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IOTtoday

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  • Intelligenza Artificiale e Covid: l’AI è davvero utile contro il virus?

    2 MAR 2021 · La pandemia ha accelerato l’adozione dell’AI da parte di tutte le industrie, anche quella sanitaria. Ma l’intelligenza artificiale è davvero efficace nel contrastare il Covid 19 e aiutare i pazienti? Vediamo quali sono i dubbi ma anche casi di successo delle nuove tecnologie sviluppate nel corso della pandemia. Come l’intelligenza artificiale ha aiutato nella lotta al Covid 19 Nonostante non abbia da subito ottenuto i risultati sperati, l’Intelligenza Artificiale ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta al Covid 19. Secondo Giovanni Vizzini, chief operating officer e direttore medico-scientifico della divisione italiana di Upmc, senza l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei Big Data non sarebbe stato possibile riuscire a sviluppare un vaccino già adesso. Ma ci sono altre situazioni in cui l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è stato utile nella lotta alla pandemia. Il caso BlueDot A fine 2019 la società BlueDot dell’infettivologo canadese Kamran Khan annunciava di aver identificato un nuovo tipo di polmonite a Whuan. Ha predetto inoltre che, in base ai dati raccolti sui viaggi programmati da e per la città, il virus si sarebbe diffuso velocemente in altre parti del mondo. Le tecnologie di BlueDot sono state successivamente utilizzate dal Canada per monitorare l’effettivo rispetto del distanziamento sociale da parte dei cittadini, attraverso la localizzazione in forma anonima dei telefoni cellulari. L’algoritmo DeepCOVID-XR Questo algoritmo è riuscito a individuare la presenza del Covid in 300 radiografie, scansionandole in 18 minuti e con un’accuratezza dell’82%. Al suo confronto cinque radiologi specializzati hanno impiegato dalle due alle tre ore, con un’accuratezza che va dal 76 all’81%. Lo studio Curial AI Curial AI è uno dei più grandi studi mai svolti fino a oggi e utilizza i dati clinici dei pazienti ricoverati in ospedale per diagnosticare i sintomi del Covid in tempi minori rispetto agli screening classici. I dubbi sull’efficacia dell’intelligenza artificiale contro il Covid 19 Questi sono ovviamente casi di successo, però è doveroso fare alcune riflessioni riguardo l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella lotta al Covid 19. Entriamo nel merito della veridicità dei dati, della loro effettiva utilità e della tutela della privacy dei cittadini. Veridicità dei dati Per restituire risultati validi gli algoritmi hanno bisogno di elaborare grandi moli di dati, qualitativamente e quantitativamente utili. Per questo, dato che non conosciamo ancora a sufficienza il Covid, il timore è che i risultati ottenuti grazie all’AI possano essere falsati e non veritieri. Questo porterebbe ovviamente più danni che benefici. Lo studio Curial AI ad esempio non è stato ancora sperimentato in larga scala, ma solo su pazienti britannici. Sicurezza e tutela della privacy Il problema della tutela della privacy dei cittadini non è ancora stato risolto. I Paesi dove l’intelligenza artificiale ha avuto un ruolo centrale nella lotta alla diffusione del virus infatti sono gli stessi in cui i cittadini sono stati sottoposti a misure di sicurezza fortemente restrittive, come geolocalizzazione e controlli a domicilio. Intelligenza artificiale e Covid 19: un successo o un fallimento? Al momento non ci sono ancora dati certi per capire se l’Intelligenza artificiale è utile nella lotta al Covid. Quello che è certo è che questa tecnologia non potrà arrivare a sostituire figure centrali come gli operatori sanitari, ma potrà sicuramente velocizzare i tempi delle procedure in ambito medico e migliorarne i processi. È inoltre fondamentale che i modelli di AI messi in campo in ambito sanitario siano sviluppati insieme agli operatori sanitari. Questo per garantire una reale utilità ma soprattutto efficacia delle tecnologie che abbiamo a disposizione, che altrimenti si rivelerebbero uno spreco di risorse che in piena pandemia sono vitali per la lotta al Coronavirus.
    4m 12s
  • Big Data vs Fast Data, tutto quello che c’è da sapere

    1 MAR 2021 · I Fast Data rappresentano un’evoluzione dei Big Data, nella ricerca di una maggiore velocità di elaborazione e di analisi. Scopri perché le aziende hanno deciso di dirottare la loro attenzione sui fast data per incrementare il proprio business. Quante volte avrai sentito parlare dei big data, ma quello che forse non sai è che la vera rivoluzione non è più big ma fast. Oggi vogliamo parlarti dei fast data che rappresentano l’evoluzione dei big data fino ad ora conosciuti ed utilizzati nei vari processi produttivi delle aziende e non solo. Le necessità delle aziende, infatti, cambiano continuamente e rapidamente. Se pensiamo ai dati, poi, questa affermazione è ancora più evidente: nuovi strumenti e nuove metodologie di raccolta, analisi e utilizzo dei dati si susseguono a un ritmo impressionante. Ma andiamo con ordine e partiamo dal capire bene di cosa stiamo parlando. Cosa sono i big e i fast data? Il termine Big Data è entrato nel linguaggio comune verso la fine dello scorso decennio, quando le aziende hanno iniziato a investire nella raccolta ed elaborazione di grandi moli di dati per generare insight di valore per il proprio business. L’utilizzo di questi dati si è molto diffuso nelle grandi aziende, soprattutto negli ultimi anni, specialmente allo scopo di realizzare analisi predittive. I Fast Data, invece, sono dati raccolti e trasmessi in tempo reale tramite tecnologie IoT e successivamente analizzati in tempi brevissimi per prendere rapide decisioni di business o per attivare operazioni di vario tipo. I fast data non sostituiscono i big data, ma li affiancano, in quanto ad oggi la velocità di analisi dei dati è molto più importante. Perché si passa dai big data ai fast data? Uno dei limiti dei big data che hanno riscontrato le aziende nello sviluppare il proprio business è la lentezza e a tratti l’incapacità tecnologica di elaborare in tempi utili questa grande mole di dati. Nonostante gli sforzi, infatti, la maggior parte di queste informazioni, costituita da dati non strutturati, spesso rimane ancora inutilizzata per l’incapacità di elaborare, organizzare e analizzare i dati in tale stato. La conseguenza? A questo punto i tanti dati raccolti rischiano di diventare un costo più che un valore. Una mole infinita di dati molto costosi da conservare e difficile da analizzare e quindi utilizzare per gli scopi definiti inizialmente. È proprio in questo momento e per questo motivo che entrano in gioco i fast data. Le aziende a questo punto hanno iniziato a concentrarsi non tanto sulla quantità di dati, quanto sulla loro qualità e velocità. In conclusione possiamo affermare con sicurezza che i fast data non andranno a sostituire i “colleghi” big data, perché ne sono semplicemente una fisiologica quanto importante evoluzione. I Fast Data, infatti, rappresentano un’evoluzione dei Big Data, nella ricerca di una maggiore velocità di elaborazione e di analisi. Permettono, infatti, alle aziende di raccogliere subset di dati da diverse sorgenti e di elaborarli contestualmente, ottenendo così informazioni aggregate e sempre disponibili in tempo reale.
    3m 14s
  • Smart Education in Italia: il futuro è Open Source

    25 FEB 2021 · L’istruzione sta attraversando un periodo di massiccia transizione e la pandemia ha riacceso i riflettori sull’e-learning e sull’importanza strategica della Smart Education, ovvero l’istruzione digitale remota tra insegnanti, genitori e studenti. Scopriamo perché l’Open Source si rivela una risorsa indispensabile e inevitabile. In un mondo in continua evoluzione anche la formazione scolastica deve viaggiare di pari passo con le innovazioni e i trend più recenti. E in un mondo in cui siamo bombardati da stimoli di ogni tipo e in cui mantenere alta l’attenzione è sempre più difficile, è ormai impensabile fermarci e limitarci ai tradizionali metodi di insegnamento basati su lezioni frontali. La didattica della scuola italiana, infatti, si basa ancora sulla convinzione che il metodo più efficace perché bambini e ragazzi apprendano un argomento consiste nel leggere loro un testo, a cui segue la spiegazione dell’insegnante. La lezione frontale, però, non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale, attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati, e, infine, si interroga e si valuta l’alunno. Le restrizioni a cui siamo sottoposti in questo particolare momento storico, hanno reso necessario confrontarsi con il mondo dell’e-learning e della Smart Education basata sui principi di condivisione, trasparenza e collaborazione dell’Open Source, per rispondere alle esigenze di continuità didattica, di scuole e università. Non poteva essere altrimenti. L’interesse per il software Open Source nella scuola italiana è, infatti e per fortuna, un fenomeno in continua crescita. L’utilizzo effettivo non si limita più a casi esemplari, concentrati per lo più in istituti tecnici o professionali dove l’informatica è materia di insegnamento, ma si sta diffondendo a più livelli d’istruzione. Ovviamente esistono diversi strumenti Open Source disponibili per insegnanti, studenti e genitori anche fuori dal mondo scolastico; libri e giochi in grado di ispirare e motivare adulti e bambini a scoprire il mondo dell’Open Source, ma le potenzialità per la didattica sono davvero infinite. Perché l’Open Source è inevitabile Negli ultimi anni sempre più imprenditori e venture capitalist hanno mostrato interesse per il mercato dell’apprendimento digitale perché ne hanno percepito il valore potenziale, e a quanto pare molti segmenti di mercato raggruppati sotto l’ombrello della “tecnologia educativa” iniziano a consolidarsi. Abbiamo appena iniziato a vedere gli esordi di questa trasformazione ma è ormai ufficialmente avviata, complice l’accelerazione data dalle esigenze del momento ed è impossibile far finta di nulla e soprattutto tornare indietro. Perché l’open source è importante per l’istruzione Che tu ci creda o meno la tecnologia Open Source vincerà nell’ecosistema dell’apprendimento digitale. La Smart Education, infatti è un modello di didattica più vicino alle caratteristiche delle nuove generazioni native digitali. In un mondo stravolto dalle tecnologie, i metodi di apprendimento, la scuola e le università non potevano restarne al di fuori. Solo sviluppando percorsi didattici innovativi, si possono formare studenti in grado di adattarsi a un mondo e un mercato del lavoro in continua evoluzione. Il modello di Smart Education basandosi sull’apertura al mondo del lavoro e delle imprese, sul forte orientamento all’uso dei social media e delle nuove tecnologie e sull’uso dei nuovi media all’interno della didattica è quello che più di tutti si presta ad essere introdotto e utilizzato nella didattica ai più vari livelli.
    3m 40s
  • Big Data e Cloud Computing, un’unione vincente

    25 FEB 2021 · Il mondo è fatto di dati. Dati strutturati, facilmente leggibili ed elaborabili, anche dati semi e non strutturati, difficilmente interpretabili e che necessitano di algoritmi di machine learning per essere analizzati. Ecco perché il Cloud Computing è una risorsa sempre più preziosa per le aziende Big Data è il termine comunemente utilizzato per indicare un’ingente mole di materiale informativo. Materiale che racchiude al suo interno milioni di dati e che, oggi, rappresenta un patrimonio prezioso per le aziende di ogni ambito. I dati, infatti, possono fornire suggerimenti preziosi al business aziendale, sia singolarmente sia una volta aggregati e trasformati cioè in trend in grado di guidare le decisioni strategiche. In sintesi, i Big Data sono uno tra i più grandi vantaggi competitivi in possesso di un’impresa, cui spetta il compito di procurarsi gli strumenti necessari alla loro analisi. Tra questi, troviamo anche la tecnologia del Cloud Computing. Perché le aziende scelgono il Cloud Computing I primi a riconoscere l’importanza dei Big Data sono stati gli operatori del marketing, che hanno riconosciuto nei dati una preziosa fonte di informazione per conoscere gli aspetti sociodemografici e comportamentali dei propri clienti, intercettandone i bisogni e offrendo così un’offerta mirata e personalizzata. Col tempo, però, anche altri ambiti hanno riconosciuto il valore dei data: dall’amministrazione alla produzione, fino alla digital governance, l’intera azienda è oggi interessata all’utilizzo dei Big Data. Per proteggere i preziosi dati da abusi e furti, come ad esempio i data breach, esistono piattaforme cloud che forniscono analisi dati e servizi strutturati per le diverse funzioni aziendali, dal marketing all’amministrazione. I vantaggi offerti dal cloud sono la possibilità di proteggere i data, mantenendo la loro accessibilità da remoto senza tuttavia venir meno alle vigenti normative in materia di privacy. Big Data e Cloud Computing nelle aziende italiane Anche le aziende italiane, nel loro percorso di digital transformation, hanno iniziato a porre sempre maggiore attenzione al Cloud Computing e ai Big Data, optando spesso per l’utilizzo di stack tecnologici in grado di trattare i dati attraverso l’implementazione di sistemi in cloud. Una scelta le cui conseguenze sono esclusivamente positive. L’uso dei Big Data, infatti, rappresenta un grande vantaggio competitivo in termini di scelte strategiche, mentre il cloud consente di aumentare la cybersecurity efficientando allo stesso tempo le prestazioni di velocità e accessibilità del database aziendale. Senza considerare, infine, l’ottimizzazione economica degli investimenti garantita dalla forte scalabilità del Cloud Computing, anche su moli di dati progressive.
    2m 56s
  • Competitive Intelligence a supporto dei decision maker

    24 FEB 2021 · L’analisi dei competitor, da effettuare attraverso la Competitive Intelligence, è un’attività articolata da eseguire fissando con attenzione e logica alcune linee guida da seguire per poterla svolgere nel modo corretto. Solo un’attenta analisi dei concorrenti permette sia di emularne i punti di forza, sia di andare a soddisfare le esigenze del mercato che ancora nessuno si è preoccupato di colmare Il primo settore in assoluto a comprendere l’importanza di possedere informazioni attendibili e di qualità è stato quello dell’intelligence, che svolge un ruolo fondamentale grazie al ricorso a professionalità provenienti da ambienti diversi che agiscono nel rispetto di peculiari procedure volte a salvaguardare la riservatezza degli operatori e delle loro attività. Si parla di Business Intelligence (BI) in riferimento a un insieme di processi aziendali per raccogliere dati e analizzare informazioni strategiche, oppure alla tecnologia utilizzata per realizzare questi processi o ancora alle informazioni ottenute come risultato di tali processi. La Business Intelligence combina business analytics, data mining, visualizzazione dei dati, strumenti e infrastrutture per i dati, nonché le best practice per permettere alle organizzazioni di prendere più decisioni basate sui dati. In principio era la Business Intelligence In economia aziendale, il termine “intelligenza economica” indica l’insieme di attività sistematiche di back office finalizzate a fornire al management aziendale informazioni utili o strategiche (azioni di ricerca, trattamento, diffusione e protezione dell’informazione) sull’ambiente esterno all’impresa (mercato, clienti, concorrenti, tendenze, innovazioni, norme, leggi) a supporto dei processi decisionali della dirigenza. Usare la Business Intelligence significa acquisire la visione completa dei dati della propria organizzazione e usarli per stimolare il cambiamento, eliminare le inefficienze e attuare un rapido adattamento ai cambiamenti di mercato e forniture. Il principio fondamentale della disciplina, la cui missione è “sapere per anticipare”, è stato enunciato da Michael E. Porter della Harvard Business School: “dare l’informazione giusta alla persona giusta, nel momento giusto per prendere la giusta decisione”. Nata contemporaneamente alla globalizzazione dei mercati e alla necessità di adottare un processo di anticipazione dei cambiamenti dei mercati e dell’ambiente economico, la Business Intelligence supporta il processo strategico usando lo strumento dell’informazione per ottimizzare le performance economica e/o tecnologica. L’importanza di studiare i competitor Nel 2020 sono molto aumentate le richieste di servizi di Competitive Intelligence quali: attività di raccolta, monitoraggio e analisi di informazioni esterne a un’azienda. Si tratta di peculiari attività – o, per meglio dire, investigazioni – finalizzate a supportare i processi decisionali aziendali e generalmente con software di Business Intelligence. Le imprese italiane investono sempre di più nello studio dei concorrenti, ricercando anche informazioni sulla clientela, sulle nuove tecnologie e sulle normative del settore. Gli esperti di Central Marketing Intelligence, agenzia che si occupa da anni di Competitive Intelligence e ricerche di mercato tramite Big Data online, assicurano che da un’analisi della concorrenza professionale un’azienda può ricavare grandi vantaggi per il proprio business. Studiare la concorrenza con un’indagine di mercato L’analisi dei competitor, o benchmarking, si rende necessaria per le aziende interessate a posizionarsi strategicamente nel settore di appartenenza. Analizzare i competitor significa studiare la concorrenza per capire quali possono essere i punti di forza e di debolezza del proprio prodotto sul mercato. La Competitive Intelligence può rispondere a domande essenziali: Quali servizi offrono i competitor? Qual è il loro target ideale? Come comunicano e attraverso quali ...
    9m 23s
  • Come sarà il lavoratore delle Smart Factory?

    23 FEB 2021 · Con l’affermazione della fabbrica intelligente si fa sempre più importante comprendere la posizione del futuro Smart Worker. Quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione? Del rapporto tra uomo e macchina la letteratura ne ha fatto un caposaldo della prima metà del ‘900, quando intellettuali e autori diedero spinta al genere “industriale”. Colpa della rivoluzione industriale del secolo precedente, che segnò il prepotente ingresso nella vita operaia della macchina, mostruoso e remunerativo prodotto della scienza e della tecnica. Alienazione e sostituzione i temi principali, preoccupazione per la propria dimensione lavorativa la conseguenza più esplicita. Ebbene oggi, quasi cento anni dopo, l’argomento torna alla ribalta con la veloce affermazione della Smart Factory. Come saranno quindi i nuovi Smart Workers? E, soprattutto, esisteranno? Cos’è la Smart Factory? Descrivere in poche righe la Smart Factory è opera complicata, forse perché una definizione esaustiva e circoscritta oggi ancora non esiste. Ciò che è sicuro è la sua centralità nel futuro dell’impresa. Basata sul concetto di integrazione digitale la fabbrica intelligente prevede la coabitazione e collaborazione di elementi tecnologici, come robot e cobot, con le risorse umane. Si tratta quindi dell’ennesimo upgrade nel rapporto tra uomo e macchina, dove la macchina non si limita più ad essere un ripetitivo esecutore di mansioni, ma dà vita a un’interazione cooperativa con l’uomo, virando verso una sempre più evidente antropizzazione. Rapporto tra uomo e robot: niente allarmismi Si palesa quindi necessario ricominciare ad indagare in profondità il rapporto tra uomo e macchina, o meglio tra uomo e robot. Come sarà il rapporto tra le due forze in campo? La crescente antropizzazione dei robot accompagnerà ad una lenta scomparsa dell’uomo sul campo di lavoro? Le paure dei lavoratori delle Smart Factory sono senz’altro plausibili, anche alla luce di importanti studi di settore, come quello di McKinsey che prevede la sostituzione con robot di circa 800 mila posti di lavoro entro il 2030. Scenario agghiacciante? Non è proprio così. La grande novità apportata dalla Smart Factory è quella di generare macchine automatizzate, sempre più in grado di eseguire lavori di alta precisione. Merito dell’Intelligenza Artificiale e di altri prodigi della tecnologia. La naturale conseguenza è l’eliminazione di quei lavori che per l’uomo appaiono usuranti e ripetitivi. Ma la risorsa umana non deve abbandonare il posto di lavoro, bensì riconvertire il proprio operato verso attività collaterali, più gratificanti e meno faticose. È questo il centro nevralgico dell’idea della Smart Factory: robot sempre più umanizzati che collaborano a stretto contatto con l’uomo, eseguendo ordini con precisione impeccabile e offrendo all’uomo una nuova dimensione lavorativa. Veloci verso l’Umanesimo Tecnologico Questa rinnovata collaborazione tra uomo e macchina favorisce l’ottimizzazione della produzione industriale e velocizza i processi, anche in funzione di una sempre maggiore customizzazione del prodotto. Alla base di tale rivoluzione c’è la capacità dei robot di muoversi in ambienti umani e pensare come un umano, cooperando alla pari con il lavoratore. È così ormai tracciata la strada verso un vero e proprio Umanesimo Tecnologico, con tutte le valutazioni etiche e sociologiche che ne conseguiranno. Una nuova professionalizzazione Nell’epoca delle Smart Factory lo Smart Worker non dovrà quindi abbandonare il campo di battaglia, ma diventerà un ausiliario del lavoro dei robot. L’uomo sarà la mente e il robot il braccio, nessuno è destinato ad escludere l’altro. Ciò significa che la risorsa umana dovrà però apprendere nuove nozioni, ampliare le proprie conoscenze e aumentare la propria professionalizzazione. Questa è la vera sfida che attende il lavoratore delle Smart Factory.
    3m 56s

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