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CITTADINO TUNISINO: PERMESSO PROTEZIONE SPECIALE DI 2 ANNI CONVERTIBILE IN LAVORO

CITTADINO TUNISINO: PERMESSO PROTEZIONE SPECIALE DI 2 ANNI CONVERTIBILE IN LAVORO
Nov 6, 2023 · 10m 2s

TRIBUNALE DI BOLOGNA - N.R.G. 5960/2023 - 27 ottobre 2023 SENTENZA Con ricorso tempestivamente proposto il 21.4.2023 ai sensi dell’art. 281 decies e ss c.p.c..., nato il .... in Tunisia,...

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TRIBUNALE DI BOLOGNA - N.R.G. 5960/2023 - 27 ottobre 2023

SENTENZA
Con ricorso tempestivamente proposto il 21.4.2023 ai sensi dell’art. 281 decies e ss c.p.c..., nato il .... in Tunisia, ha chiesto, in relazione al provvedimento emesso dalla Questura di Bologna emesso il 14.11.2022, notificato il 09.04.2023, con il quale è stato rifiutato il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, previa sospensione, di riconoscergli il diritto alla protezione speciale.
Dal ricorso si apprende che il giovane tunisino è entrato in Italia il 17 settembre 2021 e che ha presentato istanza di rilascio di permesso di soggiorno per protezione speciale in data 11 ottobre 2021 evidenziando la sua convivenza con il nucleo familiare composto dal padre e due fratelli, la presenza in Italia di un altro fratello titolare di permesso di soggiorno UE e di uno zio cittadino italiano. Nel corso del procedimento il ricorrente ha inviato all’autorità amministrativa la seguente ulteriore documentazione: attestato di frequenza corso formativo; contratto di apprendistato professionalizzante; modello UNILAV; buste paga riferite all'attività lavorativa. Sul parere sfavorevole della CT reso in data 20/01/2023 la Questura di Bologna ha respinto l’istanza con il provvedimento ora impugnato.
Sospesa inaudita altera parte l’efficacia esecutiva del decreto impugnato e ritualmente instaurato il contraddittorio, parte resistente ha chiesto il rigetto del ricorso.
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Oggetto del ricorso è il provvedimento del Questore di Bologna con il quale è stato negato al ricorrente il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.
La controversia è riconducibile all’art. 3, comma 1, lett. d) del D.L. 13/2017, convertito in legge, come modificato dal D.L. 113/2018 (controversia “in materia di rifiuto di rilascio, diniego di rinnovo e di revoca del permesso di soggiorno per protezione speciale nei casi di cui all’art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25”, come modificato dal D.L. 113/2018) e si procede con il rito di cui all’art. 281 decies c.p.c. e 19 ter D.lgs. 150/2011.
Va premesso che nel provvedimento impugnato la Questura ha negato il rilascio del titolo richiesto, richiamando il parere sfavorevole espresso dalla Commissione territoriale (“nel caso di specie il richiedente ha fatto ingresso in Italia nel 2021, presentando richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Potenza, tale richiesta è stata decisa dalla Commissione di Salerno con decreto di irreperibilità del richiedente, nonostante si trattasse di procedura accelerata Paesi Sicuri. Inoltre, si osserva che all'atto della formalizzazione dell'istanza il richiedente ha omesso di avere familiari nel territorio italiano e ha dichiarato di trovarsi sprovvisto di passaporto per poi produrlo in allegato alla presente istanza. Attualmente l’istante risulta convivere con il padre e due fratelli, non ha documentato alcun inserimento lavorativo”).
Il Collegio non condivide il giudizio espresso dalla CT e quindi dalla Questura che ha richiamato il parere vincolante espresso nel provvedimento impugnato.
Va innanzitutto richiamata la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24413/21 secondo cui «il decreto legge n. 130/2020 ha ancorato il divieto di respingimento od espulsione non più soltanto all'art. 3, ma anche all'art. 8, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, declinando la disposizione di detto articolo 8 in termini di tutela del "radicamento" del migrante nel territorio nazionale e qualificando tale radicamento come limite del potere statale di allontanamento dal territorio nazionale, superabile esclusivamente per ragioni, come si è visto, “di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute” (...) La protezione offerta dall’art. 8 CEDU concerne dunque l’intera rete di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia (...) le quali pure concorrono a comporre la “vita privata” di una persona, rendendola irripetibile nella molteplicità dei suoi aspetti “sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove svolge la sua personalità”». Ciò posto, non può dubitarsi che l’art. 19 comma 1.1. seconda parte d.lgs 286/98 riconosca, dunque, il diritto soggettivo al rilascio del detto permesso di soggiorno per protezione speciale nell’ipotesi in cui sia accertato il rischio che l’allontanamento della persona possa determinare una violazione del suo diritto alla vita privata e familiare, affermando la necessità di verificare se il subitaneo sradicamento comporti il pericolo di una grave deprivazione dei suoi diritti umani, intesa in termini di diritto alla vita privata e familiare e alla stessa identità e dignità personale.
Tali principi sono stati di recente confermati dall’ordinanza n. 7861/2022 della Corte di Cassazione, nella cui massima si legge: “In tema di protezione complementare, l’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dal d.l. n. 130 del 2020 (conv. con modif. dalla l. n. 173 del 2020), individua tre diversi parametri di ‘radicamento’ sul territorio nazionale del cittadino straniero - quali il radicamento familiare (che prescinde dalla convivenza), quello sociale e quello desumibile dalla durata del soggiorno sul territorio nazionale - rilevanti ai fini della configurazione, in caso di espulsione, di una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’art. 8 CEDU che, non prevedendo un diritto assoluto, ma bilanciabile su base legale con una serie di altri valori, tutela non soltanto le relazioni familiari, ma anche quelle affettive e sociali e, naturalmente, le relazioni lavorative ed economiche, le quali pure concorrono a comporre la vita privata di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
D’altronde, la vita privata - intesa come manifestazione dell’individualità ampia ed insuscettibile di esatta delimitazione – è connotata da una pluralità di proiezioni, comprendenti certamente: il diritto allo sviluppo della personalità mediante intreccio di relazioni con altri (Corte EDU sentenza 16 dicembre 1992, Niemetz c. Germania); il diritto all’identità sociale e alla stabilità dei riferimenti del singolo presso una data collettività (Corte EDU sentenza 29 aprile 2002, Pretty c. Regno Unito); il domicilio, che designa lo spazio fisico in cui si svolge la vita privata e familiare del singolo (Corte EDU sentenza 2 novembre 2006, Giacomelli c. Italia).
Considerato, peraltro, che è proprio nel corso della vita lavorativa che la maggior parte delle persone ha una significativa, se non la più grande, opportunità di sviluppare relazioni con il mondo esterno (Corte EDU sentenza 16 dicembre 1992, Niemietz c. Germania: “There appears, furthermore, to be no reason of principle why this understanding of the notion of ‘private life’ should be taken to exclude activities of a professional or business nature since it is, after all, in the course of their working lives that the majority of people have a significant, if not the greatest, opportunity of developing relationships with the outside world”).
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L’attività lavorativa costantemente svolta dal suo arrivo e la conseguita autonomia economica; le relazioni – amicali e non – inevitabilmente intrecciate in seno ai propri contatti sociali e lavorativi, rendono indubbio che nel pur non particolarmente ampio periodo trascorso sul territorio italiano il ricorrente vi abbia radicato una propria identità sociale.
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Riguardo al regime giuridico del permesso di soggiorno conseguente al riconoscimento della protezione speciale va rilevato, per un verso, come la stessa debba essere riconosciuta in forza dell’art. 19, comma 1 e 1.1 nella formulazione successiva al Decreto-Legge 10 marzo 2023, n. 20, convertito con modificazioni dalla L. 5 maggio 2023, n. 50 e, per altro verso, come l’art. 7, secondo comma preveda che «per le istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero nei casi in cui lo straniero abbia già ricevuto l'invito alla presentazione dell'istanza da parte della Questura competente, continua ad applicarsi la disciplina previgente», sicché non possono esservi dubbi in ordine alla necessaria applicazione al detto permesso di soggiorno della disciplina previgente, sicché lo stesso ha durata di due anni, consente lo svolgimento di attività lavorativa, è rinnovabile ed è convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
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Author Avv. Fabio Loscerbo
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