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“Vogliamo vivere in una casa, non in una clinica". La battaglia per i diritti di 89 persone autistiche. Intervista all'associazione Oikos

“Vogliamo vivere in una casa, non in una clinica". La battaglia per i diritti di 89 persone autistiche. Intervista all'associazione Oikos
Apr 2, 2024 · 51m 58s

La https://www.fishlazio.it/wp-content/uploads/2024/02/DGR-983-2023.pdf che ha deciso di trasferire 89 persone con disabilità intellettiva complessa, già residenti in gruppi appartamento o frequentanti centri diurni, in strutture sanitarie, di fatto delle RSA, entro...

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La Delibera della Regione Lazio del 28 dicembre 2023, n. 983, che ha deciso di trasferire 89 persone con disabilità intellettiva complessa, già residenti in gruppi appartamento o frequentanti centri diurni, in strutture sanitarie, di fatto delle RSA, entro il mese di giugno, ha generato un grande allarme nelle famiglie e nelle associazioni vicine a queste persone. 
Come si può leggere nella delibera, la Regione ha stabilito per queste 89 persone "che le AA.SS.LL. dovranno individuare, entro e non oltre il 30 giugno 2024, la risposta assistenziale più appropriata in ragione dei PAI formulati dalle UVMD, tenendo conto, ove ritenuto adeguato un setting residenziale/semiresidenziale, dell’unità di offerta attualmente presente sul territorio regionale, ossia le strutture sociosanitarie nelle quali ospitare le n. 89 persone con ASD e/o disabilità complessa ricomprese nel bacino di cui al presente atto", "e precisamente per n. 56 utenti è stato individuato dalle UVMD un regime assistenziale a prevalenza sanitaria/alto impegno assistenziale con quote a carico dell’azienda sanitaria locale pari al 70% della tariffa giornaliera e di compartecipazione del Comune di residenza per la quota residua del 30% e per n. 33 utenti un regime assistenzialecon quote a carico dell’azienda sanitaria locale pari al 40% della tariffa giornaliera e di compartecipazione del Comune di residenza per la quota residua del 60%".
Detto in parole semplici, la Regione ha valutato che gli attuali percorsi di inclusione sociale non sono appropriati e idonei per i bisogni assistenziali di queste persone che richiedono 'setting residenziali' che solo le residenze socio-sanitarie possono realizzare. "Ancora una volta l’unica risposta possibile che le Istituzioni riescono ad offrire alle persone che hanno bisogni complessi è quella di confinarle in strutture medicalizzanti" scrive Daniele Stavolo sul sito della FISH.
In questa trasmissione, abbiamo intervistato Barbara e Clara, referenti dell'associazione Oikos "Una Casa per Vivere", nata tanti anni fa dall'unione di diversi familiari di ragazzi autistici, che gestisce oggi 3 case-famiglia per persone con disabilità complessa, coinvolte dalla delibera sopra-citata. 
Barbara e Clara ci spiegano quanto accaduto e ci fanno entrare in questa storia per certi versi paradigmatica degli enormi problemi legati all'integrazione socio-sanitaria. Quella che all'inizio è sembrata fin da subito un'ottima notizia, ossia la presa in carico dei bisogni sanitari di queste persone, presto è divenuto l'incubo di un trasferimento già deliberato e non concordato. 
Le persone coinvolte da questa delibera, attualmente, vivono in case-famiglia dove non sono presenti figure sanitarie. Case vere con al massimo 8 ospiti. I ragazzi accedono ai servizi sanitari pubblici e privati di cui hanno bisogno, come tutti, attraverso il supporto di operatori socio-assistenziali. 
Con la delibera, è partito l'allarme delle famiglie: le residenze sanitarie assistenziali, infatti, sono strutture socio-sanitarie inappropriate per garantire un progetto di vita inclusivo e un supporto individualizzato di qualità, attento alle esigenze specifiche delle persone ospiti. Sono strutture riabilitative ed assistenziali che possono essere utili per brevi periodi, ma assolutamente incapaci di rispondere a bisogni e prospettive 'normali', individuali, ossia volte all'inclusione concreta di queste persone nel tessuto sociale della nostra città.
L' Associazione Oikos "Una Casa per Vivere" garantisce un elevato rapporto operatore-utente (1:2 nelle attività strutturate, 1:3 nelle ore diurne, 1:4 nelle ore notturne) che permette all'equipe di lavorare con cura sul progetto educativo individuale di ogni utente all'interno di una casa con un'atmosfera familiare e informale. E questo supporto è la base ideale per accedere a servizi sanitari e interventi riabilitativi territoriali. Parlare di 'setting residenziale' per persone che un progetto di vita ce l'hanno diviene quindi inappropriato e denota l'enorme difficoltà delle amministrazioni di co-progettare e individualizzare i programmi riabilitativi in modo flessibile ai bisogni concreti della persona.
Dopo le prime proteste, l’assessore ai Servizi sociali, alla disabilità, al terzo settore e ai servizi alla persona ha prontamente chiarito «che le unità valutative delle aziende sanitarie in questione stanno facendo i necessari approfondimenti su ogni singolo caso al fine di garantire un servizio più qualificato possibile e che, inoltre, non avrà luogo alcun trasferimento in altre strutture rispetto a quelle dove gli utenti risiedono attualmente». Anche Barbara e Clara ci hanno raccontato come, in qualità di ente gestore dei progetti individuali messi in atto in questi anni, siano state tranquillizzate sugli sviluppi di questa vicenda.
Nella stessa delibera sopracitata, viene stbilito che "le eventuali dimissioni/trasferimenti saranno comunque sempre concordate con la persona e/o con i familiari e comunque sempre nel rispetto dei tempi dell’ospite a ricevere le cure e l’assistenza necessari", e "di disporre che sarà a carico delle AASSLL, anche attraverso la convocazione delle UVMD, vigilare sulla permanenza dei requisiti assistenziali degli utenti oggetto del presente atto".
“Per anni – chiarisce l’assessore Massimiliano Maselli – è mancato un protocollo in materia e i ragazzi con disabilità sono stati collocati nelle strutture socio-assistenziali senza una vera analisi di caso in caso. Ed è quello che stiamo facendo adesso. Al momento abbiamo garantito la continuità del sostegno agli 89 ragazzi citati nella delibera fino al 30 giugno, ma nel frattempo in questi mesi ci occuperemo di verificare la loro situazione di caso in caso e capire di che tipo di assistenza abbiano bisogno e a chi spetti il pagamento, se alla Regione o al Comune e in quale percentuale. Degli 89 utenti, infatti, ce ne sono alcuni che resteranno nelle strutture socio-assistenziali dove sono, ma per i quali la retta non dovrà più essere pagata dalla Regione come fatto finora. Ce ne sono altri, invece, che avranno bisogno anche di un’assistenza socio-sanitaria, ma che comunque non verranno trasferiti”.
Tuttavia, “la questione non può ridursi in termini meramente economici: chi paga cosa, in questo modo si perde il principio della “persona al centro”. Le condizioni e il rischio di isolamento, confinamento e segregazione delle persone con disabilità costrette a vivere all’interno di mura “ospedaliere” e spesso senza nessun contatto con il territorio, lesiva della dignità umana, obbligano a riflettere sugli attuali modelli di accoglienza e residenzialità, per ripensarli in un’ottica di graduale trasformazione degli interventi, più umana e meno istituzionalizzante.” scrive sempre Daniele Stavolo “Serve una reale integrazione di diverse tipologie di servizi che favoriscono l’inclusione secondo le personali possibilità di ognuno, ma anche moltiplicare i luoghi dell’abilitazione nella quotidianità, perché ormai tutte le esperienze sul tema insegnano che la più autentica abilitazione della persona avviene in ogni momento della sua vita. Prima di tutto è indispensabile un coraggio politico che abbia la capacità di mettere in discussione l’esistente. La FISH Lazio chiede per questo un confronto urgente con il presidente della Regione Francesco Rocca al fine di avviare un percorso di rivisitazione degli attuali modelli di intervento per l’accoglienza delle persone con disabilità, reindirizzando le risorse dall’istituzionalizzazione alla domiciliarità e ai servizi radicati nella comunità”.
Purtroppo, che il sociale di qualità abbia un impatto sanitario clinicamente significativo è qualcosa che ancora sfugge alla maggior parte delle persone.  La stessa Regione, nel Piano di Programmazione dell'assistenza territoriale 2024-2026, a proposito di autismo ('Rete di trattamento per i disturbi dello spettro autistico' p.62) scrive di voler aggiornare e rimodulare l'offerta residenziale e semiresidenziale 'in considerazione, tra l'altro, dell'introduzione del c.d. Budget di Salute’.
Budget di Salute che si basa proprio sulla co-progettazione tra enti pubblici, privati, persone con disabilità, le loro famiglie e le associazioni. La dissociazione presente in questa storia tra atti amministrativi ed enunciati appare evidente, con ‘tranquillizzazioni’ a cui non corrispondono atti formali e la mancanza di quella co-progettazione che richiede, in realtà, una rivoluzione culturale nell’ambito dell’assistenza. 
Il Budget di salute (BdS), infatti, è costituito dall’insieme delle risorse economiche, professionali, umane e relazionali, necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale della persona. E’ uno strumento burocratico-amministrativo generativo, nato per favorire la realizzazione di percorsi di cura nell’ambito di Progetti di Vita personalizzati in grado di garantire l’esigibilità del diritto alla salute attraverso interventi sociosanitari fortemente integrati e flessibili. Nella regione Lazio se ne parla ormai da diversi anni, ma rimane una buona pratica assolutamente marginale, vista male da funzionari pubblici già travolti dall’eccesso di lavoro. La classica riforma fatta ‘senza risorse aggiuntive’, caricando un personale già stremato ed esiguo. 


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