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Riviata Militare 1 2024, Giuseppe CACCIAGUERRA - Rivista militare e le donne, Storia di un ingresso

Riviata Militare 1 2024, Giuseppe CACCIAGUERRA - Rivista militare e le donne, Storia di un ingresso
Feb 15, 2024 · 11m 18s

Rivista militare e le donne Storia di un ingresso di Giuseppe Cacciaguerra La presenza femminile nella compagine militare è – oggi – una consolidata realtà. Siamo lieti di riconoscere alla...

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Rivista militare e le donne
Storia di un ingresso
di Giuseppe Cacciaguerra

La presenza femminile nella compagine militare è – oggi – una consolidata realtà. Siamo lieti di riconoscere alla nostra Rivista il fatto di aver partecipato attivamente, anticipando pure i tempi, al dibattito e alle proposte su questo tema fondamentale per l’uguaglianza dei diritti. Il percorso, come vedremo, è stato lungo ed irto di ostacoli, ma Rivista Militare non poteva – perché non fa parte della sua vocazione e storia – estraniarsi dall’indagare una così potente innovazione con spirito lucido e critico. A conferma dell’attenzione per il mondo femminile, nello scorso maggio, Rivista Militare ha partecipato al Festival Internazionale èStoria di Gorizia, giunto alla sua XIX edizione. Tema di quest’anno: le Donne. Abbiamo voluto essere presenti, non da semplici spettatori, ma da protagonisti con la conferenza: “Rivista Militare e le donne, storia di un ingresso”. Per ripercorrere questa entrata, a lungo dibattuta, proponiamo al lettore di sfogliare assieme le pagine storiche della nostra Rivista, per soffermarci su alcune di quelle dedicate proprio alle donne. Il primo articolo nel quale ci imbattiamo – dall’anno della fondazione, ovvero il 1856 – risale al 1911: “Le donne italiane nel Risorgimento nazionale”[1]. L’autore è il Cap. Rodolfo Corselli. Si tratta di un interessante e godibile articolo, schematico nel suo sviluppo, e dallo stile, per i canoni di oggi, forse un po’ ampolloso, ma d’altronde si tratta di uno scritto di oltre un secolo fa. Eccone un esempio: “Nessuna nazione, nessun popolo del mondo può vantare una costellazione così ricca e splendente di figure muliebri patriottiche!”. Scopo manifesto dell’autore è quello di rendere merito a tutte le donne che, nel corso del Risorgimento, si adoperarono per la causa comune dell’unità e dell’indipendenza italiana. Nel farlo, egli suddivide le patriote in quattro categorie: protettrici, cospiratrici, martiri e combattenti. Ci soffermiamo solo sulla categoria delle martiri per raccontare lo “spettacolo triste e ributtante” avvenuto a Milano, in piazza Castello, il 23 agosto 1849. L’antefatto di quel giorno furono le proteste – si trattava di fischi – indirizzate ad una lavandaia, tale Olivari, cui non si fa mancare la specifica “di cattivi costumi”, per aver esposto alla finestra un grembiule con l’aquila austriaca. I fermati dalla polizia, una trentina i fischiatori, furono condannati alla bastonatura – come si capisce, ai tempi si andava per le spicce. Tra loro figuravano pure due giovani donne: Ernestina Galli, di anni 20, e Maria Conti, di 17. “Denudate e legate a un palo soffrirono la vergogna di essere battute davanti a soldati e ufficiali”. Per la cronaca, 40 colpi alla prima e 30 alla seconda “perché più giovane”. Non commentabile l’epilogo: “Il Governo del Lombardo-Veneto mandò poi al Comune di Milano il conto delle bastonate da pagare, per indennizzo ai soldati operatori e per verghe rotte, che ascese a poco più che 22 fiorini. E il comune pagò”. Tutto l’articolo tende, insomma, ad esaltare l’eroismo femminile, anche di fronte al nemico, ma solo se indispensabile: “se non è più necessario che corrano alle mura con le armi alla mano, esse possono sempre però essere benemerite della Patria, dando ai figli una sana educazione”. Terminata l’emergenza, in pratica, si chiede all’eroina – poc’anzi onorata – di ritornare nei ranghi, cioè in casa. Il tema dell’emergenza, nel quale anche la donna è chiamata ed accettata alla pari degli uomini è, quindi, quello della guerra. Punto di vista che, come vedremo, non sarà abbandonato neppure in tempi più recenti. Il secondo articolo appare nel 1975. Anno simbolo: proprio il ’75 fu proclamato dall’ONU “anno internazionale della donna”. “Le donne con le stellette”[2] è il titolo di quel contributo, a firma del Col. Manlio Genchi, solido pubblicista. Oltreché essere un articolo approfondito, ben scritto ed ottimamente strutturato, è tra i più coraggiosi ed innovativi tra quelli pubblicati sulla Rivista: Genchi propone il servizio militare femminile nelle nostre Forze Armate. Talmente avanti per i suoi tempi che nel distico – termine giornalistico che indica una sintetica presentazione – la Redazione della Rivista prende – inequivocabilmente – le “distanze”. “Senza peraltro entrare nel merito delle idee espresse dall’Autore (…) prima della soluzione puramente ordinativa e tecnica, va individuata quella ambientale o di costume”. In altre parole, nell’ambito della modernizzazione della componente Forze Armate il servizio femminile “deve costituire solo una, e non prioritaria, delle tante innovazioni necessarie”. In sostanza, in Italia i tempi non erano pronti quantunque, proprio nel lavoro di Genchi, siano ricordati gli articoli della Costituzione in specie l’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…” e l’art. 31 “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici…”. Essi non vietano la possibilità del servizio militare femminile. Così come è citata la fondamentale legge 66 del 9 febbraio 1963, di cui all’art. 1: “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici (…). L’arruolamento della donna nelle Forze Armate e nei corpi speciali è regolato da leggi speciali”. La legge, quindi, non vietava alle donne di indossare le stellette. Per inciso, già nel 1975 erano parecchi i paesi al mondo ad aver introdotto il servizio militare femminile. L’articolo termina con varie proposte: dalle modalità di reclutamento, alla formazione, all’avanzamento, all’uniforme, alle infrastrutture. Articolo di spessore, quindi, vera e propria ipotesi di lavoro. Il terzo scritto che proponiamo risale al 1981: “Il servizio militare femminile e le convenzioni internazionali”[3] a firma della Prof.ssa Maria Rita Saulle. Giurista di fama internazionale, la Saulle fu nominata giudice della Corte Costituzionale nel 2005 dal Presidente Ciampi. Il pezzo pubblicato dalla Rivista è un vero e proprio articolo scientifico e, stante l’autorevolezza dell’autrice, non poteva essere diversamente. Tranciante l’incipit: “Il servizio militare femminile (…) è un problema che le Forze Armate devono affrontare e risolvere” non tanto per le aspirazioni dei soggetti interessati, ma piuttosto per “realizzare un adeguamento della situazione italiana a quella della maggioranza degli altri Stati e per attuare in modo completo il precetto costituzionale concernente la parità tra uomo e donna”. Parità che è ampiamente prevista anche nella Carta dell’ONU e pure nel Patto internazionale sui diritti civili e politici e nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; entrambi adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed entrati in vigore nel 1976. Giungiamo al 1983, con un pezzo a firma del Ten.Col. Fabio Mini: “Soldato Joe e soldato Jane”[4]. In esso si riprendono temi precedenti: non vi sono veti legislativi al servizio militare femminile, così come non vi sono limitazioni fisiche ed intellettuali ad assolvere qualsiasi compito da parte femminile. Di conseguenza, Mini propone di verificare se “la società italiana, in generale, e quella militare, in particolare, siano in grado di affrontare la problematica connessa con il servizio militare femminile in tutta la sua complessità”. Per trovare delle risposte, l’autore studia la realtà statunitense che ha già molti anni di esperienza sul tema. Anche lì, però, non sono ancora stati superati pregiudizi e difficoltà. Ad ogni buon conto, per l’autore la presenza femminile nelle Forze Armate “è una sfida che la società italiana si sta preparando ad affrontare con grande coraggio”. Chiudiamo questa carrellata con altri due articoli. “Il servizio militare femminile nell’ottica del militare”[5] a firma del Gen. Goffredo Canino e “Il Servizio militare femminile nell’ottica dei militari”[6] del Gen. Francesco Cervoni. Entrambi i contributi, simili anche nei titoli, sono possibilisti circa l’ingresso femminile nel modo militare. Il Gen. Canino, in particolare, sintetizza così: “al quesito donna sì - donna no, nell’ottica del militare si risponde donna sì, ma più in guerra che in pace, per la particolare situazione che viene a crearsi di emergenza generalizzata, ma limitata nel tempo”. Tali remore discendono dalla possibilità di conciliare le esigenze “della maternità e della cura della prole con gli oneri dei servizi continuativi e ripetitivi del tempo di pace”. L’articolo del Gen. Cervoni tocca per buon parte gli stessi punti di Mini e di Canino: “la certezza è che le Forze Armate, specie in guerra, non sono più da decenni campo riservato agli soli uomini”. Nuovamente si ripropone l’interrogativo se la donna garantisca in tempo di pace la sua operatività, “la sua completa disponibilità (h24) pur dovendo sacrificare talvolta a quest’ultima gli interessi familiari o soggettivi”. Temi ricorrenti, come abbiamo visto, già dal primo articolo dell’inizio ‘900. Con quest’ultimo contributo, possiamo dire, che si sia chiuso un vero e proprio periodo. Quello del vaglio e dello studio. Non si poteva protrarre oltre la questione: i tempi erano più che maturi. Solo nel 1999, finalmente, si giungerà all’agognata Legge 380, con il non invidiabile record di ultimo paese NATO ad ammettere le donne nella carriera militare.  
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Author Esercito Italiano
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