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Digital Day 2018 - #dday

  • Paolo Portoghesi - Verso una nuova geoarchitettura

    15 APR 2019 · Io credo che l’architettura negli ultimi decenni è stata un po' espressione dell'individualismo violento diciamo caratteristico di questa società del consumismo, è diventata oggetto di consumo, oggetto di propaganda per multinazionali, per i grandi poteri, ma anche per gli stessi architetti, tanto che sono nate le famose “Archistar”, una ventina di persone che nei propri studi riescono ad accumulare il 60% del lavoro importante che si realizza sulla terra. Questo è un aspetto sicuramente negativo, sarebbe meglio se ci fosse una maggiore distribuzione e probabilmente potremmo fare a meno di questi divi dell'architettura se avessimo molti tecnici che riescono a costruire un'architettura che non danneggi l'equilibrio dell’atmosfera. E’ un obiettivo che ormai da una ventina d'anni ci si pone, e che io ho chiamato geoarchitettura: partendo dal principio che oggi attraverso la globalizzazione abbiamo una responsabilità che non riguarda soltanto quel pezzo di terra a cui lavoriamo ma il mondo intero. E se non si interviene a livello globale non si possono combattere i pericoli dello sviluppo tecnologico che si presentano per il futuro. Io continuo ad insegnare perché penso che non tutti i giovani sono consapevoli di questa responsabilità dell’architettura, quindi cerco di far capire loro che da una parte bisogna utilizzare tutti gli strumenti nuovi che sono a nostra disposizione, dall'altra dobbiamo renderci conto dei rischi che corriamo. Qualcuno che pensa che nella società futura verrà abolito il lavoro, probabilmente questo avverrà tra 2 o 300 anni ma in questo periodo intermedio questa sostituzione della macchina all'uomo ha un costo spaventoso che si chiama disoccupazione. E’ terribile ma è una realtà, per ogni automa che si costruisce un centinaio di lavoratori restano a casa, senza lavoro. Si, certo il reddito di cittadinanza potrebbe risolvere questo problema, ma la perdita di lavoro non è soltanto un problema economico. Risolverebbe forse il problema economico ma creerebbe questo terribile problema della perdita di identità. Perché senza il lavoro non si acquista la propria identità e chiunque può fare quest'esperienza. E’ il lavoro, la scelta di quello che si vuole fare che determina la crescita, determina la maturazione dell'individuo allarga in un certo senso il cervello. Se tutti quanti si accontentassero dei videogiochi o di fare delle passeggiate in campagna nella migliore delle ipotesi avremmo certamente delle persone meno problematiche, ma secondo me avremmo persone ancora più infelice. Perché le grandi soddisfazioni della vita sono legate proprio al lavoro, sono legate a quello che uno fa, che costruisce con le proprie mani. L’architettura è importantissima perché è lo strumento che consente all’uomo di abitare, nel senso più completo della parola. Perché un uomo che sta solo sulla terra alla mercè delle insidie dell'atmosfera non è ancora se stesso, diventa se stesso quando si costruisce una casa e quindi questo problema dell'abitare è un problema essenziale. E gli architetti non devono pensare di diventare dei grandi artisti, delle archistar, devono pensare di diventare delle persone che aiutano gli altri ad abitare, ad abitare poeticamente direi. Ecco forse è l'obiettivo che si possono dare gli architetti è consentire all'uomo moderno di abitare poeticamente. Che cosa significa abitare poeticamente lo lascio all'ascoltatore, poichè è una cosa molto difficile da definire. Ciascuno di noi sa cosa vuol dire leggere una poesia, sa che vuol dire ritrovare la poesia negli avvenimenti quotidiani. Alcuni aspetti fondamentali della cultura sono proprio il risultato della poesia, e queste sono le ragioni della georchitettura: cercare di combattere i rischi di ciò che sta avvenendo in tutto il mondo. Naturalmente gli architetti, che sono responsabili di molti aspetti negativi della situazione attuale, dovrebbero mobilitarsi. Oggi siamo in un mondo in cui la politica ha perso molto del suo fascino, quando io ero giovane impegnarsi politicamente era sentito come un dovere e naturalmente c'era un lavoro politico si lavorava nelle sezioni dei partiti, si discuteva fino a notte inoltrata certe volte, su questioni che riguardano la vita sociale. Oggi la gente si interessa di politica solo quando deve votare. Il rilancio di una architettura della responsabilità è legato anche alla presenza politica degli architetti nella società, cioè al fatto di contribuire a creare una condizione culturale nuova che è indispensabile. Non si tratta soltanto di una visione idealistica, di una visione utopica, si tratta di una visione concreta: se noi non interveniamo in qualche modo la terra diventerà inabitabile. Se uno ha la pazienza di guardare sul web la prospezione tra 50 anni di come potrebbe essere il nostro stivale si accorge ad esempio che Venezia sarà sott'acqua. E tutto questo è la conseguenza dell'aumento della temperatura, dello sciogliersi dei ghiacciai, ecc.. Questa non è una favola, ma sta avvenendo, ormai di fronte ai nostri occhi, qualcosa che possiamo e dobbiamo combattere, se non per noi per i nostri figli. Uno dei fondatori dell'architettura moderna, William Morris diceva “Stiamo attenti perché noi rischiamo di lasciare ai nostri figli una terra impoverita rispetto a quello che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri”. Questa constatazione che era drammatica già alla fine dell'800 oggi è molto molto più drammatica! Certo noi consegniamo una terra in cui è più facile vivere, in cui c'è maggior efficienza, in cui ci si muove meravigliosamente e velocemente, ma una terra che si lamenta, una terra che sta emettendo un grido di dolore. Parlando di geoarchitettura non ho indicato quelli che sono i requisiti fondamentali: •imparare dalla natura, perché la natura ci insegna ad esempio ad economizzare, ad utilizzare ciò che è indispensabile, praticamente ci insegna la coerenza e nello stesso tempo ci insegna la bellezza, che è un mistero che però l'uomo molto spesso riesce a raggiungere; •imparare dalla storia, non dimenticare il passato, cercare di evitare soprattutto gli errori che sono stati fatti nel nostro passato; •attuare l'innovazione, quando questa risolve un problema. Non bisogna accontentarsi di ciò che abbiamo, meno che mai guardare al passato con nostalgia come se si potesse tornare indietro, indietro non si va, si può andare sotto avanti. L'innovazione è un'esigenza fondamentale dello spirito. Oggi l’innovazione ci consente di progettare in tre dimensioni, cioè se noi facciamo un modello tridimensionale delle cose che stiamo progettando possiamo entrarci dentro vederlo da lontano da vicino. Oggi si fa un unico modello e lo si guarda dentro e fuori da qualunque distanza. Una conquista di importanza determinante, perché oggi un architetto non ha nessuna scusa se fa un edificio che non ha una sua profonda unità! A che serve l’innovazione? Serve ad essere più efficiente nello sconfiggere lo squilibrio che l'uomo ha creato proprio attraverso l'innovazione! Bisogna a questo punto capire che l’innovazione è necessaria ma non deve essere fine a se stessa. Se è fine a se stessa e non risolve uno dei grandi problemi dell’uomo vuol dire che non è vera innovazione...
    14m 20s
  • Alberto Pasquini - Retail ibridation! Dal negozio fisico al digitale con empatia.

    15 APR 2019 · Lo smartphone ha unito tutte le generazioni che non possono più appartenere ad una categoria di appartenenza ma le unisce tutte. La fiducia verso i millenial è spropositata a mio avviso, perché molti sono senza lavoro e vivono ancora a casa dei genitori. Ricordiamoci comunque che ad oggi le vendite che avvengono nel fisico coprono 80% ed online il 20%, anche se rapidamente questa tendenza cambierà. Retail ibridation Inevitabilmente lo spazio fisico per sopravvivere al digitale dovrà diventare "Destinazione" e quindi trasferire al consumatore che vi si recherà quella sorpresa, entusiasmo, passione, cultura ed esperienza che solo il luogo sa trasmettere perché non ha filtri e perché deve essere capace di raccontare la sua storia e come in un film, quelli con una storia si ricordano e si tramandano e quelli senza si dimenticano facilmente. Come in un film il design, gli arredi, le invenzioni, luci, colori, suoni, profumi se sapientemente mixati tra loro aiutano a farsi ricordare ed a far parlare di se. Progettare uno spazio fisico ed un concept non è più l’esercizio creativo di un architetto ma è lo sforzo di un team di professionisti guidati dal loro sapere e dalla loro cultura come: architetti, designers, grafici, architetti del digitale, storyteller, psicologi, andropologi, sociologi, it managers, che dovranno abituarsi a lavorare ed a progettare insieme ed in modo omogeneo. Dal negozio fisico al digitale con empatia I brands che non avranno il coraggio di modificare il loro modo di lavorare e progettare insieme saranno rapidamente espulsi dal mercato per lasciare il posto alle aziende digitali che rapidamente prenderanno il loro posto anche nel fisico. Presto vedrete diversi esempi nel mondo di questo cambiamento che sta avvenendo rapidamente. La parola chiave rimarrà da oggi in futuro l’Empatia, ovvero quella capacità di progettare ed agire in funzione del dialogo, della condivisione, in un rapporto professionale, vero, sincero ed umano. Quindi sarà importante per tutti i brands cambiare il loro modo di operare ed addestrare gli uomini di contatto che la tecnologia ha liberato dalle loro normali attività per trasformarli in ambassador, consiglieri, educatori, suggeritori. Dovremo imparare ad usare tutto quanto ci verrà messo a disposizione della tecnologia per ritagliare il nostro tempo per assistere le persone nello spazio fisico aiutandole nella tecnologia, assisterle nelle vendite, consigliarle sull’uso dei prodotti e dei servizi per facilitare le persone nelle loro operatività. L’umanità che sapremo esprimere farà la differenza tra i competitors, perché la tecnologia non potrà mai possederla. La tecnologia ci darà un valido aiuto anche perché sempre di più l’ibridazione degli spazi e dei servizi sarà accentuata ed imprevedibile come presto vedrete dagli esempi che vi mostrerò.
    13m 26s
  • Mario Pacelli - La democrazia al tempo del digitale

    15 APR 2019 · Il tema del rapporto tra comunicazione digitale e democrazia, o meglio il quesito se le nuove autostrade aperte dalla comunicazione via internet possano in qualche modo incidere sul sistema politico è diventato nel nostro paese di stretta attualità per l’emergere di movimenti politici organizzati che fanno di quel rapporto la loro ragione di forza: essi partono dal presupposto che la rappresentanza politica, fondamentale negli ordinamenti democratici, possa ritenersi oramai superata in quanto dimostratasi insufficiente a rappresentare i problemi e la ricerca di soluzioni dei gruppi sociali per essere sostituita da una democrazia diretta in cui i cittadini elettori esprimono direttamente attraverso la comunicazione digitale la loro volontà su grandi o piccoli problemi sociali e sulle soluzioni ritenute più opportune. Troppo semplice per essere vero, direbbe qualcuno, ma la risposta sarebbe chiaramente insufficiente rispetto alla mobilitazione di studiosi (o sedicenti tali) progetti di legge in discussione in un Parlamento con la presentazione di progetti di legge variamente articolati ma pur sempre con l’obiettivo comune di minare dalle fondamenta il rapporto di rappresentanza politica, fino a vedere sullo sfondo (Casaleggio) la scomparsa delle assemblee rappresentative in nome del “fai da te” anche a proposito del governo della società. Quello che all’inizio sembrava solo un paradosso si sta così dimostrando un concreto atto ostile nei confronti delle istituzioni democratiche, nate sulla scia della rivoluzione francese del 1789, anche se più lontane nel tempo sono le origini della rappresentazione politica. Un primo esempio di essa si ritrova nell’incarico affidato a nobili e cavalieri (leggi ricchi commercianti) inglesi di rappresentare, nel 1295 ad Edoardo I Re d’Inghilterra , le loro ragioni nel Parlamento che fu per la prima volta convocato in particolare a proposito dell’applicazione delle nuove regole di tassazione stabilite dal Re stesso e, uditi i rappresentanti dei cavalieri, modificate con le emanazioni (1297) dello Statuto “De tallagio non concedendo”. Naturalmente sarebbe antistorico parlare della rappresentanza politica nei termini di più di sei secoli fa: certo è che a quel momento si affermò nell’età moderna il concetto che la volontà di tutti potesse essere espressa da alcuni, prescelti dagli interessati. Storicamente vulnerabili sono i criteri di selezione, i poteri dei rappresentanti, i loro obblighi, ma è certo che su quel rapporto si sono costruiti i regimi democratici, venuti meno quando qualcuno, si chiamasse Napoleone o Hitler, ha ritenuto e fatto ritenere, con le buone o con le cattive maniere, di essere lui stesso in grado di rappresentare tutti gli elettori senza aver ricevuto alcuno specifico mandato in proposito. Altro e diverso problema è quello del rapporto tra rappresentante e rappresentati: in quale limite il primo può decidere autonomamente nella assemblea rappresentativa senza raccordarsi su ciascuna questione con i suoi elettori? Anche questo è un problema vecchio: la soluzione più estremista, diritto di revoca da parte degli elettori che affermano traditi i loro intenti espressi al momento del voto, è soluzione adottata in passato (in alcune delle Costituzioni dell’Unione Sovietica dopo la Rivoluzione d’Ottobre ed in quelle di alcuni piccolo stati degli U.S.A.). Soluzioni e tentativi completamente abbandonati soprattutto per la difficoltà di verificare quando e se effettivamente il rapporto fiduciario fosse stato violato. Forse è opportuno sottolineare che la rappresentanza è definita politica proprio per distinguerla da quella giuridica: quest’ultima può essere accompagnata dal mandato ad agire non solo “in nome” ma anche “per conto” e nel caso di comportamenti non condivisi e lesivi per il rappresentato, può dar luogo al risarcimento dei danni subiti. La rappresentanza politica è invece sempre una rappresentanza con mandato: quest’ultimo però non può essere “imperativo”, segnare cioè minutamente le regole di comportamento politico del rappresentante: il paletto di riferimento è il programma elettorale e la possibilità data all’elettore, nel caso ritenga che gli impegni assunti al momento dell’elezione non siano stati rispettati, di non rieleggere il proprio rappresentante o, più generalmente, nell’esprimere il proprio voto a favore di un altro candidato o di una lista avente un programma diverso. La Costituzione italiana è fondata su questi principi, stabilendo (artt. 56 e 57) l’elettività delle due camere del Parlamento, le regole fondamentali sulla loro composizione (artt. 65 e 66) e che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Tutto chiaro dunque, fino a quando non si è iniziato a mettere tutto in discussione in nome di una “democrazia diretta” (per la quale esiste in questo Governo anche un Ministro ad hoc) e che dovrebbe essere caratterizzata sostanzialmente da una riduzione del numero dei parlamentari, dalla introduzione del vincolo di mandato e dalla possibilità per gli elettori di proporre leggi che il Parlamento sarebbe vincolato ad esaminare entro termini prestabiliti e di indire un referendum sul testo da esso approvato, nel caso in cui questo sia difforme da quello proposto dagli elettori. In due parole: la riforma proposta riduce, attraverso la riduzione del numero dei parlamentari la rappresentatività del Parlamento, trasforma il corpo elettorale in corpo direttamente legiferante che può, con il referendum, prevalere sulla volontà espressa dal Parlamento. Concede inoltre agli elettori il potere di far decadere dalla carica il deputato o senatore che si ritenga non si stia attenendo, nella sua attività parlamentare, al programma in base al quale è stato eletto. A garantire il funzionamento di un tale (pseudo) sistema ci sarebbe la comunicazione digitale, con la facilità di rivolgersi agli elettori per conoscere il loro orientamento su singoli problemi: una favola degna di Cappuccetto Rosso. Vediamo, anche se brevemente, perché. E’ innanzitutto da sottolineare che le riforme costituzionali proposte toccano solo uno degli aspetti del sistema costituzionale, quello relativo alla rappresentanza politica ed alle funzioni del Parlamento, senza tener presente gli effetti che l’adozione delle modifiche proposte produrrebbero sul resto del sistema. Tanto per fare un esempio, è chiaramente diverso l’impatto di un depotenziamento del Parlamento in uno Stato con poteri fortemente accentrati invece che in un vasto sistema di autonomie locali. Introdurre il mandato imperativo non chiarisce a chi spetterebbe pronunciare la decadenza della carica, anche se si fa intendere che questo compito dovrebbe spettare al partito che ha presentato sotto il suo simbolo il candidato eletto agli elettori: ciò mentre non esiste alcuna regola a proposito della vita interna di partiti e movimenti, con capi che possono sempre mutare la linea politica, accusando magari di tradimento chi, una volta eletto, mostra di voler restare fedele al vecchio programma. La faciloneria, per utilizzare un termine benevolo, di chi va sostenendo simili tesi emerge con ancor maggiore chiarezza quando si parla dell’uso di Internet per garantire la costante aderenza della linea politica dei rappresentanti politici a quella desiderata dai rappresentati su singole problematiche. Ha chiarito nella sua relazione il Prof. Roncaglia che Internet è sistema troppo semplice per le esigenze di una società complessa quale quella di un Paese industrializzato: rispondere con un si o no ad una domanda è proporre una soluzione semplicistica a problemi complessi, che si risolvono analizzando solo analizzando una seri di possibili soluzioni, che vanno armonizzate e possibilmente attestate su un compromesso di interessi pubblici e privati che garantisce il più vasto consenso possibile. Rispondere si o no ad un quesito, spesso volutamente poco comprensibile (e non mancano esempi in questo senso) significa radicalizzare la lotta politica, ghettizzare le minoranza, esaltare le contraddizioni, annullando la differenza che esiste tra il momento del voto in cui la volontà politica di ciascun elettore vale quanto quella di un altro elettore, ed il momento della decisione, in cui la volontà degli appartenenti alla maggioranza ha per definizione maggior valore di chi fa parte dell’opposizione. Tutto questo non è certamente proposto a caso: si intravede dietro le modifiche costituzionali proposte la volontà di mantenere formalmente immutate le strutture fondanti della Repubblica per svuotarle di contenuto, avendo come punto di arrivo uno Stato populista-autoritario, molto simile al Peronismo argentino di triste memoria… Altro che Internet: sullo sfondo ci sono i nuovi caudilli. Il disegno appare ancora più chiaro quando si consideri che la comunicazione digitale potrebbe offrire, se correttamente usata e non distorta per finalità che nulla hanno a che vedere con la democrazia, proprio per incentivare la partecipazione alla gestione della cosa pubblica, svolgendo in questo modo anche un importante ruolo da protagonista nell’educazione civica. Si pensi, ad esempio, a decisioni referendarie con validazione elettronica circoscritte a livello locale, riguardanti specifiche decisioni, come l’utilizzazione o meno di immobili dismessi per finalità sociali, o alla scelta di utilizzare una donazione ad un ente locale per borse di studio per giovani o per la creazione di un centro per anziani e così via. Al di la di questa soglia sarebbe però difficile andare: l’esperienza fatta, ad esempio, sottoponendo a referendum la privatizzazione del servizio pubblico di trasporto a Roma, ha dimostrato lo scarso interesse dei cittadini verso forme di consultazione troppo semplicistiche in presenza di problemi complessi...
    14m 51s
  • Maurizio Primanni - Da Montesquieu a Blockchain: come l'intreccio digitale/finanza contribuisce a creare il "quarto potere"

    15 APR 2019 · Montesquieu è vissuto tra il 1689 e il 1755 ed è considerato il fondatore della economica politica. Ai suoi tempi si assisteva al rischio di una sovrapposizione totale della politica sull'economia, dovuta all'uso spregiudicato della banca pubblica e delle concessioni monopolistiche. Per Montesquieu erano quindi le ricchezze finanziarie, capaci per loro natura di superare ogni frontiera, le uniche forze che potevano contrapporsi alla tirannia. Dall’epoca di Montesquieu tante cose sono cambiate. Numerose innovazioni tecnologiche hanno condizionato l’evoluzione della società. La finanza ne ha beneficiato prima della politica, tanto da diventare il vero “quarto potere” dei nostri tempi. L’attenzione da parte di tutti i recenti governi italiani ed europei all’evoluzione dei tassi di interessi sui titoli dei loro debiti pubblici, l’attenzione costante dei media allo spread, le difficoltà del nuovo governo giallo-verde a “mettere a terra” una manovra economica che non è piaciuta ai mercati finanziari sono tutte manifestazioni di questo primato della finanza sulla politica. Da quando negli anni Ottanta del secolo scorso, i politici hanno sposato la deregolamentazione dei mercati economici tramite la globalizzazione, la liberalizzazione dell’attività finanziaria, il passaggio da una vigilanza diretta a una indiretta (per cui tutto ciò che non è espressamente vietato è possibile), le trasformazioni sul sistema economico e nei mercati finanziari sono state rilevanti e non necessariamente tutte positive. Nel sistema economico la vita per alcune grandi società della old economy è diventata troppo confortevole, mentre alcune società della new economy hanno rapidamente conquistato quote di mercato diventato leader mondiali per capitalizzazione (es. Google, Facebook, Apple, Microsoft). Nei settori industriali dei principali paesi le prime 4/5 aziende controllano oltre i due terzi del mercato totale. La loro quota di mercato dal 2000 è cresciuta al ritmo del 3% all’anno e conseguentemente i profitti sono saliti del 76% oltre la loro media degli ultimi 50 anni relativa al PIL. The Economist ha calcolato che il totale dei profitti abnormi ammonti a livello mondo a 660 Miliardi di dollari, più di 2/3 dei quali sono prodotti da società USA, 1/3 da società tecnologiche. I mercati finanziari invece sono cresciuti in modo abnorme ed hanno iniziato a condizionare oltre misura le strategie delle società, le scelte di politica fiscale delle istituzioni politiche, i processi di crescita delle nazioni, la sostenibilità delle politiche dei loro governi, condizionando da ultimo le posizioni dei partiti e dei leader politici. Nel 2015, il valore delle attività finanziarie mondiali a fine anno aveva raggiunto 741 trilioni di dollari, il Prodotto Interno Lordo mondiale i 77 trilioni. Un terzo circa di questa massa finanziaria (249 trilioni) era costituito da attività riferibili alla produzione di beni e servizi (azioni, obbligazioni, prestiti bancari), mentre 492 trilioni erano rappresentati da strumenti derivati. A fine 2017 il valore totale delle borse quotate aveva raggiunto il valore del PIL totale, ma ancora peggio secondo recenti dati ESMA il valore nozionale dei derivati avrebbe raggiunto al 2018 i 660 trillioni di dollari, ben oltre i livelli pre-crisi del 2007. Si è creata una società polarizzata, dove convivono ricchezza e diseguaglianza: principalmente a causa di un processo tecnologico che favorisce una redistribuzione del reddito senza precedenti, riducendo i salari reali, sganciandoli dalla produttività e mettendo a rischio la sopravvivenza della classe media, vera componente distintiva delle società capitalistiche avanzate. Dall’inizio del secolo – al contrario di quanto accaduto nella seconda metà del Novecento – il reddito di impresa viene allocato per circa il 35% al lavoro e il 65% al capitale. La Banca Mondiale ha stimato che, se l’uguaglianza tra nazioni è cresciuta, è anche di molto aumentata la diseguaglianza all’interno dei singoli paesi. Lo spread e la percezione dei mercati L’attuale livello di attenzione che dobbiamo riservare allo spread è una rappresentazione chiara di quanto una finanza sviluppatasi oltre misura non sia utile allo sviluppo di politiche economiche alternative rispetto alle dottrine dominanti. Come abbiamo visto in questi ultimi mesi, è bastato che il nuovo governo italiano proponesse una manovra non conforme all’opinione corrente affinché si incrementasse in modo significativo lo spread tra il rendimento dei nostri titoli di stato e quello dei titoli tedeschi. L’incremento del rendimento dei titoli di stato italiani ha aumentato la pressione sulle banche, facendo crescere il rischio di una mancanza di capitale mentre sono all’orizzonte scadenze impegnative quali il rimborso dei finanziamenti BCE e il rinnovo delle obbligazioni bancarie in scadenza (entro il 2020 ce ne sono circa 267 Miliardi). I titoli di stato rappresentano il 10% degli attivi delle banche italiane. L’aumento dei tassi di interesse, diminuisce il valore di tali titoli obbligando le banche, grazie al nuovo principio contabile IFRS9, a contabilizzare delle perdite. E’ stato calcolato che in caso di aumento dello spread oltre 400 punti base numerose banche italiane sarebbero costrette ad attivare nuovi aumenti di capitale. Nel frattempo la tensione sui mercati finanziari ha determinato per le banche anche un aumento del costo del finanziamento, così se ISP e UCG (le nostre banche più grandi e solide) ad inizio anno emettevano obbligazioni a tassi intorno al 1,8% annuo, al momento sulle nuove emissioni devono riconoscere interessi nell’ordine del 3,5% annuo. Nell’attuale contesto insomma, ciò che conta è la percezione e la risposta dei mercati finanziari alle dichiarazioni dei manager di aziende private o pubbliche più che la sostanza delle manovre adottate. Questo principio vale sia per l’azione dei CEO delle grandi società quotate, che hanno oramai compreso sulla loro pelle quanto sia importante “gestire le aspettative e le percezioni dei mercati”, sia per i governi, soprattutto quelli dei paesi maggiormente indebitati. Il futuro delle democrazie e del capitalismo Abbiamo affrontato 4 crisi negli ultimi 10 anni: la crisi finanziaria dei mutui subprime, che ha riguardato soprattutto gli USA; la crisi economica, che dagli USA si è riflessa in Europa; la crisi dei crediti inesigibili, che ha riguardato soprattutto l’Italia essendo un paese con sistema industriale banco-centrico; la crisi del sistema capitalistico e del ruolo degli operatori finanziari. Le prime 3 sono state risolte, la 4° crisi è ancora in corso e dovremo trovare le ricette nel futuro. Nell’ editoriale di copertina di The Economist del 23 novembre 2018 si prevede una prossima rivoluzione nel modello di capitalismo. Il settimanale sostiene che è necessaria una vera e propria rivoluzione, la quale riduca i profitti abnormi di oggi delle grandi società e dei grandi capitalisti, ripristini sui mercati condizioni di sana competitività e consenta ad una nuova classe imprenditoriale di creare attraverso l’innovazione una nuova forma di capitalismo. Per rendere possibile questa missione servono alcuni interventi di natura strutturale. In particolare viene proposta una ricetta in 3 fasi che potrebbero riportare i profitti delle aziende USA a livelli fisiologici e far beneficiare della crescita dei ricavi anche i lavoratori nella misura stimata di un incremento dei salari del 6%. Primo, le norme sulla proprietà intellettuale andrebbero riviste per favorire l’innovazione e non proteggere gli incumbents. Ciò significa dare la possibilità a nuovi imprenditori dell’area tech di potere usare i dati e le informazioni oggi a disposizione solo delle big companies dell’informatica. Secondo, i governi dovrebbero ridurre le barriere all’ingresso, eliminando i vincoli sviluppati dalle lobby delle grandi aziende, quali clausole di non concorrenza, autorizzazioni all’esercizio di nuove attività e regolamentazione complesse. Terzo, le norme antitrust andrebbero riviste per il 21° secolo. A quanto previsto dal The Economist andrebbero aggiunti interventi di riforma anche sul funzionamento dei mercati e degli intermediari finanziari, quali ad esempio la revisione degli incentivi per i manager delle aziende, in modo che siano maggiormente premiati sulla creazione di valore e lavoro più che sulla remunerazione del capitale, l’introduzione di imposte sulle transazioni tese a ridurre la dimensione dei mercati finanziari e da ultimo la specializzazione degli intermediari in diversi ambiti della finanza: gestione degli investimenti per conto terzi, corporate ed investment banking, finanziamento dei privati, etc. Ma chi potrebbe realizzare un pacchetto così ampio di riforme? Gran Bretagna ed Unione Europea non hanno più la forza di un tempo, mentre le sorti economiche della Russia sono quasi esclusivamente legate al business del gas, di conseguenza le uniche due super-potenze che potrebbero riuscire in tale impresa sono gli USA e la Cina. Gli USA sono stati i padri fondatori delle attuali normative sul funzionamento della globalizzazione e dei mercati finanziari, ma hanno recentemente visto crescere principalmente l’economia cinese e stanno progressivamente perdendo il primato nella finanza. La Cina ha beneficiato a lungo della globalizzazione, ma recentemente ha subito le nuove politiche protezionistiche dell’amministrazione Trump, mentre sul fronte della finanza ha una regolamentazione ancora in fase embrionale e il fenomeno dei derivati nei bilanci delle sue banche che sta crescendo a ritmi significativi. Esistono le condizioni affinché proprio sul terreno della riforma del sistema capitalistico e dei mercati finanziari si possa costruire una nuova alleanza tra queste due superpotenze che possa segnare in senso positivo il destino delle nuove generazioni....
    34m 38s
  • Aldo Di Russo - L'anello mancante: la rivoluzione digitale tra beni culturali e industria creativa

    15 APR 2019 · Quando si parla di un anello mancante in genere ci si riferisce ad una catena. Una catena di eventi e di cause a cui manca una spiegazione logica o una catena di valore cui manca una attività essenziale. Può succedere, quando manca un anello logico e non ce ne si accorga, che di fronte ad un problema si dia una soluzione sbagliata, una interpretazione improbabile, e si arrivi a risultati non previsti o addirittura disastrosi senza sapere il perché. Per semplicità io partirei dalla fine: cosa voglio ottenere dai beni culturali per il mio territorio? Più soldi? Più pubblico? Più visibilità internazionale? Più voti alle prossime elezioni? Intrattenimento? Luna Park? Divulgazione? Ciascuna attività è lecita purché siano definiti scopi, investimenti e risultati attesi e non si mischino le cose dicendo di voler accrescere la cultura condivisa mentre si investe nella sagra delle frittelle per avere voto alle elezioni amministrative. Dopo tanti anni di esperienze in questo settore poche cose ho capito, ma almeno due le ho potute verificare con mano. La prima è il divorzio tra politica e cultura che è avvenuto quando la politica ha deciso di dover rassicurare il suo popolo per accrescere il consenso, la cultura genera inquietudine anche quando si presente con la leggerezza di un giullare, quindi, sostituiamola con l’intrattenimento, ma facciamo passare anche l’idea che l’intrattenimento sia cultura in modo da relegare in un limbo chiamato con disprezzo “elite” gli amanti del mito greco, gli studiosi del rinascimento, la scienza in genere e il teatro, tutti nemici del voto popolare. La seconda è che le istituzioni della cultura, i musei per l’esperienza fatta in questi anni, devono attrezzarsi per costruire una macchina che produca esperienze cognitive attraverso la gestione delle emozioni che possano essere indotte interpretando le civiltà che ci hanno preceduto lasciando i valori sui quali l’occidente è stato costruito e che sono la cornice dentro cui far vivere le nostre libertà.
    14m 40s
  • Mario Pireddu - Il ruolo della formazione per la cittadinanza digitale

    15 APR 2019 · L'ecosistema informativo, formativo e didattico nei prossimi anni sarà sempre più plurimediale e di rete. L’ubiquità dei dispositivi digitali e del sapere diffuso rende ancora più centrale il ruolo degli educatori nell'aiutare gli studenti a diventare digitalmente competenti. Per gli educatori questo significa lavorare per sviluppare la propria competenza digitale, con la consapevolezza che l'innovazione didattica non è una questione meramente tecnologica ma culturale. Solo con la comprensione della complessa infrastruttura del sapere fatta di informazioni, metadati, database e algoritmi può prendere corpo una piena cittadinanza digitale.
    28m 13s
  • Sergio Bellucci - La crisi come transizione. L'emersione di una nuova formazione economico-sociale e nuovi rapporti di produzione

    15 APR 2019 · Io penso che noi stiamo realmente entrando in una fase di “transizione”. Per spiegarlo proverò ad esporre la differenza tra alcune fasi della storia che si sono succedute e sono diverse, e come si possono approcciare le soluzioni alle problematiche che emergono in queste fasi. Probabilmente nel corso di questo secolo vivremo una fase mai vissuta prima, quella che viene indicata come “singolarità”, un momento in cui l’intelligenza non biologica (artificiale) potrebbe contendere la direzione dei processi all’intelligenza biologica.
    32m 44s
  • Nicoletta Iacobacci - L'etica e le tecnologie esponenziali: prendere coscienza delle implicazioni positive e negative del progresso

    15 APR 2019 · Sempre più tecnologie e servizi digitali si basano sull'intelligenza artificiale e sul machine learning, il programma che permette ai computer di svolgere compiti senza essere stati programmati. Ma come abbiamo potuto verificare, questi sistemi, non solo imparano i pregiudizi esistenti, li amplificano e li riproducono, come per gli stereotipi di genere. Secondo un rapporto della Reuters di qualche settimana fa, Amazon ha lavorato per anni su un sistema per automatizzare il processo di selezione e assunzione del personale. Il programma basato sull'intelligenza artificiale, doveva esaminare una raccolta di curriculum vitae e nominare i migliori candidati. L'industria tecnologica è tuttavia dominata dagli uomini e, quindi, la maggior parte di questi curricula erano di provenienza maschile. Così, sulla base di questa selezione di informazioni, il metodo di reclutamento ha cominciato a favorire gli uomini rispetto alle donne, declassando quasi completamente le candidature femminili. E’ stato impossibile per Amazon correggere l’impianto, perché trovava sempre nuovi modi per discriminare le donne candidate, e quindi il progetto è stato interrotto all'inizio del 2017. Nei prossimi anni, il numero di sistemi e di algoritmi parziali, in un certo senso “infettati”, aumenterà. In che modo o chi può trovare nuove soluzioni che controlli i pregiudizi già esistenti nei sistemi di intelligenza artificiale, rallentandone l’incremento esponenziale? Sono ottimista e spero che solo un'intelligenza artificiale imparziale, gestibile e benevola possa sopravvivere, anche perché in un altro ambito, stiamo cercando di codificare la creatività, di delegare la nostra inventiva alla macchina. Stiamo sperimentando l’intelligenza artificiale per scrivere opere teatrali, per comporre musica e adesso anche per dipingere. Il messe scorso un'opera d'arte generata da una serie di algoritmi è stata venduta per 425.000 dollari. Tempo fa, prima di diventare reporter televisiva e poi esperta di etica e futuro, sono stata scenografa e costumista per il teatro. Disegnavo e posso dire onestamente che dipingere è un piacere. Perché vogliamo avere una macchina per fare dell’arte? Capisco che “produrre arte” significa sperimentare, provare, aumentare il livello di creatività. Vogliamo davvero delegare l'oggetto d'arte a un dispositivo meccanico oppure vogliamo considerare l'intelligenza artificiale come lo strumento ultimo per concretare la nostra fantasia? Ancora una volta, dipingere è un piacere. Vale la pena di demandare il nostro piacere ad un sistema fatto di algoritmi? Non credo che la tecnologia riuscirà a superare la nostra creatività. Sicuramente la migliorerà. La creatività sarà la competenza n.1 del XXI secolo. E noi, vogliamo creare un agente che sia il nostro doppio nell'esperienza delle sensazioni. Un'entità sensibile, che mi porta a formulare un’altra domanda. Come possiamo fidarci dell’intelligenza artificiale se ancora non sappiamo come funzionerà? Oggi stiamo lavorando alla realizzazione di un ‘entità sensibile e consapevole. Un essere che può sentire la propria individualità, che può agire sulla memoria, e che può diventare socievole. Un agente che può suscitare emozioni e forse, in futuro, anche provarle. Vogliamo anche imporre i nostri codici etici, anche se questo agente sarà organizzato in modo completamente diverso da noi, con le sue priorità e le sue iniziative. Vogliamo anche averne il controllo e il potere di spegnerlo. Vi ricordate il film "2001,Odissea nello spazio", quando Dave disattiva Hal? Permettetemi di chiedervi: oggi possiamo spegnere Internet? Bisogna riflettere; no, non è più possibile. Pensate a Sophia, ad oggi l’androide più conosciuto e famoso, al macchina che ha addirittura ottenuto la cittadinanza saudita. Il robot viaggia, può conversare, è spiritosa e, anche se funziona grazie all'intelligenza artificiale, per il momento la sua conversazione è parzialmente scritta e convalidata da un essere umano. Credete che se e quando Sophia diventerà sensibile e autonoma, ci avvertirà? Non voglio essere catastrofica o distopica, sono molto favorevole alla scienza e alle tecnologie emergenti. Voglio solo rendere le persone consapevoli di quali possono essere le conseguenze future di un progresso poco responsabile e con un’etica obsoleta. I tecnologi ritengono che la scienza abbia raggiunto un tale livello di pensiero teorico da non aver più bisogno della filosofia. Tuttavia, l'etica non progredisce allo stesso ritmo delle tecnologie in crescita esponenziale. E quindi la filosofia non dovrebbe dimenticare il suo ruolo passato “di scienza della scienze”, dovrebbe anzi lavorare in sinergia con l’innovazione. Dobbiamo incoraggiare conversazioni e dibattiti pubblici tra pensatori, scienziati e ingegneri, e tra tutti coloro che influenzano il nostro tempo, in tutte le discipline interessate al progresso tecnologico. Vorrei fare un appello all’azione! Un appello che coinvolge anche scrittori e artisti di fantascienza come propagatori del pensiero visionario e, perché no, di un’etica contemporanea. In quest'epoca di convergenza delle arti e delle scienze, beneficiamo della promessa di un futuro migliore, più sano e più felice. Stiamo diventando una nuova specie - una specie che non possiamo garantire sarà ancora “umana" e abbiamo bisogno di tutta la conoscenza, la forza e il coraggio della nostra umanità collettiva per scegliere un percorso piacevole, senza troppi ostacoli. Per concludere vorrei citare Nietzsche, “chi vuole imparare un giorno a volare, deve prima di tutto imparare a stare, e andare, e camminare, e arrampicarsi, e danzare: il volo non si impara in volo!
    6m 46s
  • Gino Roncaglia - Il digitale tra frammentazione e complessità

    15 APR 2019 · Il mondo del digitale e delle reti sembra caratterizzato da contenuti prevalentemente frammentati e granulari: dagli sms ai messaggi WhatsApp, dalle mail ai post di un blog, dai tweet ai messaggi di stato di Facebook, dalle storie Instagram ai video su Youtube, la brevità sembra prevalere nettamente sulla complessità. Come mai? C’è forse nel digitale qualche caratteristica intrinseca che spinge verso la frammentazione? L’intervento discuterà questi temi in particolare a proposito dei prodotti editoriali multimediali, che dovrebbero offrire modelli di organizzazione dei contenuti assai più solidi e strutturati ma che – con l’eccezione, certo assai significativa, dei videogiochi – non sembrano riuscire a conquistare una fetta di mercato davvero consistente. C’è davvero un futuro per gli e-book multimediali, per i manuali scolastici e universitari arricchiti, per la saggistica e la narrativa ipertestuale, o le aspettative che avevano circondato inizialmente l’editoria digitale erano mal riposte? Slide disponibili: http://prezi.com/s1aph3gf4lwn/?utm_campaign=share&utm_medium=copy&rc=ex0share
    17m 51s
  • Giampaolo Sodano - Intro Digital Day

    12 APR 2019 · I quesiti sono due, ma la risposta è unica: per governare. E come governare nell’ interesse del popolo, al quale l’articolo 1 della Costituzione attribuisce la sovranità, rivendicando a tale fine il ruolo essenziale e determinante di una classe dirigente che non può essere quella estratta a sorte da un noto comico genovese, né tanto meno quella ingannevole derivante dal concorso in rete sostenuto dal giovane Casaleggio. I cittadini seduti sulla poltrona di ministro del governo attuale sono uno spettacolo grottesco (vedi il signor Toninelli o le signore Lezzi e Castelli) che ci auguriamo convinca gli elettori a non ripetere l’errore di eleggere persone incompetenti in posti di responsabilità, come quello di rappresentare i cittadini nel Parlamento della Repubblica. Ciò vale tanto più in un momento della nostra storia in cui le tecnologie digitali stanno modificando profondamente i processi di produzione delle merci e i rapporti tra i cittadini e le istituzioni politiche ed economiche mentre la globalizzazione ha unificato le crisi e cambiato il baricentro della ricchezza. Tutto ciò richiede classi dirigenti colte e competenti in grado di governare i fenomeni, arginando rischi e pericoli e rendendo marginali le ideologie e le culture demagogiche. Queste sono le ragioni che ci hanno spinto ad un rinnovato impegno nella comunicazione e ad organizzare un seminario annuale per fare il punto della situazione. Le relazioni che saranno svolte toccheranno vari punti di questa complessa problematica, dalla nuova configurazione dei rapporti di lavoro alla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica anche utilizzando come strumenti i supporti digitali ma nella consapevolezza della loro strumentalità rispetto ai fini che si intendono perseguire in una società alla ricerca di nuovi orizzonti che talvolta sembra navigare nello spazio come una astronave impazzita. C’è bisogno di argonauti della conoscenza e del sapere.
    15m 20s

Argonauti nella noosfera. Alla scoperta di come il digitale sta modificando la nostra società. 6 Dicembre 2018 - Unitus Viterbo Ne parlano: Sergio Bellucci, Aldo Di Russo, Nicoletta Iacobacci, Mario...

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Argonauti nella noosfera.
Alla scoperta di come il digitale sta modificando la nostra società.
6 Dicembre 2018 - Unitus Viterbo
Ne parlano: Sergio Bellucci, Aldo Di Russo, Nicoletta Iacobacci, Mario Pacelli, Alberto Pasquini, Mario Pireddu, Paolo Portoghesi, Maurizio Primanni, Gino Roncaglia, Giampaolo Sodano.
Evento organizzato da Moondo.info - CuDriEc S.r.l.
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