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Akuatica - Osacca 2023

  • 1 - Il Viaggiatore

    17 APR 2024 · Ep. 1: Il Viaggiatore (Testo e voce di anonimo) A Parma ho preso il treno sbagliato. Le case di pietra si affacciano sulla strada che si inerpica sulla cresta della collina. “Oscca”, una lettera è caduta dal cartello bianco. “Osocco” e “Osecca”. La terra è sabbiosa e il torrido asfalto è percorso da crepe che ricordano le ramificazioni bronchiali di un polmone. Ho afferrato il pacchetto di Philip Morris nel taschino della camicia a righe bianche e blu. A Bologna avrei avuto un appuntamento. Non me ne importa. Le rotaie andavano a fuoco. Le pietre facevano le bolle. I carapaci vuoti si sovrapponevano sotto il sole. Ho camminato per tre ore. Sono le due del pomeriggio. E ho sete. In lontananza il rumore di un torrente mi opprime. Gli aerei incidono il cielo lasciandosi dietro lunghe scie di condensa. Ho abbandonato Borgo Val di Taro alla ricerca di qualcosa che ormai ricordo appena. Il freddo dentro. All’angolo della strada un ammasso di mattoni: dev'essere stato un pollaio. Poi, i confini perimetrali di una casa. Sono ricoperti dalla grana fine del calcare. Oltre i muriccioli si districano i fossili striminziti delle alghe. Saranno rimasti lì a prendere il sole e la calce per anni. Ma c’è mai stata, qua su a mille metri, l’acqua? All’angolo le case spariscono. E rimane l’orizzonte giallo delle colline che si aprono come costole aride sul limite del visibile. E una chiesa percorsa da una cicatrice. La vernice è gonfia. I segni violacei. Ricorda il calco di un lungo tentacolo. Il pinnacolo in cima è distrutto. Notte. Ho sete. Notte. Ho sete. Disteso sull’asfalto tiepido, fisso il segno sulla chiesa. E mi domando cosa sia accaduto in questo luogo ora che anche l’ultimo dubbio si scioglie nel dolore che mi avvolge. Ma all’improvviso in alto una luce si accende dietro ad una finestra. Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    7m 39s
  • 2 - Arrivo dell'acqua - Il cervo

    17 APR 2024 · Ep. 2: Arrivo dell'acqua - Il cervo (Testo e voce di Lorenzo Manenti) Acqua; in un bosco il torrente scorre tra le pietre cosparse di muschio, scivola l’acqua che non finisce mai. Si sentono dei tonfi, zampe di cerbiatto che fuggono spaventate; la natura è ligia al suo dovere. Della luce trafigge le chiome degli alberi, balugina nell’ombra; la coda fulva di una volpe, il rumore lontano di un tagliaboschi. La situazione è ovattata; Il pericolo è soltanto mentale; e quindi relativo. Frullo di ali d’uccello al di sotto delle chiome. Zampe ilari, cartoonesche. Procedono. Un picchio becca contro l’albero. Poi, un rumore bianco. Il silenzio improvviso si impossessa della notte. E tutto cambia, tutto muta. La luce entra nel bosco. Supera la chiome e raggiunge il suolo. Le ombre sono giallorosse. Nel suolo qualcosa si sfalda; la terra si scompatta. Lentamente. Il torrente si ferma. L’acqua comincia a sgorgare dalle rive. Il suolo si rimpolpa d’acqua ed esonda. Il cervo scappa impaurito. Sbatte le corna tra i rami. Ma l’acqua non cresce per vie orizzontali. Aumenta compatta e lo sommerge. Il cervo non sa più che fare; si dimena. Ha paura di annegare. Sta per annegare. L’acqua gli raggiunge le corna. E non può fare altro che dimenarsi. Vede la morte. Crede la morte. Sente la morte. L’acqua gli raggiunge la bocca, gli entra nel naso, gli copre gli occhi. Non vede più, non crede più. Si dibatte ancora. Pensa di essere finito, ma non vuole soccombere. È più forte di lui: deve resistere, dibattere fino alla fine. Un ultimo rantolo. È completamente sommerso. Ma il suo cuore continua a battere. È vivo. Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    6m 50s
  • 3 - Venivano dal mare, andavano su al cielo

    17 APR 2024 · Ep. 3: Venivano dal mare (Testo e voce di Eleonora Andrighetto)  Venivano dal mare, andavano su al cielo. Traghettate dall’acqua che saliva da fondo valle, fluttuavano morbide tra i pruni come avrebbero fatto tra dei coralli, in un mondo lontano dal nostro. Spesso le osservavo danzare con le loro lunghe chiome filamentose sul terriccio bagnato: sollevavano mulinelli e si portavano dietro una memoria di polvere. Tracciavano scie, come di pance di serpenti.  Durante il giorno le creature parevano dormire, respirando basse sui campi di lavanda verso Bardi, ma al crepuscolo si risvegliavano e, mentre all’orizzonte si assopiva il sole, galleggiavano tra i salici fino alle fronde più alte, come a godere delle carezze delle foglie. Poi, cariche di una luminescenza lattiginosa e violetta, salivano verso lo specchio lucido che si stende sul borgo, esibendosi in una lenta sequenza di sussulti, sincopati come energiche inspirazioni. Per tutta la notte se ne stavano lì, sospese come lune, dove la superficie dell’acqua impediva loro di proseguire oltre il proprio viaggio. Venivano dal mare, mi raccontava la Lina, ma andavano sicuramente su al cielo. Nessuno sapeva da dove venissero, né perché si ostinassero proprio verso quella dimensione che, a noi come a loro, rimaneva negata. Trasparenti e silenziose come innocui fantasmi, quelle visitatrici non avevano desiderio né bisogno di comunicare con noi. Creature di passaggio, si limitavano a ondeggiare tra i frutteti e i camini senza arrecare alcun danno o disturbo, e anche se quasi nulla del nostro quotidiano era mutato, da quando erano apparse a Osacca l’acquaria tutt’intorno aveva preso a mormorare di una corrente frizzante, come viva. Presto e allo stesso modo, aveva iniziato a mormorare il borgo. Al loro arrivo - fu almeno sette anni fa sul finire della primavera - nessuno si aspettava che si sarebbero fermate così a lungo. Quando capimmo che erano pacifiche e intenzionate a rimanere in paese, cominciammo istintivamente a immaginare per loro un passato e un futuro. Venivano dal mare e andavano su al cielo: su questo eravamo tutti d’accordo. Era intorno alle loro origini, che il borgo si divideva.Alcuni romantici credevano che Osacca le avesse affascinate a tal punto che, anche se erano arrivate solo di passaggio, avevano infine deciso di rimanere per sempre. Altri invece dicevano che probabilmente stavano solo aspettando qualcosa: un segnale, un momento preciso, un fenomeno-portale… qualcosa insomma; anche se nessuno sapeva dire che cosa.Secondo altri ancora la loro improvvisa apparizione era stata una manifestazione divina, tanto che un gruppetto di fanatici aveva fondato un culto e si radunava ogni giorno all’alba sul promontorio della chiesa per guardarle discendere verso i campi di lavanda, dove andavano a riposare dopo le loro sortite notturne al limite della superficie. Da lì, i fedeli estasiati le salutavano con riverenza e attesa, allo stesso modo in cui si veneravano un tempo i tramonti o il sorgere del sole. Mute come divinità arcaiche, quelle li ignoravano. Dal canto mio, io non avevo mai pensato che quelle creature avessero delle proprietà magiche o divine, come credevano Vito e quelli del Promontorio. Come tanti altri in paese le ritenevo delle semplici passanti, delle fluttuanti pellegrine che per qualche motivo avevano scelto Osacca per restare un po’ più a lungo a recuperare le forze. Noi le lasciavamo fare. Quali che fossero le loro reali intenzioni, dato che ormai abitavano la nostra acquaria da anni, ma sembravano sempre sognare di andarsene senza riuscire a trovare un modo per farlo, Lina e io, dopo i primi mesi, avevamo preso l’abitudine di chiamarle le Smarrite. Oggi, la gran parte dei paesani chiama le creature con il nome che è stato dato loro per gli atti ufficiali, e cioè Funghe, ma anche se sono passati anni dal loro arrivo, si continua a discutere sul loro nome: ci sono quelli del Promontorio, che si ostinano a chiamarle “Messaggere”; poi ci sono i conformisti, e ovviamente ci siamo Lina e io, che a scuola abbiamo lanciato una vera e propria moda, per cui adesso tutti i ragazzi e le ragazze di Osacca le chiamano “le Smarrite”. Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    17m 48s
  • 4 - Romanza d'acqua: Alvise e Matilda

    24 APR 2024 · Ep. 4: Romanza d'acqua: Alvise e Matilda (Testo e voce di Eleonora Andrighetto)  Come per tanti matrimoni di paese, non si poteva parlare di una prima volta nell’amore di Alvise e Matilde. Se il loro amore fosse stato una linea tracciata su di una mappa, o un sentiero, non se ne sarebbe potuto isolare un punto preciso, una pietra miliare. Nessun terremoto: nell’acqua non scoppiano i colpi di fulmine, né le passioni sgorgano come torrenti. Al più crescono piano, come maree al chiaro di luna.Nel cuore di Alvise, l’ovale liscio, bruno e regolare del viso di Matilde era quotidiano e rassicurante come lo scricchiolio delle foglie secche sotto i piedi quando andava a fare legna nel bosco. Agli occhi di Matilde, la schiena di Alvise, tesa e punteggiata di nei, era sicura come la polverosa strada di ciottoli che da Costa portava a Pesche, quella che percorreva rincasando ogni giorno dopo aver fatto lezione ai bimbi della scuola di Osacca. Alvise e Matilde erano l’uno per l’altra terre conosciute, acquaria di casa. Da bambini avevano navigato gli stessi prati, cacciato le stesse lucertole, scalato le stesse rocce. Le loro vite nel borgo erano sbocciate all’unisono, crescendo in direzioni differenti come giovani rami di uno stesso albero, e a distanza di pochi passi uno dall’altra, ciascuno aveva trovato un piccolo mondo tutto suo in cui mettere radici e cominciare a sbocciare. Avevano frequentato la scuola del paese condividendo per poco tempo la classe e il Maestro: Alvise, più grande di Matilde di quattro anni, aveva lottato a lungo con suo padre per poter finire la terza media invece di accompagnarlo ogni giorno con l’ascia nel bosco. Subito quello aveva rifiutato, ma il ragazzetto era ostinato, duro anche più di suo padre - come riconobbe quello anni dopo, non senza con un certo orgoglio - e così, a furia di litigare, l’aveva avuta vinta. Dopo la scuola, comunque, Alvise aveva seguito le orme paterne nel fitto del bosco, e se n’era andato a spaccare tronchi come era stato deciso il giorno della sua nascita. In verità, lui non aveva mai voluto essere qualcosa di diverso da un taglialegna, non si era intestardito sul prolungare gli studi per questo motivo: amava i boschi di Osacca e sapeva fin da bambino che lì sarebbe stato il suo futuro, ma quando la scuola gliene aveva dato l’occasione, aveva scoperto che poteva imparare dai libri cose diverse da quelle che poteva imparare dal bosco, e spinto da una fervida curiosità aveva cercato di prolungare quel piacere il più possibile. Compiuti tredici anni, aveva infine accolto il proprio destino e si era avviato con cuore sereno lungo il corridoio verde che s’inerpicava sui colli, alle spalle del padre. Tra le ombre maculate delle fronde, però, Alvise aveva portato con sé anche l’amore per i libri, scoperti nell’aula azzurra della scuola oltre la via per Costa. Nelle poche ore libere che aveva la domenica ne leggeva lentamente uno alla volta, che si faceva prestare dalla vecchissima maestra Ausilio, che gli piaceva di più dell’attuale Maestro. Alvise era contento perché aveva sempre qualcosa di nuovo da leggere, e Ausilio, che incoraggiava il suo lato sognatore con casuali versi di poesia e gualcite copie di romanzi ottocenteschi, era contenta perchè prima o poi avrebbe ricevuto una visita. Così, alla domenica, il giovane boscaiolo per qualche ora tornava scolaro, fuggiva verso la brughiera alta con il suo libro e scompariva tra le pagine fino al calare del sole. Non capiva sempre tutto di ciò che leggeva, ma rimanendo sdraiato all’ombra di un noce al limitare del prato, poteva partire a caccia di mostri marini, interrogare omicidi, o scoprire che cosa si prova quando ci s’innamora di una giovane donna che pattina nella neve di San Pietroburgo. Gli piaceva starsene lì, perché alzando gli occhi dalla pagina aveva l’impressione di poter sfiorare in un unico sguardo le colline oltre la strada per Pesche, il sentiero che partiva dal fondo di Costa, e gli striati tappeti erbosi che i contadini allacciavano in stretti covoni. Era in quell’angolo di quiete, tra l’erba alta e il giallo del tarassaco, che Alvise incontrava più spesso Matilde, dapprima dopo l’orario di scuola e poi alla domenica, negli anni a seguire. Non si davano mai un appuntamento, ma si incontravano sempre per favore del caso o forse per una segreta consuetudine: abitanti di uno stesso paesaggio, lo condividevano ignorandosi, vigili come animali.  Preceduta nella mente di Alvise dal fruscìo degli zoccoli che pestavano leggeri sulla sterpaglia, Matilde era un soffio di vento, prima ancora che un corpo. Settimana dopo settimana lui la spiava passeggiare assorta per la brughiera: con un lungo bastone decorato da una copia di campanelli e la sacca di cotone che usava come cartella per la scuola, la ragazza andava in cerca di insetti, rocce e campioni di erbe e fiori. Matilde collezionava i primi in delle grezze ma ordinatissime teche che i genitori le avevano fatto disporre nel fienile di casa, e conservava le piante essiccate tra le pagine di in uno spesso e fragrante erbario. Questa silenziosa passione per la raccolta era sbocciata in Matilde quando era ancora bambina e accompagnava spesso sua madre a far brucare le capre in alta collina. Annoiata dal ricamo che quella portava con sé per far passare le ore immobili del pascolo, Matilde aveva iniziato a esplorare il prato e a scovarne i piccoli tesori: l’indaco delle ali di una farfalla, gli anelli di una pietra screziata, le corolle vaporose dei ciuffi di velo di sposa.A scuola aveva scoperto le scienze naturali e la biologia, che le parevano le uniche materie, assieme alla storia, capaci di accendere di un grigio più brillante gli occhi distanti del loro schivo Maestro. Le pareva che quello rispondesse più volentieri alle sue domande, se riguardavano un tipo di radice, o le proprietà di una certa erba medica. Al di là di compiacere il Maestro, com’era suo desiderio da brava scolara, Matilde amava raccogliere e classificare la natura attorno a sé soprattutto perché le dava un piacere rassicurante. Nel ridurre a fenomeni minimi il suo paesaggio, nel circoscriverlo e isolarlo tra le pagine dell’erbario e nelle teche, Matilde aveva l’impressione di essere più padrona del suo mondo, di imparare a conoscerlo e di poter dischiudere, almeno in parte, il mistero della sua la lingua ronzante e profumata.  Crescendo, aveva sognato di svelare questa lingua a qualcuno, ed era in quel sogno che aveva incontrato i suoi scolari, i futuri bimbi di Osacca a cui avrebbe tramandato i segreti del bosco, della brughiera, del cielo stellato. Era una fantasia romantica, infantile, ma quell’immagine attraversò illesa i tumulti dell’adolescenza di Matilde e diede anzi una direzione alla sua vita fino alla prima età adulta, quando ormai si avviava al praticantato per diventare un giorno maestra. Alla strada che percorreva quotidianamente dalla sua casa di Pesche alla scuola, Matilde non smise mai di affiancare i sentieri che la portavano attraverso il bosco e la brughiera alta: li percorreva in cerca di nuovi fiori, di quei silenzi che aveva condiviso per anni con Alvise e che entrambi sapevano ormai mutati, da un’attesa imbarazzata a una delicata complicità. I primi tempi si baciavano di nascosto anche quando erano immersi nel silenzio dei prati, come se una voce di vento potesse tradire il loro segreto soffiandolo fino a valle.  Nonostante le loro premure, si scontrarono presto con quello che è sia il pregio che il difetto del borgo di Osacca, e cioè che esso mormora e sussurra di continuo.  I primi occhi attenti iniziarono a confidare alle tante orecchie curiose del paese che avevano visto la Matilde tornare di nuovo dal bosco con l’Alvise, o che l’Alvise da un po’ di tempo sembrava più allegro del solito; che, chissà perchè, la Matilde era proprio distratta, e che Vito il pastore li aveva visti tenersi per mano in brughiera. Per fortuna dei due innamorati, l’arrivo delle Funghe spostò drasticamente l’attenzione del borgo su di sé, e il crescente rincorrersi ed incontrarsi dei nomi di Matilde e di Alvise nei discorsi dei paesani passò sempre più inosservato, accompagnando i due innamorati all’altare senza particolare clamore. Era chiaro a tutti che i due facevano coppia fissa, e con la stessa omertosa educazione con cui si alludeva senza parlarne alla sparizione del Maestro di pochi anni prima, si tacque pubblicamente del loro amore fino all’annuncio delle nozze. Matilde e Alvise si sposarono modestamente: le famiglie e pochi amici li accolsero gettando petali di amarena alla loro uscita dalla chiesa sul Promontorio, e li seguirono poi per un pranzo offerto dai padri all’Osteria Alba Spina di Pesche. Dopo la festa, gli sposi si erano avviati verso la nuova casa che era stata costruita per loro a Costa, attraversando il borgo di Osacca e salutando con la mano: si erano lasciati alle spalle l’osteria, i lavatoi, le case di Pesche e la chiesa. Le congratulazioni dei paesani li avevano seguiti fino alla soglia di casa, e Alvise e Matilde, stanchi di tanto sorridere, erano stati felici di avere finalmente una porta da chiudersi alle spalle per essere soli. Entrati in casa si erano tolti le scarpe, e nella penombra del tramonto autunnale tinto dalla luce screziata delle Funghe, che a quell’ora fluttuavano verso il pelo dell’acqua, li aveva accolti la strana e placida sensazione di trovarsi immersi in un attimo di presente infinito, che avevano costruito e atteso per una vita, perchè durasse per tutta la vita. Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR).
    17m 54s
  • 5 - La vecchia - Il piatto è pronto

    24 APR 2024 · Ep. 5 - La vecchia - Il piatto è pronto (Testo e voce di Davide Longo Langella)  La saliera, il pepe e l’olio extravergine. A lui piacciono in quest’ordine, da quarant’anni. E a me cosa costa accontentarlo ? Sono piccole attenzioni, carezze come queste che rendono solido un matrimonio. Felice ama i tovaglioli a forma di barchetta, sapete ? Sì, lo so, sembra un bambino. Ma cosa devo fare di fronte a quel suo sguardo sornione e alle sue dita che giocano con il tessuto, prima che il piatto sia sul tavolo ? E quando viene beccato, quelle sopracciglia alzate… Mentre apparecchio, Penelope mi osserva con i suoi occhi di porcellana. Mi tiene compagnia, e come me ha lo sguardo verso l’alto. Chissà se si è accorta dell’Acqu-aria. Chissà se può vederle fluttuare su rotte invisibili. Guardarle è così… rassicurante. Anche la sua pelle vitrea trema, quando i tentacoli viola superano le nuvole, oltre il limitare del colle. Io so cosa sono davvero, ma è un segreto, capite ? Ho già sbagliato a dirlo a Lucrezia, che l’ha detto a Vito. Poi non mi hanno più invitato a pregare.  La saliera, il pepe e l’olio extravergine. A lui piacciono in quest’ordine, da quarant’anni. Però quando non si presenta, mi fa arrabbiare. É un po’ così, ultimamente. Tutta colpa del cervo. É andato nel bosco e l’ha cercato, ancora e ancora, per tre mesi di fila. É diventata un’ossessione. Poi l’ha trovato. Certo, non me l’ha detto direttamente. Però quando è tornato a casa è entrato dal retro e si è seduto sulla poltrona rossa. Quando si ferma lì… per questo gli faccio trovare sempre il cuscino grande e morbido.  La saliera, il pepe e l’olio extravergine. A lui piacciono in quest’ordine, da quarant’anni. L’amore è anche questo. Qui nell’acqu-aria non è solo pelle, ossa, sangue… Guardate Penelope. Credete che non parli, a suo modo? Ha dell’ironia, a volte! E Felice… beh, lo amerei anche se fosse un lombrico o un ciottolo della strada. Lo amerei come uccello nel bosco, come fronda sull’albero. Se solo non mi facesse aspettare tanto… a volte la testa mi gira e vedo funghe nel cielo, polpa di ceramica, sprazzi di luce, polvere ovunque. Questo sussurrano le foglie che fluttuano per Osacca. E le Funghe ? Le Funghe sibilano sasso, vortice, peccato originale, non uscire domani, quadri neri attaccati alle pareti, lembi pieni di rosso, non uscire che sta venendo il diluvio, fango ovunque e stai tranquilla e colline e preghiere verso i fantasmi e tutti che pregano e io che… io che… Sì, le Funghe dicono cose strane. Come quella che è scesa giù. Ha adagiato i tentacoli rosa sui braccioli, come niente fosse. L’ho guardata. Quando ha sfiorato il tovagliolo e ci ha giocato, ho capito tutto. Ma quelli del paese, loro no, non possono capirlo. Hanno paura della verità.  La saliera, il pepe e l’olio extravergine. A lui piacciono in quest’ordine, da quarant’anni. E a me cosa costa accontentarlo ? Sono piccole attenzioni, carezze come queste che rendono solido un matrimonio. Felice ama anche i tovaglioli a forma di barchetta, sapete ? Sì, lo so, sembra un bambino. Ma cosa devo fare di fronte a quel suo sguardo sornione e ai suoi tentacoli che giocano con il tessuto, prima che il piatto sia sul tavolo ? E quando viene beccato, quelle sopracciglia alzate… Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    11m 2s
  • 6- Il trattore - Acquario acquitrino acqui acquisto acquino acquatico 

    24 APR 2024 · Ep. 6: Il trattore - Acquario acquitrino acqui acquisto acquino acquatico  (Testo e voce di Davide Rigamondi)  C’è stato credo un calciatore, lo vedevo passare il giovedì con una palla arancio fluorescente. La palla è rimasta, sgonfia, il giorno che mi ha portato via. C’è stato il fanatico, mi trattava con cura ma ero immobile. Quando entrava, godevo. Premeva sul gas senza mettermi in moto mi dava modo di fiatare di riprendermi l’aria che stava intorno. Una cura meditativa, era quello che ho imparato essere amore. Durò anni ma non facevo più parte del suo museo. C’è poi il pascolo e il frutteto. Grossi alberi di fico dove le vespe avevano trovato vita e fine. Passavamo dolci tra i rami in foglia e uomini come rampanti mi si attaccavano, aggrappavano, scavalcavano con le mani luride di terra tagliate dai rami dei frutti per un tragitto lento fermo lento fino al casolare. Ho pensato ai grandi sospiri e russa che mi sarei regalato quando appena ero arrivato. C’è stata, e ora, la valle, l’uomo in ciabatte e il cane. Ho capito che qui era un posto dove tirare bene avanti. Lasciavo una traccia forte, benzina, era il mio sudore da casa all’altra casa. La traccia era breve un’impressione che si mischiava con le vesti e profumi, verdi e marroni e blu delle rovine e dell’acqua nella valle che per tornanti rendevano il paesaggio. La traccia era l’unica memesi che potevo avere con quel posto, ero dipinto arancione. Starei meglio in città dove tutto è facile e funzionale agli occhi. Il cane pisciava sulle mie ruote, ero un suo territorio. Possessivo e territoriale spargevo forse il suo messaggio, non ne sono certo. “Nicola vieni qui” diceva l’uomo. il cane si interrogava avvicinandosi a me con il muso a leccare i piedi e le ciabatte blu infradito del padrone, consumate, come i piedi che erano neri di sporco dopo ogni tragitto da casa a casa. Tra loro c’era l’animale e lo sporco che mi portavo anche io a dietro. Io, Nicola e l’uomo pascolavano cose che non potevo vedere. Mattino tra le strade curve, gomiti stretti. Il cane tra il silenzio a volte sbraitava qualcosa per richiamare a lui l’attenzione. Pensavo. Pensavo come ero un supporto necessario per quel abbonamento andata e ritorno. Ero duro, meritavo una sella migliore, il volante era un ottimo dieci. Ero di mezzo tra loro due ma ascoltavo con piacere gli ordini che si davano, era un patto di sopravvivenza. L’uomo portava con se un bastone che puntava in alto, lo roteava e l’atmosfera cambiava. Subito dopo il bastone tornava giù e picchiava tre volte sulla mia pelle dura e ronzava per il mio corpo, mi premeva e mi portava. Un elettricità, una scossa modificava la mia materia. La notte che ho pensato. Ho pensato per la prima volta, o meglio ho realizzato di pensare, è stata una notte dove le persone parlavano con gusto di cibo. Ora che rimanga tra noi, ho scoperto come vedo un po’ il mondo in un determinato modo grazie alla parola pareidolia. È un fenomeno di certe persone che ragionano e parlano con le immagini. Questi vedono due occhi un naso e una bocca appena c’è la possibilità di vederle. Credo che sta cosa sia legata a qualche problema di disturbo dell’attenzione o problemi legati alla personalità per mancanza di attenzione. Non ne sono certo sono un trattore. Ora possiamo dire: nelle case si vedono le facce, si vedono le persone, si vedono i negozi a piano terra con tende molto simili a quelle che si trovano su un balcone di un condominio. Questa somiglianza non è a caso, anche se chi crede nel caso è una persona che merita stima. Se fossi solo oggetto non sarei soggetto mentre parlo, sarebbe impossibile, facciamo un esempio. Pensare a una città, le attività con insegna, a pian terreno. Una volta quelle attività che chiameremo negozi per facilità di comprensione, erano case, le persone vivevano dove c’erano le strade, in strada. I ristoranti ad esempio, sono luoghi che hanno un'origine semplice. Erano case. Ci vivevano persone. A volte ospitavano gente a mangiare. Hanno capito che certi andavano molto spesso e hanno iniziato a vendere il loro pranzo domenicale. Ci sono cose che oggettivamente a volte sembrano comparire o scomparire così d’improvviso. Avete ragione, non possiamo vedere ovunque. Vedere tutto ovunque vorrebbe dire di vedere il colore ovunque e non vedere la struttura effettiva della cosa. Una struttura che è fatta di gravità, forze che spingono l’una e l’altra, si schiacciano e litigano. Ho realizzato di essere quel fantasma, la smarrita, tra l’uomo e il cane. Intrappolato in una forma che non si vede, non è lampante, evidente e palese. Sono qui comunque, esisto. Nicola credo lo abbia capito anche perché non mi piscerebbe sulla ruota.  Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    9m 49s
  • 7 - Il Maestro

    2 MAY 2024 · Ep. 7: Il Maestro (Testo e voce di anonimo) La Stamberga che fa da scuola al paese, per vent’anni, ogni giorno, salvo il sabato e la domenica, ché li passo su Sallustio e Tito Livio, mi attende a prestar servizio. Percorro la strada di sassi finché sulla destra non si apre un varco tra la vegetazione. Il noce sul crocicchio l’ha piantato il mio predecessore. E’ cresciuto al limitare del vallone. La Maria credeva che portasse male e ha sputato sulle radici ogni volta che c’è passata accanto. Da quando il morbo se l’è portata, il noce, a me, è parso meno triste. Il sentiero, piano, che mena la scuola, si distende sulla china che scende come una lingua di rostri. I rovi non li ha potati più nessuno, cosicché io e i bambini ed il bidello ci abbiamo fatto tutti i calzoni forati. In fondo, sullo spiano che si allarga, come un palmo d'una mano, i bambini giocano a biglie contro il muro che screpola vernice. Il bidello, sotto la casa dismessa, fuma Nazionali. I fichi non sono ancora maturi. I calabroni volano bradi. Tra poco sarà estate. Anche se vivo, solo, da quando mamma è morta, non ho mai sentito la necessità di compagnia. All’uscita della scuola, ho tirato sempre dritto, neanche li guardo i padri degli allievi tra le frasche, che a tracannare il vino greve con la grappa prendono il sole e il vento e non dicono una parola che sia sopra le carte stese sull’erba come cadaveri. D’altra parte la mia non è misantropia, perchè anche i gatti sopra i muraccioli crepati mi sono a noia e le galline e i cani. Solo le piante forse. Oggi, però, all’uscita di scuola, mentre i ragazzini con le bretelle a tirar su i calzoni se ne scappavano ridendo a casa, sono rimasto sotto il sole che spacca. Mi sono tolto la giacca e l’ho appoggiata sopra la cartella di cuoio. Me l’ha comprata mamma a una bancarella per la riabilitazione. Mi sono acceso una Nazionale e per la prima volta in vent’anni ho fatto il giro della scuola. Il bidello Nicosini, dietro, ci alleva le capre. Gliel’avrò detto cento volte che il puzzo di urina vien su fino alle aule, ma lui niente, e alla festa di Sant’Anita porta una provola da dividerci in classe. E gliela si perdona tutti allora la sua misera libertà delle varcato sopra la scuola. Io però la stalla non l’ho vista mai. Le capre, piegate sul pagliericcio umido, si rivolgono a me con occhi di gelatina che mi paiono lune in mezzo a un crepuscolo di peli. Alle mie spalle c’è un piccolo orto. Nicosini s’è preso altre libertà. Più in là il bosco chiuderebbe l’orizzonte se non ci fosse uno spiraglio tra i roveti. Nicosini ha parlato di un sentiero che un tempo usava per la caccia. Il sentiero, ripido, disserrato ora, una marcite essiccata e attraverso le foglie a punta di lancia di un albero che mi è sconosciuto la gialla ferita che la frana ha lasciato sul dorso del monte. Le interruzioni si fanno più frequenti ora che scendo. Il mio respiro accelera. Il coltello da intagliatore oscilla nella tasca dei pantaloni. Mi aspetto di scorgere un capriolo agonizzante. Gli premo la testa contro i sassi e affondo il coltello dentro il collo. Il sangue sale come una fonte. Sono un predatore. Il vento stride come il rapace tra gli spacchi del legno. Corro. L’upupa intreccia il suo canto con la poiana. Un grugnito nel folto. Sono una preda. Non avessi mai messo piede nel solco. Sono caduto e mi sono lacerato la camicia contro un sasso sporgente. A terra, invaso dal rumore insistente delle acque, una griglia incandescente della paura, rivolgendo gli occhi verso l’alto, scorgendo nel brulichio delle foglie la rugiada di luce. Da quanto tempo mi sono abbandonato alla consistenza tenue dell'oblio. Mi è tornato alla mente il volto di una ragazza. Un nome. Il suo. Ma è l’incanto di un attimo. E il vento mi strappa la memoria. Le mie viscere esposte. L’unica cosa. La vegetazione si fa più folta. Il calore sale dalla terra. Le mosche mi perseguitano come colpe l’addome scoperto. Non c’è via d’uscita. Dovrei tornare indietro ma è troppo tardi. Nel folto il bosco si dirada. L’erba scompare. La terra rivela le sue ossa azzurre. L’aria è pesante, fatico a respirare. C’è un cartello bianco sul quale non distinguo le lettere. Sono nere. C’è dell’acqua sospesa nell’aria che pare una diga o un vortice o una tomba. Al di là ci sono le rogge tumultuose che scendono dai monti, le radure, la pace sugli altipiani. E per un attimo mi fingo l’allegria. Ma poi scorgo altre case, altri campanili, altri campi, altre scuole. In un attimo il velo ricade su di me. Eppure non è il solito tedio che mi assale, del riconoscimento del medesimo corso, della medesima opera, perché una luminescenza scivola attraverso le pietre. Sale nell’aria. Le protuberanze violacee e una bocca di muco che si spalancano di fronte a me. E’ questo che vedo prima di venir meno. A casa ho gli occhi rivolti all’orizzonte. Le sterpaglie del pruno si addensano in basso. In alto, le nuvole sono rare. La lama affonda nel ventre e penso al suo nome. Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    12m 54s
  • 8 - Vox medusæ

    2 MAY 2024 · Ep. 8: Vox medusæ Alessio Dal Checco: Sax solo  Sebastiano Ratti: Live electronics Osacca, 31 luglio 19(···) La piccola Osacca, frazione di Bardi, è stata sommersa da una misteriosa acqua. Le autorità faticano a spiegare il fenomeno. Non si conoscono fiumi, né altri corsi d’acqua che, strabordando, possano aver dato luogo all’avvelenamento. Nessuna precipitazione registrata nelle ultime due settimane. L’unica spiegazione possibile è che tutta quest’acqua venga dal sottosuolo e sia stata liberata così, all’improvviso, da cause ignote. Non di allagamento si parla, ma di vera e propria sommersione, inaspettata, inspiegabile.L’acqua che sommerge il borgo sembra non potere, o quasi non volere defluire, rendendo quella che fino a pochi giorni fa era una serena frazione di Bardi, una novella Atlantide. Il tempo la vita ed ogni attività sembrano essere rimaste sospese nel liquido che avvolge le case in pietra di Osacca. Osacca, 31 luglio 2023 Dopo lunghissimi anni sembra che ogni traccia dell’acqua che avvolgeva Osacca sia scomparsa. Come era venuta senza preavviso, così se n’è andata. Le case sono riemerse intonse, intoccate dall’umidità e così dal tempo. Si è scoperto, tuttavia, un fatto singolare: coloro che erano rimasti nella piccola cittadina, al momento dello strano fenomeno, sembrano aver continuato a vivere la propria quotidianità senza accorgersene.Nessuno sembra essere invecchiato, nessuno sembra saper raccontare cosa sia accaduto in questi lunghissimi anni. [Giorgio Kralkowski] Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski 
    6m 35s
  • 9 - Epiloghi

    2 MAY 2024 · Ep. 9: Epiloghi - Epilogo (Testo e voce di Eleonora Andrighetto)  Le Funghe si levano, si affrettano al cielo. Si addensano, nubi sotto il pelo dell’acqua, in una danza caotica che ne scioglie i confini. Cumuli gelatinosi si sfaldano tra grovigli di salice, tentacoli morbidi vorticano in un vento elettrico che sferza i campi e spezza i rami. La luminescenza tumida tuona, scoppiano lampi nel viola. Osacca, nel riverbero, trattiene il fiato, guarda all’insù, stupefatta e sospesa. Nell’istante dove il lampo si fa ago, l’acqua filo. Come una membrana impalpabile che si spezza, un vortice pungente scompiglia l’acquaria. Cade, si pioggia. Prima leggere, poi violente, gocce gocce gocce al suolo ferendo le foglie. Fiaccate, si gonfiano le cortecce; le strade, cretti arsi da una sete di decenni, si lasciano travolgere da torrenti di fango. E tutto s’inverte. Defluisce. Dal cielo alla valle ritrova la sua strada verso il fuori. Oltrepassa.Ci lascia soli col rimasto.  - Diario Rifugio (Testo e voce di Lorenzo Manenti)  Diario Rifugio, giorno uno. Ieri, le Smarrite si sono sollevate e hanno deciso di andarsene. La maestra Matilde ha detto che sono andate dove ad un certo punto vanno tutti. Per la prima volta, ho conosciuto la pioggia. E l’acqua si è trasformata in aria, scoprendoci bagnati. Mi è piaciuto sentire il sole asciugare la mia pelle. Non mi è piaciuto, invece, alzare gli occhi al cielo e non vedere le Smarrite. Questa mattina, mentre andavo a scuola, ho scoperto una frase scolpita sul muro dietro la mia casa: Un borgo, la città, l’eco della mia voce. Ho pensato che, forse, è proprio questo che potrei fare. Costituire, con l’eco della mia voce, un rifugio in cui conservare la voce del mio borgo. Tornando a casa da scuola, ho comprato un diario e ora sono qui a scrivere il mio rifugio. È poco, sì, ma forse è tutto.  - Funga Trasparente (Testo e voce di Davide Longo Langella)  Funga trasparente, palpitante e carica di viola, sei mai stata felice o sono sempre stata sola? Sotto lo scroscio melmoso di ieri, sotto questa pioggia ad universi paralleli, sento la prosa infame dei versi veri. E tu non scioglierti, amore mio, nero sotto il terreno, chè in un’altra Osacca non sono sola. Tu sei ancora bacio, caldo, sotto le lenzuola. E tu non scioglierti, amore mio, nero sotto il terreno. Chè in un’altra Osacca non sono sola. Tu sei ancora bacio caldo, sotto le lenzuola. - Ruggine (Testo e voce di Davide Rigamondi) Ho realizzato durante un colloquio, nel silenzio il fruscio di me e con me stesso, che la materia di cui sono fatto è una materia inutile. Una materia che non vive nel tempo. Si chiama ferro. Io lo chiamo ruggine. Mi scava dentro come un tumore, una palla che mi esce dallo stomaco, una ciste tonda, ovale, sferica, che mi deteriora anche gli altri organi. La ruggine corre, come cento, duecento cavalli, per tutto il mio corpo. Mi tambura come la pioggia che cade. Diventerò invisibile? Un’altra volta? Sì. Mi sta mettendo tutta una luce addosso, come quella di un sole. Ho un piano molto semplice, consiste nel dimostrare la mia esistenza all’uomo in ciabatte. Ma esiste anche lui? Nicola non piscia mai su di lui, al massimo lo fa su qualche fiore. Forse è lui che non esiste. E io esisto. Come questo posto, come il posto che mi trovo ora, come il posto che mi troverò. - Alvise (Testo e voce di Eleonora Andrighetto) Si stringeva a me Matilde, non aveva mai avuto paura di temporali, prima. Non l’avevo mai avuta neanch’io, ma oggi…oggi… Oggi è successo all’improvviso. Io ero appena rientrato dal bosco, prima del tramonto, e le avevo viste riposare ancora, come ogni altro giorno da che le ricordavamo qui. Poi, quasi dal nulla, la voce di Matilde. “Matilde, corri! Trema, corri guardale, si affrettano, corri!”. Sussultavano come impazzite, nel crepuscolo chiazzato di porpora delle ciliegie, e scintille mai viste che vibrano dai filamenti e si allacciano e si ingrumano e sembrano quasi lottare per raggiungere il cielo. Come loro sono corso anch’io, prima in giardino, poi in strada, e il vento, che l’ho sempre conosciuto, non scivolava più sui tetti con la sua voce, no, non scivolava più. Si arrampicava. Si arrampicava sui tetti come un animale impazzito e quelle creature con lui. Uno spettacolo pietrificante, disgustoso, e la mano di Matilde riesce quasi a farmi male, da quanto è stretta. Scivoliamo. Un torrente di fango ci spinge verso casa. Osacca scola, corre la strada, ho le scarpe coperte di fango, mi acceca lo scroscio, piove veleno? No. Qualcosa lontano respira forte. Serrati in casa, siamo fradici, ammaccati, percorsi da un fremito che sublima la paura e sfocia nella possibilità, nella coscienza che riuscire a sopravvivere, ora, non è diverso dall’essere sopravvissuti a qualunque altro giorno delle nostre vite. Tra le macerie, la prima cosa che vedo è un croco. La mia scure è ancora coperta di fango. Gli occhi sconvolti di mia moglie. Riemersi, abbiamo una luce nuova.  - Il Viaggiatore - Luglio 2023 (Testo e voce di anonim*) A me, il pietrisco, da lontano, è parso neve che persiste. Ma come non continuare, chè la sdrucciola ha preso a salire la pietraia con i roccioni e le lucertole il limitare del bosco e la sabbia. Le case hanno lasciato posto alle capanne. Le capanne, le piattaforme e i recinti. I costruttori hanno usato il legno bianco delle betulle, di quelle che si spellano al sole inclemente. Ho pensato che, se avessi voluto incontrare qualcuno, sarebbe stato piacevole solo la morte. Appese come ragni alle pareti le alghe, i carapaci vuoti dei molluschi. E sulla chiesa le cicatrici, sul sentiero che porta su, sulle rocce. Tutto ciò mi avrebbe fatto presagire acqua. Non conduce a nulla. Segni. I pozzi, per esempio, sono vuoti. Mi ci sono calato, tra i sassi aridi. E l'alveo deserto del fiume mi ha traghettato altrove, dove si accumulano le spine dei cardi. Il vecchio, che ho scoperto prendere polvere nella casa con la lucina, non mi ha detto nulla e aveva fretta di spingermi fuori con le dita appuntite. L’epidermide che pare venatura di ferro, i capelli radi e lunari. Qualcosa ha attraversato la via. Quando mi sono voltato, l'ultimo gesto mi indicava la sommità che sprofonda. E la luna pesante. E una traccia luminescente che saliva al cielo. Osacca, 31 luglio 19(···) La piccola Osacca, frazione di Bardi, è stata sommersa da una misteriosa acqua. Le autorità faticano a spiegare il fenomeno. Non si conoscono fiumi, né altri corsi d’acqua che, strabordando, possano aver dato luogo all’avvelenamento. Nessuna precipitazione registrata nelle ultime due settimane. L’unica spiegazione possibile è che tutta quest’acqua venga dal sottosuolo e sia stata liberata così, all’improvviso, da cause ignote. Non di allagamento si parla, ma di vera e propria sommersione, inaspettata, inspiegabile.L’acqua che sommerge il borgo sembra non potere, o quasi non volere defluire, rendendo quella che fino a pochi giorni fa era una serena frazione di Bardi, una novella Atlantide. Il tempo la vita ed ogni attività sembrano essere rimaste sospese nel liquido che avvolge le case in pietra di Osacca. Osacca, 31 luglio 2023 Dopo lunghissimi anni sembra che ogni traccia dell’acqua che avvolgeva Osacca sia scomparsa. Come era venuta senza preavviso, così se n’è andata. Le case sono riemerse intonse, intoccate dall’umidità e così dal tempo. Si è scoperto, tuttavia, un fatto singolare: coloro che erano rimasti nella piccola cittadina, al momento dello strano fenomeno, sembrano aver continuato a vivere la propria quotidianità senza accorgersene.Nessuno sembra essere invecchiato, nessuno sembra saper raccontare cosa sia accaduto in questi lunghissimi anni. [Giorgio Kralkowski] Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR). Musica di: Sabina Hansen - Clarinetto Alessio Dal Checco - Sax, elettronica Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica Serena Carapellese - Violoncello Marco Minoia - Synth, Voce Marco Bussi - Synth Alberto Leoni - Synth, piano Marco Nardella - Piano  Matteo Cenerini - Chitarra elettrica Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica Testi di: Eleonora Andrighetto Davide Longo Langella Lorenzo Manenti Davide Rigamondi Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
    21m 54s

Arrivarono ad Osacca da una stradina nel bosco che sembra abbandonata a se stessa, arrivarono a Osacca per partecipare a una residenza, Oltrepasso.  Una quindicina di persone che poco si...

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Arrivarono ad Osacca da una stradina nel bosco che sembra abbandonata a se stessa, arrivarono a Osacca per partecipare a una residenza, Oltrepasso. 
Una quindicina di persone che poco si conosceva prima, chi si esprimeva coi suoni chi con le parole. Non appena arrivarono, la cosa che più colpì i loro sensi fu quell'atmosfera come di un tempo immobile, di una staticità che permeava le costruzioni di pietra del paese e che le rendeva refrattarie ad ogni tipo di cambiamento.

È strano immaginarsi che un posto così possa avere avuto una storia. Per sette giorni con i loro corpi, con la loro musica e e la scrittura, hanno riabitato il paese, scegliendo la locanda come luogo d’incontro dove condividere esperienze ed idee alla ricerca di un dialogo nuovo ed estemporaneo fra la parola ed il suono. 
La natura narrativa dei due canali comunicativi e l’immersione in questo mondo così distante hanno portato interrogativi profondi su questo insolito isolamento:
chi fu ad abitare Osacca prima di loro? Erano consapevoli di questa stasi che tutto sommergeva? C’è stato qualcosa che ha causato questo distacco dai ritmi del mondo esterno? Come si svolge la vita in un paese in cui il tempo sembra ristagnare?

Lavorando con questi elementi, le ragazze e i ragazzi della residenza hanno dato vita a "Akuatica" costruendo una loro storia del paese di Osacca, con un’ambientazione che ha ispirato paesaggi sonori ed episodi narrativi multiformi.

Osacca, 31 luglio 19(···)
La piccola Osacca, frazione di Bardi, è stata sommersa da una misteriosa acqua.
Le autorità faticano a spiegare il fenomeno.
Non si conoscono fiumi, né altri corsi d’acqua che, strabordando, possano aver dato luogo all’allagamento.
Nessuna precipitazione registrata nelle ultime due settimane. L’unica spiegazione possibile è che tutta quest’acqua venga dal sottosuolo e sia stata liberata così, all’improvviso, da cause ignote.
Non di allagamento si parla, ma di vera e propria sommersione, inaspettata, inspiegabile. L’acqua che sommerge il borgo sembra non potere, o quasi non volere defluire, rendendo quella che fino a pochi giorni fa era una serena frazione di Bardi, una novella Atlantide. Il tempo la vita ed ogni attività sembrano essere rimaste sospese nel liquido che avvolge le case in pietra di Osacca.

Osacca, 31 luglio 2023
Dopo lunghissimi anni sembra che ogni traccia dell’acqua che avvolgeva Osacca sia scomparsa. Come era venuta senza preavviso, così se n’è andata. Le case sono riemerse intonse, intoccate dall’umidità e così dal tempo. Si è scoperto, tuttavia, un fatto singolare: coloro che erano rimasti nella piccola cittadina, al momento dello strano fenomeno, sembrano aver continuato a vivere la propria quotidianità senza accorgersene.Nessuno sembra essere invecchiato, nessuno sembra saper raccontare cosa sia accaduto in questi lunghissimi anni.
[Giorgio Kralkowski]


Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR).


Musica di:
Sabina Hansen - Clarinetto
Alessio Dal Checco - Sax, elettronica
Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica
Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica
Serena Carapellese - Violoncello
Marco Minoia - Synth, Voce
Marco Bussi - Synth
Alberto Leoni - Synth, piano
Marco Nardella - Piano 
Matteo Cenerini - Chitarra elettrica
Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica

Testi di:
Eleonora Andrighetto
Davide Longo Langella
Lorenzo Manenti
Davide Rigamondi

Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti

Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
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