notre Dame, Saint Denis, Rennes, Saint Sulpice a Parigi, Pontoise, Nancy, Nantes, Nostra Signora delle Grazie di Revel, la chiesa di Saint-Jean-du-Bruel di Rodez, la cattedrale di Saint Alain di Lavaur: tutte chiese date alle fiamme negli ultimi anni e che sempre, stando ai pareri dei pubblici ministeri, avevano prove evidenti di incendi dolosi, eppure sono stati archiviati come incidenti. Al punto che, a lungo, c'è chi ha fatto ironia sullo strano fenomeno delle chiese francesi in autocombustione.
Quando, però, spunta un colpevole non sempre è utile. Come per l'estate del 2021, quando un sacerdote venne assassinato a Saint-Laurent-sur-Sèvre, in Vandea, nell'ovest della Francia. L'assassino si consegnò da sé alla polizia: era un clandestino del Ruanda, lo stesso che un anno prima aveva appiccato l'incendio alla cattedrale di Nantes perché esasperato dal fatto che non gli venisse rinnovato il permesso di soggiorno.
Un rapporto parlamentare sugli "atti antireligiosi", presentato al Primo Ministro nel 2022 da Isabelle Florennes, deputata dell'Hauts-de-Seine, e Ludovic Mendès, deputato della Mosella, menzionava 857 atti anticristiani commessi in Francia nel 2021, tra cui 752 attacchi a luoghi di culto e cimiteri cristiani. Quindi ogni giorno almeno due luoghi di culto in Francia sono stati oggetto di violenza. Nel 2022 gli attacchi contro la comunità cristiana sono aumentati dell'8%, secondo l'ultimo rapporto del Servizio centrale di intelligence territoriale (SCRT). Nel 2023, secondo il ministero dell'Interno, quasi 1.000 sono stati gli atti anticristiani: circa 3 attentati al giorno.
UNA VIOLENTA OFFENSIVA ANTICRISTIANA
Indagando la cronaca, vediamo che si tratta di un fenomeno sociale enorme per la Francia di Macron. Le radici sono profonde e soluzioni all'orizzonte non ci sono. L'ex figlia prediletta della Chiesa oggi conta almeno 40mila chiese, un dato che va accostato a quello della scristianizzazione che dilaga nel Paese e che è caratterizzata in particolare dal calo della pratica religiosa. Conservato, però, l'uso di tenerle aperte, ne segue che, prima di tutto, la sorveglianza nei luoghi di culto ogni anno va scemando: questo le rende luoghi molto facili da attaccare.
La vera comprensione del problema risiede, però, nella violenta offensiva anticristiana che imperversa in Francia. Un dato culturale che oscilla tra le derisioni e gli"atti intellettuali" di odio verso i cattolici e la guerriglia anche giudiziaria di associazioni e Ong varie, come la 'Libre pensée' e la 'Ligue des droits de l'homme' che, ogni qual volta si intravede un simbolo del cristianesimo nello spazio pubblico, sono pronte ad intasare i tribunali per condurre una guerra contro i cristiani. Sono anni che queste due associazioni tentano di ripulire la Francia dalle statue di san Michele e la Vergine Maria: emblematici i casi a Sables d'Olonne, in Vandea, e a Bordeaux.
Al contempo, se da decenni esiste una critica unanime, e a senso unico, contro l'istituzione cattolica, con tanto di cori della sinistra estrema che ripetono, «l'unica chiesa che illumina è quella che brucia», perché questo non può essere considerato un incitamento all'odio? E, soprattutto, come ci si può stupire dell'attuale deriva? La quale, peraltro, ha finito, inevitabilmente, per intrecciarsi con l'odio al cristianesimo insito nell'islam. Mettendo, parimenti, a repentaglio la vita e la libertà di tutti.
Quello di Macron è un Paese che vive il più importante fenomeno di scristianizzazione di massa dai tempi della Rivoluzione francese, e, in una Società dove non c'è più nulla da dissacrare, le chiese restano, nell'immaginario collettivo, l'ultima cosa di sacro rimasta in Francia. Per adesso, però, i portoni restano inagibili.
Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Germania sotto attacco jihadista: dopo Solingen, anche Monaco e Linz" mette in luce gli ultimi attentati islamici in Germania.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 settembre 2024:
La Germania è ancora in lutto per le tre vittime dell'attentato di Solingen, dove un terrorista islamico ha ucciso, a coltellate, tre persone del pubblico di un concerto in piazza. Ma quello, a quanto pare, era solo l'inizio. L'attentato di Solingen è del 23 agosto. Appena due settimane dopo, il 5 settembre, un altro terrorista dell'Isis ha cercato di fare una strage a Monaco di Baviera e il giorno dopo un altro affiliato dello stesso gruppo terrorista ha provato a uccidere, a Linz am Rhein, gli agenti della locale stazione di polizia.
Il 5 settembre non è una data casuale: è l'anniversario della strage alle Olimpiadi di Monaco del 1972. I terroristi palestinesi, dell'organizzazione Settembre Nero, presero in ostaggio e assassinarono undici atleti israeliani. Il 5 settembre di 52 anni dopo, giovedì scorso, un uomo è stato avvistato dalla polizia per le vie del centro di Monaco con un fucile a tracolla. Il terrorista ha sparato, prima, al Centro di documentazione sui crimini del nazismo, dove sono raccolti i documenti sulla persecuzione degli ebrei sotto Hitler. Poi puntava a fare una strage al Consolato israeliano, che però in quel momento, proprio per commemorare le vittime del 1972, era temporaneamente chiuso. L'aggressore ha sparato sul consolato, provocando l'immediata reazione della polizia che lo ha freddato, dopo un breve scontro a fuoco. «Durante il contatto con la persona - ha scritto la polizia di Monaco, su X - c'è stato uno scontro a fuoco nel quale il sospettato è stato ferito a morte. Nessuna altra persona è rimasta ferita».
Dopo la sua morte, si è risaliti all'identità dell'uomo col fucile. Era un diciottenne, cittadino austriaco, di Salisburgo, di origine bosniaca. Musulmano, pare si fosse radicalizzato su Internet. Secondo la stampa austriaca (ma le autorità non confermano), gli inquirenti avrebbero trovato sul suo cellulare materiale di propaganda dell'Isis. Essendo cittadino austriaco, non ha avuto problemi a passare la frontiera (un confine dell'area Schengen). Però resta da capire
30 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7858
LA TURCHIA RIFIUTA IL RIFORNIMENTO ALL'AEREO PERCHE' E' ISRAELIANO di Michael Sfaradi
Un volo della compagnia israeliana EL AL partito da Varsavia e diretto a Tel Aviv è stato costretto a un atterraggio di emergenza all'aeroporto di Antalya, in Turchia, per evacuare un passeggero bisognoso di cure mediche.
Dopo aver affidato ai medici turchi una donna che aveva probabilmente avuto un attacco cardiaco, come da prassi consolidata in questi casi il comandante ha chiesto il rifornimento del carburante sufficiente per arrivare a destinazione, ma i lavoratori dell'aeroporto turco si sono rifiutati nonostante l'atterraggio sia stato di emergenza.
C'è anche da sottolineare che ai passeggeri, anche questo contro ogni regola, era stato vietato di sbarcare e per aggiungere ulteriori difficoltà l'aereo era stato fatto parcheggiare in un punto in pieno sole.
I lavoratori turchi, sicuramente su indicazione dei dirigenti, oltre al carburante si sono rifiutati di rifornire le persone a bordo di acqua potabile e viveri, nulla di tutto ciò è stato messo a disposizione dell'equipaggio per essere poi distribuito fra le persone a bordo dell'aeromobile.
Questa situazione, comunque ignorata dalla quasi totalità della stampa internazionale nonostante il fatto di per sé sia di una gravità estrema, è venuta alla luce solo dopo la pubblicazione di una nota da parte della compagnia aerea.
RAGIONI UMANITARIE
I media israeliani hanno riferito che il Ministero degli Esteri aveva ricevuto rassicurazioni dalle autorità turche che all'aereo sarebbe stato consentito di fare rifornimento, ma le procedure andavano per lunghe e nel frattempo l'aereo stava bruciando carburante sulla pista per mantenere in funzione l'aria condizionata e altri sistemi.
A quel punto, e dopo aver preso contatto con le autorità greche, il comandante del volo ha deciso, prima che la riserva di carburante nei serbatoi non lo rendesse più possibile, di decollare per Rodi, a 40 minuti di volo di distanza, e fare rifornimento nell'aeroporto dell'isola.
Secondo una fonte diplomatica turca il carburante doveva essere fornito all'aereo per ragioni umanitarie e la procedura stava per essere completata, è stato il capitano israeliano che ha deciso di decollare di propria iniziativa.
Questa spiegazione oltre ad essere patetica è anche ridicola.
Era palese che il governo turco stava facendo di tutto per far rimanere a terra l'aereo e creare un nuovo caso diplomatico.
Non è da escludere che sia le persone a bordo sia l'equipaggio sarebbero poi stati trattenuti, con motivi pretestuosi, dalle autorità turche.
C'è anche da segnalare che secondo voci attendibili la torre di controllo non abbia dato assistenza in fase di decollo e che i piloti siano stati costretti a staccare dal suolo affidandosi ai soli dati strumentali dell'aeromobile.
L'ATTERRAGGIO PER EMERGENZA MEDICA
Sapremo se queste voci rispondono al vero solamente se la compagnia israeliana farà denuncia verso gli enti di controllo della sicurezza aerea internazionale mettendo a disposizione le scatole nere dell'aereo che hanno continuato a registrare anche a terra perché, è giusto ricordarlo, i motori sono rimasti accesi durante tutto il periodo della sosta.
L'atterraggio è stato per emergenza medica, infatti tutti i voli diretti tra Israele e Turchia sono stati cancellati poco dopo lo scoppio della guerra contro il gruppo terroristico Hamas in seguito al 7 ottobre 2023, quando migliaia di terroristi invasero il sud di Israele dalla Striscia di Gaza, uccidendo circa 1.200 persone e prendendo 251 ostaggi.
Fin dai primi giorni il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha sostenuto Hamas nella guerra e ha ospitato il suo leader Ismail Haniyeh a Istanbul in aprile e in maggio e ha anche affermato che più di 1.000 membri di Hamas, feriti durante i combattimenti, erano in cura negli ospedali turchi.
Dopo essere stato rifornito in Grecia l'aereo ha potuto concludere il suo avventuroso viaggio ed è arrivato in Israele nella serata del 30 giugno.
È la prima volta in assoluto nella storia dell'aeronautica civile che viene negata assistenza a terra a un volo atterrato per un'emergenza.
Ciò che è accaduto in questo caso è l'ennesima prova di quale sia il vero volto di chi fino a pochi anni fa chiedeva con insistenza di entrare a far parte dell'Unione Europea.
9 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7852
FRANCIA, LA MEZZALUNA AVANZA NELLE SCUOLE E NELLE AZIENDE di Lorenza Formicola
Siamo nel ventesimo arrondissement di Parigi, e il preside del liceo Maurice-Ravel, nel timore di andare incontro al medesimo destino di Samuel Patty o Dominique Bernard - due delle tante vittime dell'islamizzazione delle scuole d'oltralpe: sgozzate per aver parlato d'islam non come i musulmani vorrebbero -, ha deciso per il pensionamento anticipato. Tutto inizia il 28 febbraio, quando, il preside ricorda a tre studentesse di togliere il velo prima di entrare in aula, come vuole la legge. Due obbediscono, la terza no. Invitata a lasciare la scuola, sporge denuncia per "violenze" (poi archiviata per mancanza di prove) e si affida alla pagina Facebook del Collectif contre l'islamophobie en Europe'(associazione dissolta per propaganda islamista nel dicembre 2020). Secondo il meccanismo ormai consolidato, la comunità islamica si è sollevata: piovono violentissime minacce di morte contro il preside che trenta giorni dopo decide di lasciare, certo di non poter godere di nessuna protezione.
GLI INSEGNANTI SONO TERRORIZZATI
Gli analisti registrano come i giovani immigrati di seconda e terza generazione ostentino un esacerbato ossequio nei confronti del loro credo, certamente maggiore dei loro genitori o nonni. E così accade che nelle scuole sia sempre più difficile far rispettare le regole ordinarie, quelle che valgono per tutti. A Mayotte, dipartimento d'oltremare della Francia, e dove la popolazione musulmana è già al 95%, la nuova università aperta per volontà dell'ex primo ministro Élisabeth Borne lo scorso gennaio è stata inaugurata da un rappresentante musulmano con tanto di preghiera islamica. Tempo tre mesi, è stata anche allestita una sala di preghiera, arrivata persino prima degli uffici per i professori.
In tutta la Francia gli studenti polemizzano per i programmi scolastici e per ogni sorta di regola che non risponda all'islam. Dimostrano di voler rimanere sostanzialmente "diversi" in attesa di plasmare ogni cosa secondo i dettami islamici. Non vogliono studiare storia dell'arte, scienze e storia, mentre l'ora di educazione fisica vede le ragazze presentare costantemente un certificato medico per non indossare la divisa sportiva. Durante il Ramadan, a mensa c'è una tensione costante.
Bernard - nome fittizio di un professore di Hauts-de-Seine - descrive a Le Figaro l'ingerenza dei sindacati di estrema sinistra che difendono e sponsorizzano il "comunitarismo" islamico. Risultato? «Gli insegnanti sono terrorizzati all'idea di parlare apertamente. Vi racconto il mio caso: nella mia classe avevo studenti segnalati come "Fiche S" - quanti sono considerati potenzialmente una minaccia per la sicurezza dello Stato -, ma nessuno mi ha mai detto chi fossero e perché erano stati segnalati. Una volta uno studente salafita mi ha minacciato di morte perché secondo lui avevo detto inesattezze sul re del Marocco. Ogni volta che c'è da affrontare il tema della Shoah è una tragedia. Apertamente, durante la lezione, c'è chi si rammarica che i nazisti "non abbiano portato a termine il lavoro" sostenendo che "gli ebrei si siano meritati ogni cosa". Guai a denunciare l'antisemitismo. Sai di essere solo di fronte a questo problema e che nessuno ti difenderà nel mondo della scuola».
LE AZIENDE HANNO DIFFICOLTÀ
Ma l'islamizzazione avanza anche in gran parte del mondo del lavoro. RATP, EDF, La Poste, Orange, Stellantis (ex PSA Peugeot), BNP Paribas: non si contano le aziende, pubbliche o private, che hanno adottato una guida per aiutare il loro dirigenti a gestire le "richieste religiose". Secondo il report condotto dall'Institut Montaigne sulle tensioni sul posto di lavoro, nel 2022 il 22% erano legate all'islam. Nel 2013 erano il 6%. «In molte aziende si improvvisano cartelli esplicativi su cosa possono e non possono fare i dipendenti proprio per far fronte all'entrismo islamico. Nel 20% delle aziende (grande distribuzione, logistica, subfornitura aeroportuale, pulizia, sicurezza, etc.), si riscontrano situazioni di grande tensione, con opposizione alla dirigenza e misoginia di "ispirazione religiosa"», commenta l'autore di uno studio a riguardo, l'accademico Lionel Honoré.
Le aziende hanno difficoltà, per esempio, ad imporre un capo donna a uomini islamici. E durante il Ramadan c'è la pretesa di fare un orario ridotto. Lo scorso aprile, il direttore di un negozio Geox di Strasburgo ha ricevuto minacce di morte - che qualcuno ha definito, per entità ed eco, una specie di fatwa -, corredate da un video denuncia che ha superato in poche ore il milione di visualizzazioni, per aver rifiutato di accettare che la donna che stava per assumere indossasse il velo nelle ore di lavoro.
L'ISLAMIZZAZIONE STA CAMBIANDO IL VOLTO DEL PAESE
Le grandi aziende, invece, onde evitare problemi simili, da H&M a Uniqlo, accettano di buona lena che le commesse siano velate, anche dalla testa ai piedi.
Dal 2010 le aziende, soprattutto nella regione parigina, si sono rese conto, forse per la prima volta, che l'espressione religiosa di alcuni dei loro dipendenti si stava trasformando in separatismo. Mense trasformate in sale di preghiera, autisti che rifiutano di mettersi al volante dell'autobus se nel turno precedente c'è stata una donna, bagni riservati alle abluzioni, scale d'improvviso privatizzate il venerdì a mezzogiorno per la preghiera.
L'islamizzazione non solo sta cambiando irrimediabilmente il volto del Paese - vedi la difficoltà di trovare un taxi all'aeroporto, la sera, nelle settimane del Ramadan - ma si registra anche un'anomala convergenza di lotta tra la lobby Lgbtq e quella islamica: la religione è diventata una rivendicazione identitaria come tutte le altre di moda in tempi recenti. Basti pensare al successo di una sorprendente campagna pubblicitaria della Planned Parenthood francese con tanto di donna velata che rivendica per sé il nuovo pronome "eil", che nella lingua francese è utilizzato dalle persone che si definiscono non-binarie e dunque non si riconoscono né nel genere maschile né in quello femminile.
Secondo l'ultimo studio Havas, realizzato da Arielle Schwab e Benoît Loz, lo scorso marzo, nelle aziende francesi il 34% dei dipendenti approva l'uso del velo, rispetto al 29% nel 2021. E la percentuale sale al 53% tra gli under 35, contro il 41% nel 2023. In nome di una certa inclusività, alcune aziende si giocano allora l'asso vincente: Ikea offre direttamente ai propri dipendenti un velo con il logo dell'azienda. Visti i problemi con il Ramadan, invece, l'azienda olandese di passeggini Bugaboo ha deciso di offrire ai dipendenti la possibilità di scegliere i giorni festivi in base alla loro religione.
L'islam cambia la Francia, ma per Parigi non è un problema.
28 MAY 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7807
SCHIAVA DI BOKO HARAM, PREGAVA DIO E OGGI E' LIBERA
Forza, perseveranza e fede. È la storia di Deborah, prigioniera di Boko Haram per quasi due anni, confinata tra le mura di un complesso nel nord della Nigeria. Ogni mattina, le veniva richiesto di svegliarsi presto, lavarsi, eseguire preghiere musulmane e frequentare le lezioni alla moschea. Poi, si lavorava e pregava di nuovo prima di tornare dal "marito" impostole quella settimana. Perché sì, era stata costretta a "sposare" diversi "mariti", circa uno ogni due settimane. Ricordiamo che Boko Haram è un'organizzazione terroristica formata nei primi anni 2000, con sede nel nord-est della Nigeria. I suoi militanti sono responsabili di migliaia di morti e dello sfollamento di milioni di persone.
Boko Haram ha preso di mira soprattutto i cristiani nel nord della Nigeria per stabilire uno stato islamico, portando a numerosi attacchi a villaggi, chiese e individui cristiani. Fin da giovane a Deborah è stata trasmessa la fede dalla madre, suo padre infatti non era cristiano e spesso si arrabbiava quando andavano in chiesa o pregavano. Ultimo ricordo della sua vita prima della prigionia: Il 5 settembre, quando Deborah ha dato alla luce la sua seconda figlia. Il giorno dopo il gruppo terroristico radicale ha invaso il suo villaggio natale, Chibok. «Quando ho sentito un colpo di pistola, mi sono precipitato fuori, solo per trovare mio marito sdraiato morto alla porta di casa», ha raccontato Deborah.
Si affrettò a tornare dentro, ma gli uomini che sbattevano sulla sua porta: «Mi hanno detto di aprire la porta o di essere ucciso», ha detto Deborah. Rifiutandosi, gli uomini spararono alla porta, la aprirono e presero Deborah e le sue due figlie con la forza. Deborah, come altri prigionieri cristiani, fu costretta a convertirsi all'Islam. I prigionieri cristiani furono umiliati e isolati prima di essere costretti alla conversione. «Quando nuovi gruppi di cristiani sono stati catturati e non si erano ancora convertiti all'Islam, ci è stato detto di non parlare con loro perché erano infedeli», ha riportato. Ma nonostante fosse costretta a convertirsi esteriormente, Deborah si aggrappava alla sua fede in Cristo, «Ogni volta che mi inginocchiavo per pregare, supplicavo silenziosamente Dio di salvarmi dalle loro mani», ha proseguito, «ho pregato, chiedendomi come sarebbe andata la mia vita e cosa ne sarebbe stato dei miei figli».
Una notte, dopo quasi due anni di sofferenza, Deborah è stata graziata da un miracolo: ha trovato la porta del loro complesso aperta. Cogliendo questa rara opportunità, lei e la sua amica sono fuggite con i loro bambini. Hanno corso per due settimane attraverso la dura boscaglia nigeriana, sopportando gravi malattie, infezioni e fame. Più di cinque milioni di cristiani nigeriani hanno intrapreso viaggi simili, fuggendo dalle loro case e dal terrore di Boko Haram. Dopo la sua fuga, Deborah è stata trasferita da un campo profughi all'altro, finché non ha incontrato i partner di Global Christian Relief, che le hanno fornito assistenza medica, cibo e acqua, dandole anche un posto sicuro per guarire fisicamente, emotivamente e spiritualmente.
«Avevo perso la speranza di diventare qualcuno, di tornare a essere libera», ha raccontato. Ora Deborah e i suoi figli hanno una casa da chiamare propria, lavora come custode in una scuola gestita sul campo Gcr, così può sostenere i suoi figli e ha grandi speranze per il loro futuro. «Mi hanno aiutato così tanto», ha detto riferendosi al Global Christian Relief, «tutto quello che posso dire è che Dio li ripaghi per la loro generosità!».
Nota di BastaBugie: purtroppo la storia di questa donna sopravvissuta all'Islam ci pone di fronte a un doloroso dilemma. Di fronte alla persecuzione è meglio affrontare il martirio oppure cedere ai persecutori per sperare di poter fuggire e continuare a vivere? Il Maligno saprà sempre come colpirci per fare in modo che noi veniamo meno al primo comandamento "Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di me". Quindi, una donna che vede il proprio figlio torturato e ucciso davanti ai suoi occhi, è comprensibile e umano che ceda di fronte alla scelta di adorare Allah e di convertirsi. Si potrebbe dire che la donna non era libera, che era sotto minaccia di morte del figlio, e che quindi non aveva scelta. Però non bisogna dimenticare che c'è sempre una scelta: per l'appunto la scelta tra la vita e la morte, la scelta tra il Bene e il male. Senza la fede in Dio difficilmente si potrebbe resistere, sul piano naturale, ad una prova del genere, e si sceglierebbe un male, in questo caso convertirsi all'Islam. Ma per la forza della nostra fede noi sappiamo che quella prova Dio l'ha permessa (e ogni prova è per il nostro bene, anche se noi non riusciamo a capirlo sul momento). Abramo ha generato un intero popolo quando accetta di sacrificare il suo figlio Isacco, e Maria Santissima è diventata madre dei cristiani, quando non ha dubitato che Dio fosse amore perfino quando suo figlio Gesù moriva sulla croce. Abramo e Maria, come peraltro centinaia di martiri nei duemila anni di storia della Chiesa, hanno scelto di fidarsi di Dio: hanno creduto sopra ogni capacità umana che Dio non avrebbe mai fatto niente che non fosse bene e amore, anche quando gli eventi sembravano dire il contrario. Dunque, la storia di questa donna, deve farci meditare ancora di più sulla nostra capacità di amare Dio: quando saremo nella prova, avrò la fede di rinunciare al male e scegliere il Bene?
24 APR 2024 · VIDEO: La verità sull'islam in Europa ➜ https://www.youtube.com/watch?v=HVqRZTJfD5M&list=PLolpIV2TSebW0v_67SEYHJFlDZvH9rc9Z
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7777
GIORNALI E TELEVISIONI GIUSTIFICANO SEMPRE GLI ISLAMICI COME SQUILIBRATI MENTALI di Guillaume Gattermann
In un articolo pubblicato su Valeurs Actuelles, Jean Messiha, noto esponente politico, ripercorre l'attacco alla Gare de Lyon (la più nota stazione ferroviaria di Parigi, ndr) del 3 febbraio. L'aggressore ha improvvisamente estratto un coltello e un martello e ha accoltellato un passante. Altre persone sono rimaste ferite in un secondo momento.
"L'individuo è stato arrestato poco dopo", ha spiegato Messiha. "Abbiamo subito appreso che aveva 32 anni, che era originario del Mali e che aveva un permesso di soggiorno italiano. Entro un'ora dal suo arresto, ci è stato detto che era squilibrato e che soffriva di problemi psichiatrici. Insomma, un pazzo". Il verdetto è stato emesso!
"Perché questa smania di ripulire il nome di un criminale che ha quasi stroncato delle vite innocenti senza motivo?".
Come se non bastasse, "per quanto incredibile possa sembrare, la fonte dell'informazione sul presunto squilibrio dell'aggressore è... l'aggressore stesso! (...) Adesso i pazzi ammettono spontaneamente di essere pazzi? È una cosa nuova, appena uscita. Qualsiasi psichiatra vi dirà che esiste un principio immutabile in psichiatria: un pazzo non sa mai di esserlo. Infatti, una delle caratteristiche principali della follia è la sua incapacità di diagnosticarsi come tale", sottolinea giustamente.
I NOSTRI NEMICI
"Considerare i nostri nemici pazzi, squilibrati o affetti da disturbi psichiatrici è nel migliore dei casi un disprezzo pretenzioso e una cecità militante, e nel peggiore una manipolazione mediatica volta ad addormentare l'opinione pubblica affinché non si renda conto del pericolo che corre", denuncia Messiha.
"I nostri nemici non sono squilibrati, ignoranti o pazzi, non lo sono in alcun modo, salvo rare eccezioni. Soprattutto quando dicono di essere loro stessi pazzi, in una forma poco velata di taqqiya [indica la possibilità di nascondere o addirittura rinnegare esteriormente la fede, di dissimulare l'adesione a un gruppo religioso, e di non praticare i riti obbligatori previsti dalla religione islamica per sfuggire a una persecuzione o a un pericolo grave e imminente contro sé stessi a causa della propria fede, N.d.R.]. Tale irresponsabilità viene dichiarata dopo una lunga valutazione da parte di diversi medici nel corso di diversi giorni o addirittura settimane. In altre parole, la pazzia non può essere decretata, tanto meno autodecretata. Deve essere riconosciuta da un gruppo di professionisti esperti".
"Tuttavia, nulla di tutto ciò è stato fatto per l'aggressore maliano alla Gare de Lyon, il che non ha impedito che la teoria dello squilibrio psichiatrico si diffondesse a macchia d'olio fino a finire sulle prime pagine di tutti i giornali", si rammarica Jean Messiha.
"Come è possibile, e chi può ingoiare un'informazione così rapida, perentoria, gratuita e definitiva da essere di per sé un'ammissione di menzogna?".
UN IMMIGRATO ILLEGALE, UN MUSULMANO RADICALIZZATO, UN TERRORISTA ISLAMICO
"La verità - e sarà molto difficile da ascoltare per il sistema progressista di sinistra - è che questo individuo è un immigrato illegale, un musulmano radicalizzato e, in fin dei conti, un terrorista islamico che ha cercato di uccidere in nome dell'Islam", ha affermato.
"Potremmo moltiplicare gli esempi di tutti questi squilibrati che giornalisti di sinistra e politici progressisti, travestiti da psichiatri da fiera, ci hanno spontaneamente venduto come tali e che, con il progredire delle indagini, sono apparsi per quello che erano in realtà: musulmani radicalizzati e terroristi islamici".
Jean Messiha deplora: "Ogni volta che viene commesso un attentato, la prima cosa che viene in mente è uno squilibrato: la tecnica è collaudata: giorno dopo giorno, una notizia si rincorre all'altra, e solo ciò che viene ribadito nelle ore successive agli attentati sarà ricordato dall'opinione pubblica. La verità, che arriverà giorni o addirittura settimane dopo, non interesserà più a molti. Dormite, dormite, brava gente".
Nell'ultima parte del suo articolo, Messiha si chiede: "Perché mai, quando si parla di immigrati o di musulmani, il sistema mediatico-politico si trasforma in una vera e propria fabbrica di bugie, per di più su scala industriale, vista l'abbondanza di esempi?".
"E perché la verità è così terrificante per l'ideologia progressista di sinistra?"
"Perché è quello che rende possibile questi crimini e attacchi contro la Francia e il popolo francese, promuovendo fanaticamente la loro invasione e islamizzazione con ogni mezzo possibile", ha affermato con forza.
26 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7739
SCUOLA CHIUSA PER RAMADAN, UN FAVORE NON RICHIESTO ALL'ISLAM di Stefano Fontana
Il Consiglio dell'Istituto comprensivo di Pioltello ha deciso di chiudere le scuole - due primarie ed una media inferiore - in occasione della festa islamica della conclusione del Ramadan. Il provvedimento non poteva non rimbalzare immediatamente sui media e così infatti è stato. Toccava infatti il punto delicato dei rapporti con l'islam.
La motivazione spiegata poi dal dirigente scolastico tendeva a ridimensionare la strana scelta: si sarebbe trattato solo di una disposizione per motivi pratici. Egli ha spiegato che nel suo Istituto comprensivo il 40 per cento degli alunni risulta di fede musulmana. Mancando in quel tal giorno una fetta così grande della popolazione scolastica, tanto valeva sospendere le lezioni per tutti. Forse il dirigente intendeva dire che in questo modo nessuno avrebbe perso nozioni importanti delle materie scolastiche e non ci sarebbe stata la fatica di registrare le numerose giustificazioni per le assenze. In fondo non si trattava che di un solo, misero, giorno di scuola. Nessun intento politico, nessuna forma di sottomissione all'islam, nessuna prova generale per analoghi eventi futuri.
DECISIONE MALDESTRA
La maldestra decisione ha però peccato almeno di superficialità. È infatti facile osservare che il motivo quantitativo non può essere sufficiente per spiegare simili decisioni. Anche i problemi pratici hanno risvolti non solo pratici. Poniamo che ad essere assenti in un dato giorno fossero il 40 per cento degli studenti italiani, o di quelli indiani di fede indù, o di quelli di altre religioni. Inoltre, perché, paradossalmente, non ipotizzare una assenza di massa per qualche evento pubblico particolare del 40 per cento degli studenti provenienti da famiglie atee? Non stiamo esagerando, stanti gli attuali trend, si può prevedere che in un prossimo futuro nelle scuole italiane ci saranno prevalentemente alunni islamici e atei. Non credo che il Consiglio di Istituto abbia voluto porre la norma pratica che quando si arriva ad una certa percentuale di assenti per motivi religiosi si può chiudere la scuola, però si è avventurato su un terreno minato, nel quale il concetto di discriminazione religiosa è in solerte agguato. La decisione del Consiglio può essere accusata di aver privilegiato una certa confessione religiosa oppure di aver voluto lanciare un segnale su come gestire la scuola interreligiosa del futuro.
Ogni religione ha le proprie feste religiose. Nella scuola multireligiosa come si potranno concedere assenze per motivi religiosi in queste giornate di festa senza discriminare le altre religioni? La chiusura delle scuole alla domenica che nasce dalla religione cristiana è discriminante per i musulmani e per i sihk? Abbiamo visto le tante esperienze di abolizione del presepio o del crocefisso, perché la cosa non potrebbe ripetersi anche per la chiusura domenicale? A Pioltello, forse senza esserne pienamene consapevoli, sono entrati in queste problematiche, sicché la loro decisione è stata comunque un primo passo nel riconoscimento della convenienza di sospendere le lezioni per una festa religiosa non cristiana ma islamica. La convenienza di oggi può però diventare diritto domani. Oggi i musulmani di Pioltello ricevono un favore forse non richiesto, il rispetto pubblico per un loro evento religioso da ossequiare con una astensione dal lavoro scolastico, e per il Ramadan del prossimo anno lo chiederanno apertamente, minacciando un sit-in davanti alle scuole se non sarà loro concesso e, ne siamo certi, senza promettere eventuali analoghi trattamenti da parte loro.
I PROBLEMI DELLA SOCIETÀ MULTIRELIGIOSA
In altri Paesi questi problemi sono scoppiati prima che da noi e di solito la soluzione adottata e suggerita da insigni intellettuali, come per esempio Charles Taylor, è quella di concedere a tutti l'assenza da scuola in occasione della propria festività religiosa. Non bisogna togliere qualcosa a qualcuno, ma darlo anche agli altri. Alla domenica i cristiani potranno non andare a scuola, al sabato potranno farlo gli ebrei e al venerdì i musulmani. Tutti per i loro motivi religiosi. Questa è la politica dei "bilanciamenti", delle "soluzioni di buon senso", degli "accomodamenti equi" con i quali ci si illude di risolvere i problemi della società multireligiosa. Politica che ha due grandi limiti: non riesce a distinguere né tra religioni e preferenze come stili di vita (perché i naturisti o i cultori dello yoga non dovrebbero avere la loro "domenica"?) né tra le religioni stesse, assegnando ad ognuna la stessa importanza.
Detto tra noi: probabilmente gli attori della ridicola e improvvisata commedia di Pioltello non sapevano di queste problematiche, né che la loro decisione - assunta solo per motivi pratici, non dimentichiamo - fosse un primo passo verso l'indifferentismo religioso proprio di ogni società multireligiosa. E non è detto nemmeno che i tromboni che si sono affrettati a richiamare in campo le solite argomentazioni roboanti sulle nostre origini cristiane e sulla nostra civiltà cristiana sappiano valutare la verità delle diverse religioni: non è sufficiente rivendicare i diritti del cristianesimo per motivi storici, ma bisogna farlo per la sua verità, unico argomento perché esso possa vantare un primato sulle altre religioni, per cui le scuole devono essere chiuse per motivi religiosi solo alla domenica, non al venerdì, non al sabato e nemmeno per la conclusione del Ramadan.
Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "E anche Delpini si unisce alla festa islamica" spiega perché la posizione della Cei, Avvenire, e da ultimo l'arcivescovo di Milano fingono una posizione ecumenica, in realtà un po' vigliacca, perché si favorisce il radicamento istituzionale dell'islam.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 22 marzo 2024:
Mancava solo lui, l'arcivescovo Mario Delpini. Ed è puntualmente arrivato a completare il coro cattolico di approvazione per la decisione del preside della scuola di Pioltello che ha deciso di non far svolgere le lezioni il 10 aprile: il 40% degli studenti è islamico e quel giorno festeggia la fine del Ramadan. L'arcivescovo di Milano, dunque, non ha potuto esimersi dal plaudire l'iniziativa del preside di Pioltello, minimizzando il no dell'Ufficio scolastico regionale («avranno i loro motivi») e del ministro Valditara.
Rispondendo alle domande dei giornalisti ha rimandato alla presa di posizione del responsabile del Servizio per l'Ecumenismo e il Dialogo della diocesi, il diacono Roberto Pagani, che ha parlato di una «lettura della realtà più che adeguata», considerata la massiccia presenza di islamici nella scuola e nel comune di Pioltello. Anche il responsabile scuola della diocesi, don Fabio Landi, aveva fatto la sua parte: «Provvedimento non solo assolutamente normale, ma addirittura auspicabile». E ancora in una intervista al Giorno: «Rispettare la festa dei musulmani è un modo per capire l'altro»; «In fondo si interrompono le lezioni anche per carnevale...»; «le scuole tengono in considerazione le settimane bianche, figuriamoci un appuntamento come questo. È un ottimo esempio davanti a una realtà complessa, se usciamo dalla logica di conquista e ci mettiamo in quella dell'incontro»; «il dirigente ha fatto bene. I bambini sono curiosi, vogliono sapere perché l'altro festeggia e come, percepiscono la divisione molto meno degli adulti».
E c'è da dire che anche il segretario generale della CEI, monsignor Giuseppe Baturi, ha plaudito all'iniziativa: «La necessità del rispetto del fatto religioso e dell'identità delle comunità religiose, da parte dello Stato, - ha detto ai giornalisti - è un fatto positivo, appartiene alla laicità tipica dello Stato italiano». E ovviamente anche Avvenire era saltata subito sul carro dell'iniziativa.
C'è una buona dose di ignoranza, di incompetenza e di confusione in questo entusiasmo del clero per la festa del Ramadan. Basta confrontare le succitate informazioni con le questioni poste da Stefano Fontana nell'articolo che la Bussola ha già dedicato alla vicenda di Pioltello. Non staremo dunque a ripeterci su questo.
Qui invece ci preme sottolineare un aspetto che mette in evidenza la gravità delle affermazioni dei vari leader clericali. Essi infatti vanno ben oltre le intenzioni dichiarate (magari un po' furbescamente) dal preside di Pioltello che, peraltro, ha dalla sua parte tutto il Consiglio d'Istituto. Infatti, mentre il preside ha cercato di circoscrivere la portata della sua decisione a un fatto di semplice opportunità (il 40% degli studenti sarebbe comunque assente quel giorno), gli ecclesiastici intervenuti sono invece arrivati a proporre Pioltello come modello universale di dialogo e di convivenza tra diverse religioni.
Sicché dovremo aspettarci prossimamente che sia la Chiesa a spingere per riconoscere pubblicamente le festività islamiche, non solo a scuola. Diciamo "le" festività perché la fine del Ramadan non è certo l'unica e neanche la più importante. Ci sono una decina di feste importanti nell'islam, a cominciare dalla Festa del sacrificio, Id al-Adha, che quest'anno cade dal 16 al 20 giugno: cosa farà la diocesi di Milano, organizzerà lo sgozzamento dei capretti in oratorio, visto che cade proprio durante l'oratorio estivo?
E poi perché allora non fermare tutto per il capodanno cinese o, per stare in tema religioso, per la Pasqua ortodossa, visto che gli ortodossi in Italia sono quasi quanto gli islamici? E perc
10 OCT 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7568
IN OCCIDENTE GLI ISLAMICI FESTEGGIANO LE MILLE VITTIME DEGLI ATTACCHI DI HAMAS IN ISRAELE di Giuliano Guzzo
La guerra che infuria in Israele e a Gaza - con centinaia di vittime, feriti e ostaggi - è un orrore difficile da commentare; eppure offre spunti per riflessioni che non possono in alcun modo essere trascurate; anche perché si basano su fatti concreti. Un primo aspetto, già considerato ieri dal Timone, è quello del clamoroso e macroscopico fallimento dell'intelligence di Israele e Usa; un fallimento che pare inspiegabile, dato che, per le sue caratteristiche, l'operazione Tempesta deve necessariamente essere stata preparata per mesi - e proprio non si può pensare che a Gaza non vi siano uomini di Tel Aviv.
Un secondo aspetto che deve far pensare - e che riguarda però stavolta non Israele né la Palestina, bensì l'Occidente - sono le numerosissime reazioni di giubilo e non solo, da parte di vari esponenti del mondo islamico, alla notizia dell'attacco di Hamas. Basti vedere cos'è accaduto all'High-Deck-Siedlung, area multiculturale che si trova nel quartiere Neukölln di Berlino: dei manifestati pro Palestina sono scesi in piazza per festeggiare i massacri di Hamas distribuendo dolci ai passanti e ci sono stati attacchi alla polizia, che hanno provocato il ferimento di due agenti e l'arresto di 40 persone.
Attenzione a pensare che si tratti di un fenomeno solo tedesco. Anche in tutto il Regno Unito - a Londra, Manchester e Brighton - folle pro-Hamas si sono radunate per celebrare l'assalto ai danni di Israele. Scene simili si sono verificate anche in Svezia. Sabato scorso a Malmö, una città in cui il 37% della popolazione ha origini straniere, una carovana di palestinesi e altri migranti ha letteralmente invaso le strade; complessivamente, alla manifestazione hanno preso parte circa 200 autovetture, con musica araba e bandiere svolazzanti dai finestrini, quasi ci fosse da festeggiare un successo calcistico.
Anche in Olanda ci sono state manifestazioni e i sindaci di Rotterdam e l'Aia si sono rifiutati di esporre la bandiera d'Israele. Scene surreali si son viste pure negli Stati Uniti e in Canada; significativo in particolare cosa è accaduto in Ontario, dove uomini a bordo di veicoli sono stati ripresi mentre celebravano gli attacchi nel parcheggio di un centro commerciale. Ora, si potrebbe continuare ancora a lungo enumerando avvenimenti che hanno dello sconvolgente, ma forse meglio fermarsi perché essi già mettono ben in luce - davanti ad una guerra che ieri ha superato la quota di 1.000 vittime - le basi civili inesistenti su cui poggia l'osannato modello sociale multiculturale, che ricorda tanto una bomba ad orologeria.
Per carità, è vero che simili surreali festeggiamenti non costituiscono una novità assoluta. Basti vedere quanto accaduto nel 2015 in Siria, dove jihadisti dell'allora sedicente Stato islamico festeggiarono gli attentati di Parigi distribuendo caramelle alla gente in strada. Ma un conto - ecco la differenza - è che ciò sia avvenuto ieri, in Libia, per mano di militanti dell'Isis; un altro, ben più sconvolgente, è apprendere come le medesime scene si ripetano oggi nel cuore dell'Occidente, per mano di soggetti col passaporto europeo o americano. È un fortissimo campanello d'allarme. La domanda però è: quanti sapranno, in particolare nel mondo della politica e delle istituzioni, riconoscerlo come tale? Alla fine, la questione vera è tristemente questa.
Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Hamas, braccio palestinese dei Fratelli Musulmani" parla della matrice ideologica fondamentalista islamica del movimento armato palestinese che controlla Gaza. Un breve excursus storico sulle sue origini e progetti per il futuro.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 ottobre 2023:
La guerra improvvisamente scatenata da Hamas contro Israele, inizia esattamente cinquant'anni dopo l'attacco arabo dello Yom Kippur, del 6 ottobre 1973. L'aggressione in un Paese addormentato in un sabato di festa, il fallimento dei servizi segreti, le gravi perdite degli israeliani, l'inaspettata preparazione dei suoi nemici la ricordano. Ma i paralleli finiscono qui. Perché quello a cui assistiamo, negli ultimi due giorni, non è un conflitto convenzionale fra eserciti regolari. È un'operazione a cavallo fra un'offensiva militare e un'azione terroristica, una "scorreria" tipica dei popoli del deserto e riportata in vita nei tempi moderni.
Abbiamo visto scenari simili anche a Mumbai nel 2008 e più vicino a noi, nel tempo e nello spazio, anche a Parigi nel 2015. Gli attaccanti agiscono in piccole cellule fra loro coordinate, appoggiate da unità già all'interno del territorio nemico, colpiscono obiettivi civili indifesi, uccidono indiscriminatamente, catturano ostaggi (il loro vero "bottino"). Le massicce salve di razzi, la caratteristica di tutti i precedenti attacchi di Hamas, stavolta sono servite solo come diversivo. L'operazione vera e propria è avvenuta con l'infiltrazione di gruppi di terroristi nei centri abitati, compresa la città di Sderot.
L'aspetto più atroce di questo tipo di azioni, oltre al trauma di chi le subisce in prima persona, è l'ostentazione della crudeltà. Le immagini dei civili uccisi, dei feriti, del sangue, dei cadaveri portati a Gaza come trofei, delle case penetrate e devastate, diventano "virali" sono fatte circolare in rete, sono montate ad arte, anche con la musica in certi casi. Deve servire per galvanizzare la propria base ideologica e al tempo stesso terrorizzare l'avversario. La popolazione colpita, soprattutto, sente di poter fare una fine atroce anche restando in casa propria e perde ogni senso di sicurezza.
Al Qaeda e poi l'Isis, ci avevano abituati a questo tipo di spettacolo crudele, prima di sparire dai nostri radar. Hamas coglie alla sprovvista il pubblico occidentale più distratto, perché nessuno associava il partito islamista palestinese, padrone incontrastato di Gaza dal 2007, alla violenza tipica dei jihadisti. Ma la matrice ideologica di Hamas è la stessa di quella di Al Qaeda e dunque anche dell'Isis, scheggia impazzita del movimento di Al Zawahiri e Bin Laden. La matrice comune è quella dei Fratelli Musulmani (di cui l'ideologo Al Zawahiri era un esponente). E l'ideologia jihadista, anche quella di Hamas, non solo giustifica ma addirittura richiede l'uccisione dei civili nemici di religione. Colpisce gli ebrei in quanto tali, senza distinguere fra militari e non.
Che Hamas sia il braccio palestinese dei Fratelli Musulmani è specificato nel suo stesso statuto del 1988. Nell'articolo 2 leggiamo: "Il Movimento di Resistenza Islamico è una delle branche dei Fratelli Musulmani in Palestina. Il movimento dei Fratelli Musulmani è un'organizzazione mondiale, uno dei più grandi movimenti islamici dell'era moderna. È caratterizzato dalla profonda comprensione, da nozioni precise, e da una totale padronanza di tutti i concetti islamici in tutti i settori della vita: nelle visioni e nelle credenze, in politica e in economia, nell'educazione e nella società, nel diritto e nella legge, nell'apologetica e nella dottrina, nella comunicazione e nell'arte, nelle cose visibili e in quelle invisibili, e comunque in ogni altra sfera della vita".
Nel suo preambolo è contenuta una citazione di Hassan al Banna, fondatore egiziano della Fratellanza: "Israele sarà stabilito, e rimarrà in esistenza finché l'islam non lo ponga nel nulla, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui". Oltre a questo invito a distruggere lo Stato israeliano, troviamo nello stesso statuto anche quello a uccidere gli ebrei. L'articolo 7, sulla Universalità del Movimento di Resistenza Islamico, è diventato tristemente celebre: "... il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta - le preghiere e la pace di Allah siano con Lui - dichiarò: ‘L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo'".
Formatosi nella Prima Intifadah, anche come opposizione interna alla leadership di Arafat, Hamas si è distinto per le sue azioni terroristiche negli anni Novanta, quando si opponeva al processo di pace iniziato con gli accordi di Oslo del 1993. Infatti, Hamas non ha mai accettato alcun piano di pace, né alcuna proposta di partizione per due popoli in due Stati, perché ritiene la Palestina indivisibile per diritto divino: "Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell'islam fino al giorno della resurrezione - leggiamo ancora nello statuto, articolo 11 - Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa.
12 SEP 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7535
MUSULMANO PICCHIA LA MOGLIE, MA PER IL PM E' UN FATTO CULTURALE E VA ASSOLTO
La storia di una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie e costretta a un matrimonio combinato
di Salvatore Montillo
Violenze e maltrattamenti subite da una giovane donna originaria del Bangladesh, definiti «contegni di compressione delle libertà morali e materiali», sarebbero «il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge». Motivo per il quale l'imputato (oggi ex marito) va assolto.
È destinata a far discutere la richiesta di assoluzione messa nero su bianco da un pubblico ministero di Brescia nell'ambito di un procedimento a carico di un uomo del Bangladesh residente nel bresciano.
In vista dell'ultimo atto del processo, che dovrebbe arrivare a sentenza nelle prossime settimane, il pm ha così giustificato, nelle conclusioni depositate alle parti, i motivi per i quali quei presunti maltrattamenti rientrerebbero nel campo dei reati culturalmente orientati e pertanto non vadano puniti. «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato - scrive il pm - sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».
Il caso ha preso il via nel 2019, quando una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie, costretta a sposare in patria un cugino secondo un matrimonio combinato, ha denunciato il marito, nel frattempo diventato ex, per maltrattamenti fisici e psicologici. A suo tempo la Procura aveva già chiesto l'archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha ordinando l'imputazione coatta per lo straniero nato e cresciuto in Bangladesh. «Sussistono senz'altro elementi idonei a sostenere efficacemente l'accusa in giudizio nei confronti dell'ex marito» aveva stabilito il gip.
«Le condotte dell'uomo - continua il pm nella richiesta di assoluzione - sono maturate in un contesto culturale che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa si è rivelato per costei intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l'ha condotta ad interrompere il matrimonio. Per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali, rifiutando il modo di vivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece, l'imputato si è fatto fieramente latore».
Sconcertata la donna, cresciuta a Brescia dove vive dall'età di 4 anni, che in un'intervista al Giornale di Brescia racconta di essere stata «venduta per 5mila euro» ad un cugino dopo la morte del padre, sepolto in patria. Divenuta madre di due bambine, la donna è stata costretta a lasciare gli studi alle superiori ed è rimasta segregata in casa per anni. «Dopo anni di urla, insulti e botte, sotto la costante minaccia di essere riportata in Bangladesh definitivamente, nel 2019 ho trovato il coraggio di denunciare». Un coraggio che potrebbe non servire a renderla per sempre una donna libera.
Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Estradato in Italia il padre di Saman, un traguardo insperato" parla dell'arrivo in Italia di Shabbar Abbas, l'uomo che nel 2021, insieme a dei familiari, uccise la figlia Saman per aver rifiutato un matrimonio combinato.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 settembre 2023:
È arrivato in Italia il 1° settembre, estradato dal Pakistan, Shabbar Abbas, l'uomo che nel 2021 insieme alla moglie e ad alcuni familiari, all'epoca residenti in Italia a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, ha ucciso la figlia Saman di 18 anni perché aveva rifiutato di accettare un matrimonio combinato con un cugino scelto dai genitori. Coinvolti nell'omicidio sono la moglie, Nazia Shaheen, tuttora latitante in Pakistan e oggetto anch'essa di una richiesta di estradizione, due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati in Francia e in Spagna nei mesi successivi al delitto, e lo zio, Danish Hasnain, fratello di Shabbar Abbas, arrestato in Francia.
Come si ricorderà, i resti di Saman erano stati sepolti nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio e il giorno successivo Shabbar Abbas e la moglie erano tornati in Pakistan, richiamati d'urgenza - questa la giustificazione - perché una loro zia stava male. Raggiunto telefonicamente, Abbas aveva continuato a negare, a dire che sua figlia era viva, che si trovava in Belgio. La polizia pakistana lo ha arrestato il 15 novembre 2022 per frode ai danni di un connazionale e così la procedura di estradizione, complessa e delicata, ha avuto inizio. Le udienze per discutere la legittimità della richiesta di estradizione da parte del Ministero italiano della giustizia hanno subìto più di 30 rinvii. Finalmente, il 4 luglio scorso, i giudici della Corte di Islamabad hanno espresso parere favorevole e il 29 agosto è arrivata l'autorizzazione del governo pakistano.
L'8 settembre Abbas comparirà davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia dove sarà sentito come testimone suo figlio, il fratello minore di Saman, che ha indicato agli inquirenti il luogo dove si trovava il cadavere della sorella. «È la prima volta che una estradizione attiva viene concessa dal Pakistan, non era mai successo - ha commentato il procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci -. Fa ben sperare su una buona prospettiva di riuscita di un accordo più ampio tra Italia e Pakistan che sappiamo essere in fase di gestazione, per creare un sistema di relazioni bilaterali più stabile. In Italia ci sono 200 mila pakistani regolarmente censiti». [...]
Anche il primo ministro Giorgia Meloni ha sottolineato l'importanza decisiva della collaborazione delle autorità pakistane, effettivamente insperata perché in Pakistan tradizioni tribali e integralismo islamico si combinano per far sì che agli occhi di molti il delitto commesso dai familiari di Saman appaia non solo legittimo, ma doveroso. L'onore di una famiglia si ritiene infatti compromesso quando i suoi componenti non obbediscono al padre dimostrando al mondo che manca dell'autorità e della determinazione necessarie a farsi rispettare. Per il decoro e la stima familiare si ritiene che un padre abbia il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e minori, di punirli se lo ritiene giusto. Una figlia che rifiuta un matrimonio combinato disobbedisce e, atto altrettanto grave, contesta una istituzione che è uno dei cardini di un sistema condiviso di rapporti familiari, sociali ed economici. Perciò merita una punizione esemplare. Ai nostri occhi lei è la vittima, chi la uccide il colpevole. Viceversa agli occhi dei parenti di Saman, lei si è macchiata di una grave colpa, le vittime sono i suoi genitori e gli altri suoi familiari sui quali ricade l'onta del suo comportamento. Lo chiamiamo omicidio oppure delitto d'onore. Invece, per chi lo commette è una punizione necessaria per restituire alla famiglia dignità e rispetto dei parenti e della comunità.
Ma anche in Pakistan i valori e le istituzioni delle società patriarcali che l'Islam ha sacralizzato non sono condivisi da tutti, non più. [...] Un segno è l'atteggiamento nei confronti dei cristiani, spesso vittime di intolleranza estrema, ma anche oggetto di concreti segnali di rispetto e volontà di coesistenza pacifica. Un altro è la lotta per emendare la legge che punisce la blasfemia, i tentativi di moderarne almeno le sanzioni.
La decisione di consegnare alla giustizia italiana Shabbar Abbas può essere un altro segno. Sarà importante nelle prossime settimane seguire le reazioni al processo contro gli assassini di Saman delle comunità islamiche in Italia e dell'opinione pubblica italiana.
6 SEP 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7525
LA NUOVA RIVOLUZIONE FRANCESE E' ALLE PORTE di Roberto De Mattei
Mi ha fatto riflettere un articolo di Jean-Pierre Maugendre sulla rivista "Renaissance Catholique", di cui cercherò di riassumere i punti essenziali, anche perché offre una seria e articolata conferma delle preoccupazioni del generale Roberto Vannacci, nel suo libro "Il mondo al contrario", che in Italia ha provocato un ingiustificato scandalo.
Maugendre si sofferma sulla situazione della Francia ed esordisce affermando che una parte significativa del suo territorio nazionale è ormai in stato di secessione, l'equivalente sul piano politico dello scisma, sul piano religioso. "La domanda - scrive - non è più se una guerra civile, o meglio una guerra etnico-religiosa, avrà luogo sul suolo francese, ma quando e con quali probabilità di successo per i vari protagonisti".
La causa di questa pre-guerra civile è l'immigrazione che in Francia ha origini più lontane e dimensioni più ampie di quella dell'Italia, e di altri Stati europei, che però stanno percorrendo la stessa strada.
Negli ultimi decenni, afferma Maugendre, un gran numero di immigrati estranei alla nostra cultura e civiltà è entrato a far parte del territorio nazionale francese, ma gli strumenti di assimilazione che avevano funzionato per gli immigrati polacchi, spagnoli e italiani all'inizio del XX secolo sono falliti. Né la scuola, né il servizio militare, né la Chiesa, sono riusciti a "francesizzare" queste onde di immigrati.
Le responsabilità sono della destra liberale, che vede gli esseri umani solo come produttori e consumatori, e della sinistra socialista, imbevuta delle grandi utopie dei diritti dell'uomo. Entrambe, destra e sinistra, d'accordo su un mantra: la Repubblica e la sua religione, il secolarismo, avrebbero risolto tutti i problemi.
L'ISLAM HA RAFFORZATO LA SUA PRESA SULLE POPOLAZIONI DI IMMIGRATI
Così non è stato. Nel corso degli anni, l'Islam ha rafforzato la sua presa sulle popolazioni di immigrati, alcune delle quali non desideravano altro che occidentalizzarsi. Scrive Maugendre: "Diventare francesi! Perché dovrebbero farlo? È davvero auspicabile e desiderabile? Chi è orgoglioso di essere o diventare francese? In effetti, molti di questi giovani immigrati di seconda o terza generazione, quando viene chiesto loro di definirsi, annunciano la nazionalità dei loro genitori. Quanti delle migliaia di tifosi marocchini che lo scorso dicembre hanno invaso e occupato gli Champs Elysées durante l'ultima Coppa del Mondo di calcio erano "francesi sulla carta". Chi, tra questi immigrati, potrebbe essere così avventato da abbandonare il conforto che dà loro la Umma, islamica una comunità in piena espansione demografica e politica, per associare il proprio destino a un paese il cui disprezzo per il diritto naturale (matrimonio per tutti, teoria del gender, dittatura LGBT, ecc.) è oggetto di scandalo e disprezzo per popolazioni che sono ancora saldamente attaccate a certi elementi del diritto naturale? (...) I recenti attacchi agli edifici pubblici, alle forze di polizia, ai vigili del fuoco, alle scuole, alle biblioteche e così via, tutti simboli della Francia e delle sue istituzioni, dimostrano da parte di molti di questi giovani un odio verso il nostro Paese che anche i commentatori più compiacenti non riescono più a nascondere".
Maugendre cita fatti che sono sotto gli occhi di tutti. "La divisione etno-religiosa prevista e temuta da alcuni non è più un rischio o una profezia, ma una realtà. Alle elezioni legislative del giugno 2022, il NUPES di Jean-Luc Mélenchon, il partito di sinistra pro-immigrati, ha vinto in tutte e dodici le circoscrizioni di Seine Saint-Denis. Nel frattempo, il Rassemblement National di Marine Le Pen ha vinto in sette delle otto circoscrizioni del Var. La spaccatura è evidente.
MILIARDI DI EURO BUTTATI AL VENTO
Versare miliardi di euro nelle periferie per ricostruire i 1059 edifici incendiati o promuovere l'educazione sessuale nelle scuole non risolverà i problemi posti dalla secessione di molte parti del nostro territorio nazionale. È già molto tardi, e la banda di nullatenenti che presiede al destino del nostro sfortunato Paese non è in grado né di rallentare il flusso di nuovi immigrati né di far rispettare gli OQTF (Obligation de Quitter le Territoire Français) emessi dai tribunali. C'è da temere che il destino del nostro Paese sia quello del Libano, cioè la frammentazione della Francia lungo linee etniche e religiose. Un quartiere o una città saranno popolati da marocchini, un'altra da algerini, un'altra da abitanti del Mali, un'altra ancora da francesi etnici, eccetera, ognuno regolato dalla propria legge. La storia è implacabile. Ha le sue leggi, impietose come quelle della fisica".
Citando una profezia del maresciallo Juin, Maugendre scrive: "La Francia è in stato di peccato mortale e un giorno sarà punita. Ma sappiamo anche che è sempre possibile guarire, anche dal peccato mortale. Purché ci si penta e si faccia ammenda. Il 29 luglio 1916, l'ormai santo Charles de Foucauld profetizzava dal suo eremo di Tamanrasset: "Se non siamo riusciti a rendere francesi questi popoli, ci cacceranno. L'unico modo per farli diventare francesi è che diventino cristiani".
Queste previsioni, non hanno perso nulla della loro attualità e non riguardano solo la Francia "La situazione della Chiesa in Francia - afferma Maugendre - che dovrebbe essere responsabile di questa missione di evangelizzazione ma che è soprattutto preoccupata di rompere con la Tradizione liturgica della Chiesa e di convertirsi a una sinodalità tanto indigesta quanto decisamente rivoluzionaria, non dà certo adito all'ottimismo. Tuttavia, sappiamo che nulla è impossibile a Dio e che è nell'umile adempimento delle nostre fedeltà domestiche che si preparano i tempi della Risurrezione".
Sono parole che Maugendre riferisce alla Francia, ma che potremmo applicare all'Italia e all'Europa intera.
22 AUG 2023 · VIDEO: La jihad cresce in Italia ➜ https://www.youtube.com/watch?v=3LL2iB7R8Wk
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7511
CON I PRODOTTI HALAL, L'ISLAM DETTA LEGGE di Mauro Faverzani
Macché "di nicchia"! I prodotti halal, vale a dire «conformi alla sharia», la legge islamica, hanno ormai conquistato una fetta importante del mercato mondiale e sono in continua espansione. Per due motivi: una forte valenza religiosa identitaria islamica; prezzi fortemente competitivi, in grado di intercettare anche la clientela occidentale, specie quella meno abbiente, con punti-vendita nei quartieri più poveri.
Con oltre mille aziende certificate halal, ad esempio, l'Italia si colloca oggi al terzo posto in Europa, dopo Inghilterra e Francia. Un balzo in avanti incredibile, tenendo conto che solo 16 anni fa, nel 2007, il nostro Paese si trovava all'ultimo posto. La grande distribuzione si è ormai mobilitata; c'è chi si è dotato di un angolo halal, come la Coop. I grandi marchi (Nestlé in 50 Paesi e poi ancora Aia, Amadori, Ferrarelle, Fabbri, Sterilgarda, per citarne alcuni) si sono allineati, così come molte piccole aziende e cooperative, esibendo con orgoglio sui propri siti, come un trofeo, l'agognata certificazione. In Francia, 10 milioni di clienti frequentano negozi e ristoranti halal. Solo nell'ultimo quinquennio, oltralpe, sono apparse una quindicina di catene, in cui i prodotti halal sono esclusivi o quasi, e altre sette grandi catene di hamburgherie. La Spagna produce oltre 2.500 prodotti halal, di cui è grande esportatrice, soprattutto nel settore delle carni, in Francia, ma anche nei Paesi privi di un'industria agroalimentare forte, come Algeria e Marocco. Insomma, il giro d'affari è notevole.
Negli ultimi anni, nonostante la pandemia, complessivamente il mercato halal è cresciuto del 15% in Europa, mentre nello stesso periodo il commercio "bio" ha registrato appena un +2%. Già al World Halal Food Council, svoltosi a Roma dal 26 al 30 marzo 2014, il messaggio, ripreso all'epoca dall'Ansa, fu molto chiaro: «"La finanza e i capitali islamici sono pronti a portare fuori dalla crisi l'Europa" e "in particolare l'Italia", purché i Paesi seguano, "nella produzione, nella logistica e nella commercializzazione", gli standard halal». Aggiunse in quella sede lo sceicco Fayez al Shahri: «Siamo pronti a investire anche in infrastrutture, ma l'Italia deve garantirci di riconoscere l'ufficialità del mercato halal, prevedendo la certificazione obbligatoria delle imprese interessate». Certificazione che spalanca le porte di un mercato da 1,6 miliardi di persone, ma che può essere rilasciata solo da organismi esclusivamente musulmani. Il che significa una cosa sola: che, a dettare le regole, vuole essere solo l'islam.
STANDARD ISLAMICI?
In Italia, ad occuparsene, è Halal Italia, applicando standard islamici nazionali e internazionali. Tale realtà, varata su richiesta della Comunità Religiosa Islamica Italiana, è stata riconosciuta ufficialmente da una convenzione interministeriale sottoscritta il 30 giugno 2010, sotto il governo Berlusconi IV. La convenzione punta a consentire alle aziende italiane di cavalcare l'internazionalizzazione e di conquistare così i mercati dei Paesi a maggioranza islamica. Ma l'arma è a doppio taglio, perché a dettar le regole è appunto l'islam.
A livello internazionale opera la World Halal Authority, un organo di certificazione riconosciuto da organizzazioni governative e non governative, dalle associazioni dei consumatori halal e dalle autorità e rappresentanze religiose dell'islam nel mondo. Il limite di tali organismi è però la loro autoreferenzialità, come evidenziato già il 19 dicembre 2011 su Il Sole 24 Ore da Annamaria Tiozzo, consulente di marketing islamico e di certificazioni religiose: «A oggi non abbiamo ancora degli standard internazionali di certificazione validi per tutti i Paesi. (...) In assenza di una regolamentazione, (…), utenti finali ed aziende sono lasciati a sé stessi».
Ormai si certifica di tutto, non più solo carne: generi alimentari, cosmetica, farmaceutica, logistica, finanza, servizi, turismo, accoglienza, eccetera. Come mai? Negli anni Novanta, anche tra i musulmani più radicali, non v'erano pretese particolari circa la carne halal. Finché non se ne scoprirono i vantaggi normativi: far pagare una piccola percentuale sulle vendite ha assicurato una formidabile fonte di reddito. Da quel momento in poi, è divenuta essenziale la certificazione halal. I punti-vendita effettuano da tempo raccolte a favore di organizzazioni caritatevoli islamiche, molte delle quali sono accusate di predicare però un islam troppo severo e rigoroso. Jérôme Fourquet, noto politologo e sociologo francese, intervistato lo scorso 5 luglio dal quotidiano spagnolo Abc, ha evidenziato come il 74% dei musulmani francesi sotto i 25 anni consideri la propria religione, l'islam, «più importante» della République, dello Stato. E questa tendenza, dagli esiti ancora incerti, sarebbe in netto aumento da diversi anni. Secondo il presidente dell'associazione Vigilance Halal (con oltre 5 mila iscritti), il dottor Alain de Peretti, «non v'è in Francia alcuna seria indagine sui flussi finanziari generati dall'industria halal, alquanto opachi».
LA MACELLAZIONE ISLAMICA
Senza parlare delle perplessità che ancora suscita a più livelli la macellazione islamica halal, come quella ebraica kosher. Innanzitutto sul fronte igienico-sanitario. Viene definita, infatti, «macellazione in deroga». Perché? Il regolamento europeo n. 1099 del 24 settembre 2009, entrato in vigore l'1 gennaio 2013, prevede l'obbligo di stordimento prima dell'abbattimento per assicurare che l'animale sia incosciente e quindi insensibile al dolore nel momento di massima sofferenza. Tuttavia, tale regolamento ammette la possibilità di procedere alle macellazioni rituali anche senza ricorrere allo stordimento, riconoscendo in merito ampia discrezionalità agli Stati membri.
La macellazione halal prevede un operatore musulmano adulto e praticante. L'animale dev'essere rivolto verso la Mecca: prima di sgozzarlo, viene pronunciata l'invocazione detta basmala. Poi l'addetto procede, tagliando con una lama affilata e con un unico colpo trachea, esofago, carotide e vena giugulare dell'animale, che deve morire per dissanguamento. Contro tale pratica è scesa in campo un'armata Brancaleone, composta da diverse organizzazioni non governative, associazioni laico-umaniste votate alla secolarizzazione spinta, animalisti e frange partitiche annesse. Anche sul fronte sanitario, però, non mancano voci fortemente critiche. Alcuni anni fa la giornalista francese Anne de Loisy, autrice del libro Bon appetit! dedicato all'argomento, ha sollevato precisi dubbi. La modalità halal sarebbe «il metodo più economico e più semplice per abbattere le bestie», ha dichiarato in un'intervista a Paris Match, a fronte di una procedura, quella ordinaria, con lavaggi più frequenti, tempi morti e ritmi di produzione più lenti. Il già citato dottor de Peretti, da veterinario, ha sottolineato più volte i rischi batterici della macellazione rituale, evidenziati anche dall'Accademia dei veterinari francesi in un rapporto inviato nel dicembre 2006 all'allora ministro dell'Agricoltura.
Insomma, il mercato è allettante per numeri e potenzialità, ma le criticità non mancano. Forse, sarebbe il caso di tenerne maggior conto e di affrontarle.
Gli islamici applicano il Corano sull'esempio del loro fondatore Maometto... perché stupirsi delle conseguenze?
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