Prendi un giovane enologo francese eclettico ed ambizioso, che il vino ce l’ha nel sangue perchè in famiglia se ne fa da generazioni e che inizia a girare il mondo molto presto per imparare a farlo meglio. Dalla California all’Australia, dalla Nuova Zelanda alla Russia incrocia aziende come Opus One, esperienze per cui ottiene riconoscimenti dal mercato che lo portano a lavorare in Italia. Fai che un giorno, compreso che il vino è la sua missione, si mette alla ricerca del luogo perfetto, dove poter esprime la sua creatività e la sua idea di essere winemaker e tra le sue esplorazioni si imbatte in un vigneto abbandonato in un territorio di eccellenza vitivinicola, complesso come pochi, mosaico dove ogni tipo di suolo è presente ma variando da una microzona all’altra, un coacervo di trame argillose, calcaree, vulcaniche, sabbiose, ricco di depositi fluviali e marini. Siamo in Toscana, a dieci chilometri da Bolgheri, e le somme da investire sono considerevoli, il ragazzo non ne ha. Nella maggior parte dei casi una storia del genere avrebbe un finale scontato, un nulla di fatto e un voltare pagina alla ricerca di una soluzione più concretamente realizzabile. E invece Julian Reneaud, questo il nome del protagonista del racconto, rapito dalla bellezza della Val di Cecina, dal suo essere area da esplorare e ancora tutta da scoprire, si rimbocca le maniche e trova chi possa sostenere il progetto, due imprenditrici bulgare, Dilyana Vasileva e Irena Gergova, che oltre al denaro ci mettono anche la faccia entrando a far parte del team.
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