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https://ogzero.org/litio-legno-e-tamponare-lemorragia-africana/ Buhari se ne va lasciando un paese alla canna del gas, che sta per implodere, e senza aver adempiuto a nessuna delle promesse fatte nel 2019. Non è un caso che l’astensionismo sia previsto dilagante, nonostante le speranze che si concentrano su un candidato seminuovo: quel Peter Obi laico e laburista che può incarnare una discontinuità rispetto alla tradizionale alternanza dello “zoning”. Parlando con Angelo Ferrari di questo enorme gigante petrolifero e non solo, la nazione più popolosa d’Africa alle prese con violenza diffusa sia dal lato musulmano ancora alle prese con il jihadismo, sia nel Sud, cristiano, dove la pecunia non olet, ma crea enormi differenze (e rivolte); così Angelo ci fa un ritratto della situazione attuale un paio di giorni prima della tornata elettorale. Il paese è importante, come anche la sua musica e su quella melodia afrobeats ci spostiamo in Sahel a incrociare poco a nord il Mali, che con il Burkina e la Guinea equatoriale rimane estromesso dalla Unione Africana per la loro instabilità affidata ai contractor russi, in sostituzione del tradizionale colonialismo francese, dimostrando una volta di più di non riuscire a conseguire una autentica indipendenza. In questo senso l’esempio più eclatante viene da Bangui: in questi giorni sotto traccia è trapelata la notizia – solo presso gli analisti più attenti della situazione africana – che l’amministrazione Biden sancisce la nuova decisione di tornare a contare nel continente. Washington ha dato tempo un anno alla Repubblica Centrafricana per disfarsi della ingombrante presenza feroce della Wagner e al saccheggio delle ricchezze del paese, promettendo che gli Usa sarebbero tornati ad assicurare la sicurezza. Un’evidente rivalità nei confronti di Mosca che rievoca una situazione di 40 anni fa. Ma il vero antagonismo insito nella mossa è quello che cerca di contrastare e contenere il colonialismo economico-finanziario cinese: l’Africa è il terreno su cui il braccio di ferro per ottenere il controllo e le alleanze tra blocchi contrapposti si va facendo sempre più centrale nello scacchiere mondiale che va preparando il conflitto globale, che potrà essere militare, ma sicuramente è già giocato sulle sfere di influenza.
https://ogzero.org/litio-legno-e-tamponare-lemorragia-africana/ Buhari se ne va lasciando un paese alla canna del gas, che sta per implodere, e senza aver adempiuto a nessuna delle promesse fatte nel 2019. Non è un caso che l’astensionismo sia previsto dilagante, nonostante le speranze che si concentrano su un candidato seminuovo: quel Peter Obi laico e laburista che può incarnare una discontinuità rispetto alla tradizionale alternanza dello “zoning”. Parlando con Angelo Ferrari di questo enorme gigante petrolifero e non solo, la nazione più popolosa d’Africa alle prese con violenza diffusa sia dal lato musulmano ancora alle prese con il jihadismo, sia nel Sud, cristiano, dove la pecunia non olet, ma crea enormi differenze (e rivolte); così Angelo ci fa un ritratto della situazione attuale un paio di giorni prima della tornata elettorale. Il paese è importante, come anche la sua musica e su quella melodia afrobeats ci spostiamo in Sahel a incrociare poco a nord il Mali, che con il Burkina e la Guinea equatoriale rimane estromesso dalla Unione Africana per la loro instabilità affidata ai contractor russi, in sostituzione del tradizionale colonialismo francese, dimostrando una volta di più di non riuscire a conseguire una autentica indipendenza. In questo senso l’esempio più eclatante viene da Bangui: in questi giorni sotto traccia è trapelata la notizia – solo presso gli analisti più attenti della situazione africana – che l’amministrazione Biden sancisce la nuova decisione di tornare a contare nel continente. Washington ha dato tempo un anno alla Repubblica Centrafricana per disfarsi della ingombrante presenza feroce della Wagner e al saccheggio delle ricchezze del paese, promettendo che gli Usa sarebbero tornati ad assicurare la sicurezza. Un’evidente rivalità nei confronti di Mosca che rievoca una situazione di 40 anni fa. Ma il vero antagonismo insito nella mossa è quello che cerca di contrastare e contenere il colonialismo economico-finanziario cinese: l’Africa è il terreno su cui il braccio di ferro per ottenere il controllo e le alleanze tra blocchi contrapposti si va facendo sempre più centrale nello scacchiere mondiale che va preparando il conflitto globale, che potrà essere militare, ma sicuramente è già giocato sulle sfere di influenza. read more read less

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