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TCDD—Seveso e il disastro della diossina

  • 5: Cosa resta della diossina

    12 SEP 2022 · Alcuni fusti di scorie hanno fatto una fine non chiara, fra traffico internazionale di rifiuti, siparietti con macellai francesi e manager svizzeri. Ma Seveso come vive la propria eredità e la presenza delle vasche di contenimento per la diossina sul proprio territorio? Il 17 giugno 1985 a Basilea vengono distrutti 41 barili pieni di TCDD provenienti da Seveso. Partiti dalla Brianza il 10 settembre del 1982, tre anni prima, sono i quarantuno fusti di diossina asportata dal reattore dell’ICMESA. La storia di quel carico diventa subito uno dei misteri più incredibili di tutta la vicenda. Il commissario dell’emergenza Seveso, Luigi Noè, li fa partire in gran segreto, di notte, e nei giorni seguenti dice di non sapere dove sono diretti, che solo la La Roche ne è al corrente. Quindi il camion con questi rifiuti estremamente tossici parte. A dire il vero Noè lo segue, almeno fino a dopo Ventimiglia, fino a quando il carico supera la frontiera con la Francia. Poi iniziano i problemi. Quando varcano il territorio francese i barili vengono affidati ad un personaggio che dovrebbe essere già esperto di smaltimenti. Bernard Peringaux è il proprietario della Spedildec, ditta di Marsiglia che si occupa di far sparire le sostanze tossiche e dalla reputazione poco trasparente. Serpeggiano voci di una possibile affiliazione dell’imprenditore ai servizi segreti francesi. Peringaux è presente a Meda quando le polveri rimaste nel reattore esploso vengono caricate sui barili. Poi però, varcato il confine francese, il camion scompare e nessuno sa dove è finito. L’unica comunicazione viene fatta arrivare alla Givaudan dal proprietario della Spedildec, che dice di aver smaltito tutto, questione risolta. Peccato che anche agli svizzeri non dice dove. I fusti con all’interno la diossina scompaiono per nove mesi. Come è stata possibile una cosa del genere? E soprattutto, tutti si chiedono, dove è stata nascosta quella diossina? I fusti vengono ritrovati nella remota località francese di Saint Quentin, il 19 maggio 1983. O almeno così sembra. È un macellaio di un paesino chiamato Anguilcourt Le Sart, 300 abitanti, ad accorgersi che davanti alla sua attività sono depositati dei grossi contenitori simili a quelli che tutti stanno cercando. Ma sono davvero i barili usciti dall’ICMESA? Come è possibile affidarsi alle parole di un macellaio su una questione così delicata? L’unica voce affidabile sarebbe quella di chi effettivamente ha visto il carico uscire da Meda: il commissario per l’emergenza. Noè però non viene mai convocato sul posto, nessuno si premura di chiedergli di verificare la larghezza, il colore, i materiali di cui sono fatti questi barili. A Basilea si tirano fuori i 41 fusti pronti per essere inceneriti. Già i giornalisti più attenti però se ne accorgono: quelli che la Roche sta mostrando non sono i 41 fusti partiti da Meda. Il loro diametro è passato da 56,5 centimetri a 60 centimetri. Si sono ristretti di 3 centimetri e mezzo, e pesano 20 quintali in più rispetto agli originali. Molti ambientalisti avevano già avvertito della possibilità che la Roche mentisse in questa occasione; e infatti. La fine di questa vicenda non è mai arrivata, neanche dopo la messa in scena del 17 giugno. Dopo tutti questi anni abbiamo gli elementi sufficienti per dire come sono andate le cose? Insomma, tutta la diossina contenuta nei 41 barili dove è finita? Questo è paradossalmente uno dei misteri per cui si è più vicini a una soluzione. Ormai la tesi più accreditata è che la diossina sia stata smaltita in una discarica della Germania Est. Marzio Marzorati racconta “quando ero assessore vennero i tedeschi perché nell’89 il muro di Berlino cadde e iniziarono ad aprire gli archivi, in essi apparì questa consegna di barili che venivano da Seveso in una discarica della Germania dell’Est”. E oggi cos’è rimasto di questa storia? La diossina è ancora un tema che divide in Brianza e soprattutto a Seveso. L’ultima polemica risale ai mesi scorsi, con le dimissioni dell’ex sindaco di Seveso Allievi e il rimpallo di responsabilità sullo stato delle vasche di contenimento delle scorie della zona A. Mentre sullo sfondo si staglia la vicenda della Pedemontana lombarda, che dovrebbe essere realizzata proprio in quei territori. Sostieni the Submarine: https://thesubmarine.it/hw-abbonati/
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  • 4: L’aborto e il disastro di Seveso

    1 AUG 2022 · Nel 1976 in Italia l’interruzione di gravidanza non era ancora legale, ma viene eccezionalmente concesso l’aborto terapeutico nelle aree colpite dal disastro della diossina. Nonostante il rischio di malformazioni e di morte, le forze anti–abortiste continuano la loro battaglia contro il diritto di scegliere Maria Chinni è una ragazza di 23 anni e da quando ne ha 18 è sposata con Canio Corbo, che ha un anno in più di lei. Entrambi sono originari del Sud: lei di Montebello Ionico, in provincia di Reggio Calabria, lui di Potenza. La coppia, con i figli Anna Maria di quattro anni e il piccolo Donato, che ne ha uno e mezzo, sono di ritorno da una vacanza: Anna Maria e Donato sono andati a trovare i nonni. La coppia ha tanti progetti per il futuro: Maria è incinta da poche settimane, e lavora in una ditta di Lissone, Canio ha avuto qualche problemino di salute, ma si riprenderà in fretta e sarà più partecipe nell’aiutare la famiglia.  Nel settembre 1976, dopo la vacanza di dieci giorni in Calabria, entrambi tornano in Brianza, in un paese confinante con Desio: Muggiò. Maria attacca subito al lavoro, ma mentre si trova in fabbrica inizia a non sentirsi bene. Sente una fitta lancinante al ventre e il giorno dopo, giovedì 2 settembre, decide di stare a casa. Canio inizia a preoccuparsi quando anche nella notte Maria è presa dai dolori. Canio e Maria volano al pronto soccorso più vicino, quello dell’ospedale di Desio, nel pomeriggio di venerdì. Maria sembra stare molto male, Canio è sempre più agitato.  Passa qualche ora e davanti al marito compare il dottore: gli dice che Maria è scomparsa, insieme al bambino che portava dentro di sé. Questa tragica morte diventa in breve tempo benzina versata su un fuoco che è già acceso da tempo. Dopo qualche giorno si diffonde la voce che Maria sia morta per colpa di un aborto clandestino.  Il direttore dell’ospedale di Desio precisa che dall’autopsia non risulta alcun danno al feto, prova che la donna non ha tentato l’interruzione di gravidanza. Lo conferma anche il prof. Lorenzo Alfieri, l’aiuto ostetrico ginecologico dell’ospedale. Rimane il fatto che la causa di morte non è del tutto chiarita: si parla in modo imprecisato di un’infezione senza specificarne la causa. La notizia finisce sulla stampa proprio nei giorni in cui a Desio si è deciso per “ammettere con riserva” le gestanti che fanno richiesta di abortire.  L’8 settembre, a Milano si tiene una riunione di vari collettivi femministi per decidere come reagire alla morte di Maria Chinni. Sono presenti anche i gruppi di Desio e Cesano Maderno, zone colpite dalla diossina. Nell’articolo di Lotta Continua, uscito il giorno successivo, si fa cenno a quella riunione e poi, nell’articolo dedicato alla vicenda, si definisce Alfieri “uno degli aguzzini dell’ospedale di Desio”. Perché questo attacco ai medici dell’ospedale? Come mai l’argomento è l’aborto, se siamo nel 1976 e il referendum che lo liberalizzerà verrà votato solo nel ’78? E, soprattutto, cosa c’entra tutto questo con la diossina? Quando Maria Chinni muore, questo tema occupa già pagine su tutti i giornali, e divide, ancora una volta la popolazione della Brianza e dell’Italia intera. Per capirne il motivo bisogna tornare indietro di qualche settimana, al 29 luglio. Sostieni the Submarine: https://thesubmarine.it/hw-abbonati/
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  • 3: Il disastro di Seveso e la nascita dell’ambientalismo in Italia

    25 JUL 2022 · Dopo il disastro dell’ICMESA il Partito Comunista e in generale la sinistra italiana inizia a cambiare la sua linea sull’ambiente e inizia a riflettere sull’impatto ambientale delle politiche di sviluppo 15 ottobre 1976. Gli abitanti di Seveso si incamminano verso le scuole medie Leonardo Da Vinci, ma la maggior parte di loro, quando arriva, la trova già piena. Fortunatamente sono stati installati degli altoparlanti in modo che anche quelli rimasti fuori possano sentire cosa si sta decidendo al suo interno. Le macchine parcheggiate fuori non si contano e tutti, almeno all’inizio, sono in silenzio per ascoltare, di fatto, quello che li aspetterà nei prossimi mesi.  E soprattutto se c’è una speranza concreta di tornare alla normalità.  Quella sera i presenti in aula sono circa 300. Per l’assessore alla sanità Rivolta è soprattutto l’occasione per presentare il progetto di Regione Lombardia: l’inceneritore. I suoi avversari però si trovano già lì, pronti a contestarlo. Ad agosto il consiglio comunale ha già approvato l’idea e il relativo progetto di bonifica, anche se lo stesso sindaco Rocca è tutto fuorché entusiasta. Approva il progetto solo perché vuole, esattamente come i suoi concittadini, dimenticare al più presto tutta questa storia. Al momento l’inceneritore sembra ancora la soluzione più facile e veloce per terminare la tragedia.  “L’ICMESA ha inquinato l’ICMESA disinquini” gridano gli oppositori in prima fila, non appena le autorità cercano di spiegare. Oltre a Rivolta e Rocca, sono presenti anche il presidente della Provincia Vitali, il vicepresidente Mariani e il professor Zurlo, responsabile tecnico regionale delle opere di bonifica. Grandi esclusi: il sindaco di Meda e la sua giunta. Per gli abitanti è ingiusto che sia Seveso a pagare, ancora una volta.  Molti, infatti, si chiedono perché un tale impianto non si possa invece fare a Meda. E se poi Seveso, una volta bonificato tutto, diventasse il centro dove bruciare tutti gli scarti della Brianza? “Possiamo sottoscrivere un documento – promette Vitali – nel quale ci impegniamo a smantellare l ’impianto dopo la bonifica.” Ma a questo punto perché non costruirlo dentro l’ICMESA?  Sostieni the Submarine: https://thesubmarine.it/hw-abbonati/
    22m 12s
  • 2: Olio d’oliva, sapone di Marsiglia o un inceneritore contro la diossina?

    18 JUL 2022 · Nel 1976 tutti sanno che l’ICMESA inquina, anche prima del disastro. Ma oltre a chiudere una vasta zona di territorio brianzolo, alla fuoriuscita della nube nessuno sa bene cosa fare — e iniziano le proposte più assurde, comprese quelle della neonata regione Lombardia. Da anni in Brianza si sa che l’ICMESA inquina. Le Industrie chimiche meridionali società per azioni hanno già una storia lunghissima: lo stabilimento è a Meda già dal 1934, ma nel 1947 cambia nome in Industrie Chimiche Meda di proprietà dall’azienda svizzera Givaudan, che a sua volta viene comprata nel 1964 della multinazionale farmaceutica Roche. Produce sostanze per il settore farmaceutico.  I problemi iniziano già nel 1948, quando i residenti depositano lamentele al comune di Meda per gli odori tremendi che salgono dal torrente Certesa, dove l’azienda scarica tutti gli scarti di lavorazione. Il 2 maggio del 1953 un intero gregge di pecore, che si è abbeverato nel torrente, risulta intossicato. Muoiono 13 animali.  Negli anni precedenti al disastro sembra possibile agli abitanti e alle amministrazioni della zona ottenere un risarcimento per tutti quegli anni passati a sopportare gli odori nauseanti del torrente e chissà quali altre sostanze ingerite o respirate. La provincia accusa Herwig Zwehl di aver consapevolmente corroso e alterato le acque sotterranee rendendole pericolose per la salute pubblica e lo porta in tribunale. Passano pochi mesi, però, e tutto si sgonfia: Zwehl viene assolto il 15 giugno 1976 per assenza di prove. Mancano solo venticinque giorni prima del disastro.  Il 21 luglio del 1976, in cui iniziano anche le bugie, le mistificazioni e le dichiarazioni farsesche intorno all’opera di bonifica dalla diossina. L’assessore regionale alla sanità Vittorio Rivolta concede la prima conferenza stampa, ben dieci giorni dopo il disastro, per spiegare i provvedimenti che Regione Lombardia avrebbe preso per contenere l’inquinamento.  Durante quella conferenza stampa Rivolta davanti ai giornalisti esclude categoricamente che il torrente Certesa sia contaminato. Ma da anni si sa che in quel fiumiciattolo si accumulano tutti gli scarti dell’azienda. Infatti, pochi giorni dopo i rilevamenti mostrano tracce di diossina anche alle porte di Milano portate dal fango dei fiumi.  La zona contaminata si allarga con il passare dei giorni. Non è da escludersi che da escludersi che la diossina si trovi anche molto più a sud del previsto, a Nova Milanese, Muggiò o addirittura Cinisello Balsamo, nell’hinterland. Oltre chiaramente a grosse cittadine come Desio, dove la presenza dell’agente tossico è data per certa. La zona dell’incidente viene divisa in tre zone: la zona A, che comprende l’area più inquinata e la più vicina all’ICMESA, una zona B, dove la concentrazione di diossina è più bassa, ma che ricopre un’area abitata da circa 5000 persone, e una zona di rispetto, o zona R, sicuramente contaminata, ma più lontana dalla fabbrica.  L’approccio all’emergenza comincia ad avere anche degli aspetti paradossali. Il prefetto di Milano disse ‘potremmo usare il napalm per bruciare la diossina’ il che avrebbe comportato un inquinamento maggiore. Un medico vietnamita propone di usare il sapone di Marsiglia per lavare tutto. Gli svizzeri poi propongono di mandare degli aerei per sversare dell’olio di oliva. In un clima del genere arriva la proposta definitiva di Regione Lombardia — istituzione tra l’altro nata da pochissimo — per bonificare Seveso, Cesano, Meda, Desio e gli altri comuni dalla diossina. L’assessore regionale Rivolta ha un’idea chiara: l’unico rimedio per distruggere quel veleno è il fuoco. Bisogna bruciare tutto. Senza fare annunci ufficiali, da agosto si inizia a parlare di un inceneritore, un inceneritore a Seveso. * * * TCDD è scritto da Daniele Rìgamonti. Voci di Elena D’Acunto e Daniele Rìgamonti. Regia di Stefano Colombo. Produzione Stefano Colombo e Federico Cuscunà Sostieni l’informazione indipendente di the Submarine: abbonati https://thesubmarine.it/hw-abbonati/ In sottofondo: Comfortable Mystery 1, 2, 3, 4, CC BY 3.0 Kevin MacLeod (incompetech.com)
    21m 6s
  • 1: Gli alberi cambiano colore

    10 JUL 2022 · Sono le otto di sera, è il luglio del 1976. Mancano due giorni alla partenza delle olimpiadi di Montreal, ma oggi la notizia principale è la nomina del giovane nuovo segretario del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi. Fa molto caldo, anche in Brianza. Mentre sta per mettersi a tavola, il telefono di Mario Galimberti, corrispondente per il quotidiano il Giorno, squilla. È la segretaria del sindaco di Seveso, una cittadina di 17mila abitanti confinante con Seregno, dove vive Galimberti. La segretaria gli racconta che il comune ha emanato una strana ordinanza: si vieta il consumo di tutti i prodotti agricoli coltivati sul territorio. “Pare che ‘qualcosa’ sia fuoriuscito dall’ICMESA”, dice. Galimberti non ha mai fatto particolarmente attenzione a quella fabbrica, che si trova sul territorio di Meda ma è a pochi metri dal confine con Seveso. Le promette che domattina andrà sicuramente a controllare. Comincia così la storia di quello che è noto come il Disastro di Seveso, una delle più note catastrofi ecologiche d’Europa, che cambierà per sempre la vita di migliaia di persone e contribuirà a creare una coscienza ambientalista mai vista prima di quel momento in Italia. Poco prima che si generi la nuvola tossica, quel 10 luglio la temperatura all’interno del reattore dell’Icmesa si alza ben al di sopra dei livelli consentiti, arrivando a 300 gradi in un impianto dove il Servizio Medicina Ambienti Lavoro, proprio in quei giorni, sta concludendo delle vecchie indagini sulla sicurezza e l’inquinamento. Il calore provoca le reazioni necessarie a produrre una gigantesca quantità di uno scarto industriale di solito presente in poche parti per milione: il 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina. Il corpo umano, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità può sopportare un trilionesimo di grammo di diossina al giorno per kg di peso: 8 milionesimi di g per kg causano malformazioni ai reni e al palato nei feti. La diossina, in alte dosi, provoca anche irritazione e pustole: una malattia della pelle chiamata cloracne. Il TCDD è ha anche un’altra caratteristica: si presenta prevalentemente allo stato solido come una polvere. Non un gas, non qualcosa che si muove senza controllo, ma anzi si deposita e resta dov’è. Il problema è che anche nel corpo umano si comporta così, quando si deposita nel fegato non se ne va più via. Nei pochi minuti successivi al disastro l’azione di tre operai è decisiva per evitare un danno ancora più grave: Giuseppe Bruno, Carlo Galante e Vito Romani. I tre si rifiutano di fuggire, si mettono le maschere protettive e cercano di sistemare il guasto. In poco tempo, grazie al loro coraggio e sangue freddo, riescono ad attivare l’impianto di raffreddamento: la temperatura scende, la nebbia smette di uscire. Quanto veleno è fuoriuscito di preciso dal reattore che si occupava di defolianti quel giorno? Un chilo, come ha sempre sostenuto l’azienda? Oppure dobbiamo dare ascolto a chi dice che i chili erano almeno trenta, tanto che ancora oggi, 2022, alcuni terreni che costeggiano la superstrada Milano Meda registrano livelli preoccupanti di contaminazione? Si parla quindi di evacuare la zona contaminata, se ne parla anche a livello regionale, però non c’è ancora nessun provvedimento di ufficiale. L’evacuazione, di lì a pochi giorni, ci sarà davvero. Le persone inizieranno a convivere con il timore che la loro casa, la loro scuola o la loro attività potesse essere chiusa. Gli abitanti in questo momento ancora non lo sanno, ma molti di loro, la loro casa, non la rivedranno mai più. In sottofondo: Comfortable Mystery 1, 2, 3, 4, CC BY 3.0 Kevin MacLeod (incompetech.com)
    20m 18s

46 anni fa una nube tossica di diossina TCDD stravolgeva la vita dei cittadini di Seveso, Meda e molti altri comuni brianzoli. Il caso dell’ICMESA è stato uno dei primi...

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46 anni fa una nube tossica di diossina TCDD stravolgeva la vita dei cittadini di Seveso, Meda e molti altri comuni brianzoli. Il caso dell’ICMESA è stato uno dei primi disastri ambientali a diventare un caso internazionale, creando un prima e un dopo nella coscienza ambientalista locale ed europea. Cloracne, tumori, malformazioni, aborti e vasche di contenimento: cosa è rimasto oggi?
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