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Stefano Fontana - BastaBugie.it

  • Decreto Valditara: la controproposta dell'estate parentale

    16 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7760 DECRETO VALDITARA: LA CONTRO-PROPOSTA DELL'ESTATE PARENTALE di Stefano Fontana Il decreto con cui il ministro (della pubblica istruzione e del merito) Giuseppe Valditara ha finanziato l'apertura delle scuole di istruzione primaria e secondaria durante l'estate avrà senz'altro ottenuto molti apprezzamenti. Lo Stato che fa la mamma anche d'estate, dato che le mamme non cessano di lavorare l'8 giugno quando termina l'attività scolastica, piace senz'altro a molti. A me invece non piace e penso che le famiglie dovrebbero starne alla larga ed eventualmente pensare a soluzioni alternative. Le attività previste e finanziate dal decreto Valditara riguardano percorsi "di aggregazione e formazione". I destinatari e i contenuti potranno essere fissati anche in collaborazione con università, enti locali e organismi del terzo settore. Alla base del decreto c'è il "Programma nazionale scuola e competenze 2021-2027" che prevede il finanziamento di attività sportive, musicali e teatrali legate alla "sostenibilità". Altri fondi arriveranno dal PNRR per la formazione alle discipline STEM. La novità Valditara non è assoluta. I comuni già sono da anni su questa strada dell'utilizzo degli edifici delle scuole primarie per dei "grest" laici. Il fatto è che alunni e studenti a scuola ci stanno già troppo e non è buona cosa aumentare il tempo in cui le famiglie mettono i propri figli nelle mani dello Stato-Educatore. È naturale che non si tratterà solo di intrattenimento ludico, finalità estranea di per sé alla scuola, ma le attività saranno condite con finalità formative e educative che potrebbero essere anche discutibili. Dietro l'educazione all'integrazione può nascondersi di tutto. NESSUNA NEUTRALITÀ Sotto l'educazione alla sostenibilità pure. Dietro la formazione alle discipline STEM in pratica si nasconde l'avviamento alla digitalizzazione. Nessuna garanzia di neutralità educativa, dunque. L'eventuale collegamento con le università o gli enti locali, più che tranquillizzare, preoccupa, data la caratterizzazione ideologica di molti di questi enti, che comunque fanno sempre parte del sistema statale e articolano ma non diminuiscono la centralizzazione educativa. Nemmeno il riferimento all'eventuale collaborazione con gli enti del terzo settore può mettere l'anima in pace, perché il terzo settore in Italia ha scarsissima autonomia progettuale in quanto è anch'esso finanziato dallo Stato, direttamente o indirettamente, ed è campo di militanze ideologiche molto accentuate. Alle attività estive nelle scuole statali saranno certamente cooptati enti del terzo settore allineati a quelli che oggi si intendono essere i "valori civici" politicamente corretti. In ogni caso si tratta di un ulteriore declassamento della famiglia, naturalmente con la scusa di aiutare la famiglia. Lo Stato si prende i figli dalla culla all'università, emargina i genitori dal compito educativo e li relega nel mondo del lavoro e siccome nove mesi non bastano, ora si prende anche i tre mesi estivi. È doloroso constatare che questa cultura dell'educazione pubblica è presente in tutte le forze politiche ed è in grado di sopravvivere al susseguirsi delle maggioranze. UNA VIA D'USCITA Vista la cosa in questo modo, però, può manifestarsi anche una via d'uscita alternativa. Sarebbe cosa buona che alcune famiglie si organizzassero in proprio, fuori dallo Stato, per gestire in autonomia il periodo estivo in forma "parentale". Accertata una comune visione cristiana dell'educazione, le famiglie potrebbero programmare la giornata dei propri figli dopo la fine delle lezioni a scuola. A curarsi dei figli potrebbero essere di volta in volta diverse figure: una mamma che non lavora, figli maggiori che possono dedicare qualche ora togliendola allo studio universitario, qualche nonno ancora attivo e propositivo, amici che hanno del tempo libero insieme a delle competenze nel campo educativo. Una specie di "scuola parentale estiva", alla cui espressione però sarebbe meglio togliere la parola scuola, che qui adopero per far capire il concetto di fondo. Non si tratterebbe solo di sostituire un centro estivo parrocchiale o statale con un altro, sarebbe piuttosto un radicale cambiamento di prospettiva, espressivo della consapevolezza di rompere il circolo vizioso: io Stato ti distruggo la famiglia e poi intervengo con le mie strutture in suo aiuto, tu pensa a lavorare che ai tuoi figli ci penso io, anche d'estate. Questa proposta mi sembra interessante anche per un altro motivo. Organizzare una vera e propria scuola parentale è difficoltoso, ma organizzare una custodia educativa dei figli per i tre mesi estivi può essere un obiettivo fattibile. Certo non semplice, ma fattibile sì. Da questa esperienza può consolidarsi la convinzione di un "fai da te" educativo e sussidiario e, chissà!, qualche gruppetto di famiglie potrebbero poi essere incoraggiate a mettere in piedi anche una vera e propria scuola parentale. Intanto riappropriamoci dei figli durante l'estate, poi potremmo passare a riprenderceli anche negli altri nove mesi, non si sa mai.
    5m 13s
  • Fusaro, il turbo-marxista che incanta i cattolici

    12 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7722 FUSARO, IL TURBO-MARXISTA CHE INCANTA I CATTOLICI di Stefano Fontana Il filosofo Diego Fusaro è marxista, anche se di un certo tipo, ed è piuttosto ascoltato tra i cattolici, soprattutto quelli di un certo tipo, che ambiscono alla sua presenza in occasione di presentazioni di libri o di convegni e vedono molte convergenze tra la sua analisi della situazione attuale del mondo e della Chiesa e la visione cattolica. Verrebbe da pensare ad una nuova fase del dialogo tra marxismo e cristianesimo. Negli anni Settanta del secolo scorso questo dialogo tendeva a far convergere i cristiani su posizioni rivoluzionarie, adesso si pensa che sia il neo-marxismo alla Fusaro a convergere verso posizioni cattoliche conservatrici. Fusaro scrive molto ed è anche molto presente nel web e in tv. I suoi interventi vogliono rovesciare le canoniche posizioni della sinistra borghese progressista. Per esempio egli è critico del Sessantotto ("liberazione non dal capitale ma del capitale"); sembra tenere molto alle identità nazionali e rimprovera la sinistra di demonizzare il nazionalismo chiamandolo fascismo; recupera, anche se a suo modo, il concetto di "patria" che invece è inviso al cosmopolitismo della sinistra; si ritiene populista mentre questo termine viene demonizzato dal neosocialismo liberale; parla della comunità come luogo delle "radici etiche" e accusa la sinistra di pensare più agli omosessuali che agli operai; denuncia il nuovo globalismo finanziario delle élites internazionali, è contrario alla cancel culture, al reddito minimo garantito, all'abbandono dei simboli del crocefisso e del presepe e vuole che si torni al concetto di verità... Capita così che molti cattolici che non siano "cattolici democratici", apprezzino e condividano queste sue novità, perfino (o forse soprattutto) quando egli critica la linea di Papa Francesco, valutandola come obbediente alle logiche dei Soros e degli Schwab. Le sue invettive contro il "turbocapitalismo", che elimina le identità e che genera una classe di sconfitti (il "popolo degli abissi") e una di dominanti "demofobi", ossia che odiano il popolo come scrive nel libro Demofobia, sono considerate conformi ad un certo cattolicesimo comunitarista e solidarista. Questo risulta ad una lettura di superfice, ma invero le cose non stanno così. FIGLIO DEL NEMICO CHE VUOLE COMBATTERE La principale contraddizione che si può riscontrare in Fusaro è che egli rimane all'interno della prospettiva di pensiero che intende contrastare. La cosa è evidente anche dal semplice esame dei suoi autori di riferimento. Le citazioni spaziano su un numero infinito di pensatori moderni, ma non c'è dubbio che i maestri di Fusaro siano Hegel, Marx e Gramsci. Soprattutto quest'ultimo al punto che Fusaro si propone come il nuovo Gramsci. Ora, la prospettiva degli autori di riferimento di Fusaro deriva dal modernismo filosofico, ma a quella stessa eredità di pensiero fanno riferimento anche i fenomeni che egli contesta - dal turbocapitalismo all'"open space della società liquida cosmopolitica", come egli scrive. Per questo motivo è lecito sostenere che egli si contraddica e, soprattutto, che non dia vita ad una vera alternativa. A questo proposito, esaminiamo la proposta di Fusaro nella sintetica formulazione datane da lui stesso: "populismo integrale socialista e democratico". L'espressione contiene i tre concetti di popolo, di socialismo e di democrazia che Fusaro accoglie e ripropone nei significati dati loro dalla modernità successiva alla Rivoluzione francese e che quindi contraddicono il significato che la dottrina politica cattolica assegna loro. Il popolo, per lui, è quanto "sta sotto" (ceti medi e classi lavoratrici), in contrapposizione a quanto sta "sopra" (le élite), sicché l'appartenenza al popolo è un dato sociologico e "di classe". Infatti, egli contrappone l'"oligarchismo liberista" e il "populismo socialista". Il popolo di Fusaro manca di due elementi che gli sono invece essenziali per la visione cattolica: avere una base naturale, ossia essere l'insieme di una serie di società naturali e non solo sociologiche, prima di tutto la famiglia, ed essere unito dai fini naturali e, soprattutto, dal fine ultimo. Anche il concetto di "lotta di classe", che Fusaro ripropone nella nuova versione della guerra tra élite e popolo, è estraneo al pensiero sociale cattolico, dato che il bene comune suppone la concordia e non la lotta. Il socialismo e la democrazia radicale vengono poi congiunti tra loro perché questo "popolo degli abissi", secondo Fusaro, deve essere aiutato da un "moderno principe" (ecco che torna prepotente Gramsci) ad esprimere una "volontà collettiva" affinché le diverse domande sociali presenti nel popolo si trasformino in soggettività politica. Le forze eterogenee presenti nel popolo vanno aiutate a transitare verso il "blocco egemonico e storico". Questo darebbe luogo ad una democrazia che Fusaro chiama "radicale" o "compiuta" e che fa tutt'uno con lo Stato sovrano, in modo che populismo e sovranismo coinciderebbero. Come esempi di questo processo, Fusaro indica il movimento 5 Stelle e lo spagnolo Podemos. Mai degli esempi hanno potuto essere così negativamente eloquenti. Egli prefigura quindi un popolo culturalmente egemonizzato da un nuovo socialismo, plasmato culturalmente e guidato da un nuovo "moderno principe" che fa capo ad uno Stato sovrano: tutti concetti, compreso questo di "sovranità", assolutamente alieni dalla dottrina sociale della Chiesa e figli, o nipoti, delle categorie politiche moderne. Del "turbocapitalismo" egli non riesce a spiegare le origini: se lo facesse le troverebbe nello stesso ceppo di pensiero a cui lui stesso attinge. LA FINE DEL CRISTIANESIMO? Tornando alle numerosissime citazioni con cui Fusaro apre ogni capitoletto dei suoi libri, si nota che tutte finiscono per sostenere le sue tesi, anche se ad esprimerle sono autori molto lontani tra loro. Il capitolo del libro La fine del cristianesimo dal titolo "Senza Dio, il nuovo spirito del capitalismo", è introdotto da una frase di Marx ed Engels, come se costoro non avessero contribuito ad un mondo senza Dio ma, al contrario, ne avessero messo in guardia. Quello di Fusaro è una specie di melting-pot delle citazioni, un sincretismo dei riferimenti che si traduce in un accostamento spericolato delle varie filosofie. Secondo lui il "fanatismo economico" del turbocapistalismo si oppone al "comunismo realizzato", all'"etica borghese", alla "lotta di classe planetaria", agli "Stati sovrani nazionali" e... alla "prospettiva religiosa", facendo così di ogni erba un fascio, dato che anche il comunismo realizzato o lo Stato moderno assoluto si oppongono alla prospettiva religiosa. Questo modo di procedere è particolarmente evidente quando Fusaro tratta del cristianesimo nel libro già citato. Alcuni esempi possono essere eloquenti. Dopo aver criticato l'"assalto al cielo" del neocapitalismo che ha ridotto gli uomini ad "atomi disumanizzati", Fusaro affida ad Hegel il compito di spiegare questo fenomeno e di fornire la risposta. Ad Hegel, che è il principale responsabile della riduzione della religione a mondo. Come alternativa all'appiattimento della realtà sull'esistente e all'uomo "resiliente", ossia che si adatta (come da lui illustrato nel libro Odio la resilienza), egli parla di Thomas Müntzer e del millenarismo protestante, di Ernst Bloch e della "corrente calda" del marxismo, e di Gioacchino da Fiore, tutti autori che però hanno storicizzato la trascendenza e, quindi, che hanno contribuito a produrre quell'"attacco al cielo" che Fusaro lamenta. Se ne lamenta da marxista e quindi fa questi errori. Prendendosela con le "logiche adattive" dello spirito di resilienza, Fusaro fa rientrare in questa categoria sia l'empirismo di Locke che il realismo di San Tommaso con la sua visione della verità come adaequatio rispetto alla realtà. Di fatto li appiattisce l'uno sull'altro, mentre stanno ad una distanza siderale. Sono riferimenti confusi che impediscono di distinguere nelle direttive culturali del pensiero moderno il vero e il falso. I pochi autori cristiani citati - manca completamente San Tommaso - finiscono nel tritatutto del fusaro-sincretismo. Nel libro sulla fine del cristianesimo, Fusaro parla molto di Benedetto XVI e di Francesco. Celebra il primo, che avrebbe mantenuto l'alternativa al mondo, e critica il secondo, con il quale la Chiesa sarebbe diventata subalterna al mondo, il cristianesimo si sarebbe auto-neutralizzato, la neo-chiesa sarebbe diventata una succursale del nuovo ordine mondiale, e con il millenarismo green avrebbe obbedito alle istituzioni mondialiste, trasformando i credenti in consumatori. L'attuale situazione "scismatica" è considerata conseguenza di questo "bivio". Da qui il nuovo auspicio: "Il cristianesimo può tornare ad essere rivoluzionario, come lo fu in origine, se saprà organizzarsi come corrente calda di opposizione alla civiltà del nulla, riaffermando la civiltà dell'uomo come imago Dei e della comunità solidale come unità delle creature, nonché l'esigenza di un'attuazione in terra del regno dei cieli". Belle parole, che Fusaro, con un gioco di prestigio, fa risalire - poteva non essere così? - ad Antonio Gramsci. Ma in questo modo alla Chiesa non sarà riservato altro compito che "divenire parte integrante della protesta contro la falsità universale del regime del tecnocapitalismo". Troppo poco per invitare così spesso Fusaro ad eventi cattolici.
    11m 43s
  • Libertà di religione? No, grazie!

    7 FEB 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ hhttps://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7693 LIBERTA' DI RELIGIONE? NO, GRAZIE! di Stefano Fontana Le preposizioni, siano esse semplici o articolate, hanno grande importanza nell'espressione in lingua italiana. Così capita anche per le tre espressioni che riguardano la libertà religiosa nella vita pubblica: libertà di religione, dalla religione, della religione. Esse esprimono tre visioni completamente diverse per cui bisogna fare attenzione, quando si parla di questi argomenti, ad usare bene le preposizioni. 1) LIBERTÀ DI RELIGIONE Questa è la versione liberale della libertà religiosa. Di religione vuol dire di ogni religione e quindi si riconosce a tutte le religioni un eguale diritto ad esprimersi in pubblico, non distinguendo tra di esse nessuna più vera di un'altra. La società diventa così il supermercato delle religioni, con tutti i prodotti religiosi sugli scaffali a disposizione dei singoli cittadini che prenderanno questa o quella. La libertà, qui, è intesa come libertà immotivata di scelta. L'autorità politica tutela solo questa e non fa propria nessuna religione specifica. Essa tutela anche il diritto del cittadino non solo a sceglierne una ma anche a riportarla sullo scaffale quando se ne fosse stancato per prelevarne un'altra. Questa società sembra a prima vista aperta al fatto religioso, ma in realtà è chiusa. Infatti, essa considera le religioni come tutte uguali, ossia come tutte vere e come tutte false nello stesso tempo. Le considera come indifferenti alla vita politica e fuori degli interessi dell'autorità politica. La libertà di religione è in fondo una posizione atea. 2) LIBERTÀ DALLA RELIGIONE Questo modo di intendere il fatto religioso consiste nell'escluderlo completamente dalla vita pubblica, impedendone ogni manifestazione nella pubblica piazza. Ogni religione sarebbe un limite alla libertà umana, sociale e politica, perché introdurrebbe nella vita pubblica degli assoluti, fonte di intolleranza. La libertà è considerata come indipendenza da costrizioni esterne alla coscienza, possibilità di espandere la ricerca razionale senza dover seguire dei dogmi, consapevolezza che esistono sì opinioni in dialogo tra loro ma non verità, le quali bloccherebbero il dialogo. Questa libertà religiosa è quindi ostile alle religioni, esprime un laicismo accentuato e un anticlericalismo appuntito. Inizialmente lo fa per motivi umanistici (difendere l'uomo da Dio come fonte di alienazione) ma poi finisce anche per liberarsi dell'uomo, visto anch'esso come fonte di una nuova religione, seppure non più trascendente. All'umanesimo ateo segue la fine dell'umanesimo. 3) LIBERTÀ DELLA RELIGIONE Questa terza impostazione riconosce che esiste una religio vera, la quale ha diritto alla propria libertà non tanto e non solo in nome di una generica libertà di religione, ma in virtù della propria verità e della sua necessaria presenza nella vita pubblica per garantire al meglio la sanità di vita della politica stessa. La religio vera ha la pretesa di essere unica e indispensabile non solo per la salvezza eterna delle anime ma anche per la costituzione e il mantenimento della vita sociale in armonia con le finalità autentiche dell'essere umano. Essa, in quanto vera, interpella anche la verità della politica, spingendola ad essere politica nel modo migliore. Questo richiede che la politica sia sensibile alla libertà di questa religione, che la protegga anche per garantire sé stessa, e che tolleri a certe condizioni le altre religioni, ma senza porle sul suo stesso piano. Il criterio per valutare la verità delle religioni da parte della politica non sarà un criterio religioso ma di ragione politica ispirata al diritto naturale, ben sapendo, tuttavia, che il custode ultimo anche del diritto naturale è la religio vera e non la politica.
    5m 27s
  • L'ora di religione la fede in balia delle opinioni

    31 JAN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7687 ORA DI RELIGIONE: LA FEDE IN BALIA DELLE OPINIONI di Stefano Fontana In questo periodo dell'anno famiglie e studenti devono scegliere se avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica (IRC). Le diocesi fanno quindi la loro promozione. Talvolta intervengono direttamente i vescovi, altre volte i responsabili degli uffici diocesani e si stampano manifesti che vengono collocati agli ingressi delle chiese parrocchiali. Gli argomenti per convincere sono sempre gli stessi: si esclude che sia un indottrinamento, si precisa che non è catechismo, si conferma che l'approccio deve essere culturale e non confessionale, che il clima è di dialogo, che si vuole dare spazio alle domande dei giovani, che si affronteranno temi di vita concreta, che verrà analizzato il fenomeno religioso in senso lato, che si favorirà una apertura mentale per poter comprendere la storia e la cultura della nazione e così via. Al di là di queste belle parole, l'IRC nella scuola pubblica non è affatto un mondo di rose e fiori. In molti casi gli insegnanti scelgono questa attività in via provvisoria, in attesa di migliori sistemazioni. Qualcuno di loro ha frequentato un Istituto di Scienze Religiose ma molti non hanno una preparazione specifica in campo teologico. La selezione dei docenti avviene da parte del rispettivo ufficio diocesano, che in certi casi procede con criteri poco trasparenti. Il docente, pur se nominato dalla diocesi, deve essere gradito anche al dirigente scolastico, in caso contrario costui può richiederne la rimozione. 1) NON SI PARLA DI RELIGIONE CATTOLICA Ciò crea un certo imbarazzo nel docente che spesso si vede costretto a "compiacere" alle linee educative della dirigenza scolastica della scuola in cui insegna. Il dirigente è avvantaggiato perché le "pratiche", comprese le sostituzioni in caso di assenza, sono a carico della diocesi e non della propria segreteria, ma nello stesso tempo è preoccupato che i docenti in questione non esprimano posizioni di cultura religiosa troppo forti e alternative. Ci sono poi i dirigenti militanti che nell'orario settimanale collocano le ore di religione cattolica nelle posizioni più adatte a disincentivare l'adesione degli studenti. Del resto, con una quarantina di minuti a disposizione alla settimana, togliendo poi le sospensioni o i rimaneggiamenti del calendario per molti motivi, cosa si può riuscire a dire di fondato? Le difficoltà ora accennate non sono comunque le più importanti. Il fatto principale è che alla fine non sembra che l'IRC nella scuola pubblica insegni veramente la religione cattolica. Le ore di questo insegnamento vengono riempite da docenti nel modo più vario. Si parla di tutto e, spesso, senza mai parlare della religione cattolica. Si parla di sessualità e amore, di altre religioni cristiane e non cristiane, di fatti di cronaca, di problematiche morali, di educazione civica, di guerra e pace, di ecologia, di politica, di temi scottanti (sempre quelli) come l'evoluzionismo, le crociate o l'inquisizione, di "nuovi diritti"... Ci sono docenti che preparano un programmino organico, ma altri entrano in classe ed improvvisano, spesso lasciando che gli studenti pongano qualche problema per poi suscitare un dialogo attorno ad esso. Alla varietà dei temi trattati, corrisponde la varietà delle convinzioni teologiche dei docenti che sono cattolici in modo spesso molto diverso tra loro. 2) SI PARLA CONTRO LA RELIGIONE CATTOLICA Va riconosciuto che in molti casi non solo non si parla di religione cattolica, ma si parla anche contro la religione cattolica. I responsabili dei progetti gender nelle scuole statali sono spesso i docenti di religione cattolica, naturalmente senza che l'ufficio diocesano competente abbia nulla da dire. Questo anche perché spesso questi docenti, per avere un "riconoscimento" vero della loro presenza nella scuola, essendo quello di insegnante di religione cattolica piuttosto debole, si impegnano in funzioni di coordinamento didattico. Sta di fatto che non si ha alcuna certezza che questo insegnamento serva alla religione cattolica. Anzi, si può legittimamente temere che, in generale, la danneggi deformandola e adattandola al gradimento degli studenti, riducendola quando va bene ad un confronto di opinioni, una specie di talk-show scolastico. Per essere accettato, l'insegnante di religione deve adattarsi alle campagne per le quali di volta in volta il potere decide di mobilitare gli studenti: ieri la verità per Giulio Regeni, oggi le tesi di Greta Thunberg o il femminicidio. La problematica in questione ha anche a che fare con gli Istituti di Scienze religiose. L'ultimo numero della rivista della Facoltà Teologica del Triveneto Studia Patavina riferisce che in Italia sono circa 10 mila i frequentanti questi Istituti e la maggioranza lo fa in vista dell'IRC nella scuola statale. Se questo insegnamento si riducesse sarebbe un guaio perché gli Istituti di Scienze religiose imploderebbero. Il 10 gennaio scorso il cardinale Zuppi e il ministro Valditara hanno firmato l'accordo per l'immissione in ruolo di cica 6400 insegnanti. La situazione dell'IRC illude la Chiesa italiana di essere efficacemente sul campo quanto a formazione, ma così non è. Essa dipende dallo Stato e dalle ideologie che entrano nella scuola statale. Lo stato di salute di questo insegnamento ci dice che con esso la Chiesa si riduce ad una minoritaria agenzia formativa di una non meglio precisata etica umanisticheggiante. Peccato che non si intravveda alcuna spinta a educare e istruire in proprio.
    6m 1s
  • No al DDL Roccella sulla violenza alle donne

    5 DEC 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7620 NO AL DDL ROCCELLA SULLA VIOLENZA ALLE DONNE di Stefano Fontana Il nostro Osservatorio esprime una valutazione molto negativa del cosiddetto ddl Roccella (dal nome del ministro della famiglia e delle pari opportunità), approvato definitivamente dal Senato nei giorni scorsi e avente ad oggetto "Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica". Sia il governo che il parlamento hanno preferito seguire l'emozione della pubblica opinione costruita ad arte dopo l'omicidio di Giulia, aderendo a una visione della problematica distorta dall'ideologia e approvando delle misure nell'ambito della educazione e della pubblica istruzione decisamente inaccettabili. La maggioranza parlamentare e il si sono adeguati, per carenza di criteri culturali alternativi, alla corrente di pensiero di sinistra e radicale, rumorosa e tendenziosa ma non per questo attendibile. La drammatica e riprovevole vicenda dell'omicidio di una giovane donna, rubricata sotto l'etichetta ideologica di "femminicidio", corrisponde ad una realtà volutamente deformata a cui si sono prestate le maggiori testate giornalistiche e, soprattutto, le televisioni nazionali sia private che statali. Tutti hanno recitato con pressante insistenza e pervasività lo stesso copione. Nelle scuole statali si è iniziata una propaganda a senso unico. Anche il mondo cattolico vi ha ampiamente aderito, se i settimanali diocesani non hanno avuto dubbi a parlare di "violenza di genere", accodandosi alla versione "ufficiale", e se nelle omelie domenicali i sacerdoti hanno ampiamente ripreso questo fatto, dopo aver nascosto invece quello di Indi Gregory. La linea culturale è stata dettata dalla sinistra sociale e dal movimentismo femminista e omosessualista secondo i quali il "femminicidio" è un disastro diffusissimo, le donne sono vittime in quanto donne, essere donna è la più recente delle forme di discriminazione, la colpa è del maschio in quanto tale, questi fatti avvengono prevalentemente in famiglia e tra le mura domestiche, sono in pericolo i diritti delle donne ma anche quelli di ogni "diverso", la rivoluzione femminista e di genere non è ancora finita perché in Italia c'è un rigurgito di "fascismo", di sessismo e di visione patriarcale. Peccato, come dicevo, che il governo e i parlamentari abbiano assunto acriticamente queste invenzioni funzionali a far passare una linea culturale radicale. I fenomeni di uccisione di donne per motivi di relazione con il partner maschio sono molto più limitati di quanto si dice, come ha anche affermato di recente il prefetto di Padova. Il movimentismo sociale di sinistra, femminista e omosessualista, ha compiuto un vero e proprio attacco terroristico alla sede romana di Pro Vita e Famiglia - cui va la nostra solidarietà -, con un atto proditorio che nessuno di quell'area sociale e politica ha condannato. Segno, questo, che c'è una regia dietro questa messa in scena del femminicidio e che la polemica è destinata ad altre finalità. Nell'attuale cultura woke la tesi del femminicidio assume il carattere della condanna del maschio in quanto maschio e del padre in quanto padre e quindi viene finalizzata alla distruzione della famiglia naturale. A questo proposito, i dati delle situazioni rubricate come "femminicidio" dimostrano che si tratta quasi sempre di relazioni più o meno irregolari e disturbate, ma ciononostante l'opinione pubblica viene indotta ad accusare la famiglia in quanto tale, considerandola fonte di violenza in se stessa - anche il titolo della legge parla di "violenza domestica" -, mentre la causa vera è la crisi della famiglia programmata e caparbiamente portata avanti. L'assunzione della donna come simbolo del "diverso" discriminato conduce ad allargare per analogia il discorso ad altri supposti "diversi" come sessuali e transessuali. Le vere situazioni di violenza contro le donne, dall'aborto selettivo all'utero in affitto, non vengono minimamente ricordati. Il ddl Roccella accoglie tutto questo, dato che è impossibile assumere la ratio del "femminicidio" così come oggi viene impostata senza accogliere anche tutti questi suoi effetti collaterali. È molto grave che, su questa base, si sia pensato di dover intervenire nella scuola pubblica con percorsi obbligatori di educazione alle relazioni sentimentali e alla diversità. Molto grave prima di tutto perché è una nuova ingerenza dello Stato in ambiti non di sua competenza, tagliando fuori ancora una volta i genitori e imponendo una educazione che ha tutte le caratteristiche di una ri-educazione ideologica voluta e attuata dal potere centrale. Di tutto abbiamo bisogno ma non di un ulteriore accentramento statalistico, soprattutto in campo educativo. Molto grave, poi, perché questi percorsi di educazione forzata saranno riempiti di contenuti assolutamente negativi, prima di tutto dal punto di vista morale. Data la composizione del corpo insegnante della scuola statale, che coltiva in massima parte una cultura ideologicamente di sinistra, relativista e irreligiosa, è inevitabile che il nuovo insegnamento venga riempito di contenuti diseducativi. Purtroppo, ciò varrà anche per le scuole cattoliche paritarie, integrate come sono nel sistema pubblico di istruzione, le quali non si sottrarranno all'inganno essendo già ora permeate della stessa cultura post-naturale di quelle statali strettamente intese. Chiesa e cattolici in genere non hanno nulla da obiettare, perché dovrebbe obiettare un preside di una scuola cattolica paritaria? Il ddl Roccella è una nuova spinta ad uscire dal sistema mediante la scuola parentale cattolica.
    6m 1s
  • Per essere tutti uguali, si deve togliere la libertà

    7 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7571 PER ESSERE UGUALI, SI DEVE TOGLIERE LA LIBERTA' di Stefano Fontana La Dottrina sociale della Chiesa è a favore dell'uguale dignità degli esseri umani, ma discorda dall'egualitarismo come ideologia, non pensa che tutto debba essere uguale. L'ugualitarismo ideologico è sempre stato una minaccia per l'umanità e per la Chiesa, a cominciare da quell'eritis sicut dii della Genesi: "uguali a Dio". La filosofia classica aveva sempre contrastato questa visione egualitarista, riscontrando nel cosmo una gerarchia di esseri che doveva essere in qualche modo replicata nella vita della Polis. Il Cristianesimo parla della creazione del mondo da parte di Dio come espressione di gloria e di sapienza che sono esaltate dalla diversità degli esseri creati. Dio ama tutte le cose, ma il suo amore è all'origine creativa della loro diversità. Sia nella Chiesa che nella società non tutti sono uguali, i laici sono diversi dai chierici e anche tra i chierici c'è una gerarchia, come del resto tra sudditi e autorità nella vita politica. A richiederlo non è solo l'esigenza di diversità ma anche quella di unità. Sembra che una società di eguali sia più unita, ma così non è, perché manca dell'autorità gerarchica che conferisce unità al tutto, non con la forza del potere ma con l'ordinamento di tutti al bene comune. Il bene comune richiede la diversità, perché non è unico per tutti ma è analogico. Col pensiero moderno le cose cambiano. Gli uomini sono pensati originariamente come uguali nel senso di privi di ordine e di legge, ossia delle cose che differenziano e stabiliscono le gerarchie. Gli uomini sono individui irrelati, delle unità numeriche e come tali sono tutti uguali. Sono anche però disuniti e conflittuali, per cui serve la reductio ad unum, l'unità deve essere imposta. Il primo a dirlo è stato Marsilio da Padova nel suo Defensor Pacis e dopo di lui tutti i proto-pensatori della modernità. Per Rousseau tutti sono uguali sotto la Volontà generale, la disuguaglianza è un prodotto sociale ed egli voleva ripristinare nella società la stessa uguaglianza che c'era nella natura. Hobbes dice che «tutti gli uomini sono uguali per natura. La disuguaglianza ora presente è stata introdotta dalla legge civile». Per il comunismo tutti sono uguali sotto lo Stato/partito. Per la socialdemocrazia tutti devono essere resi uguali mediante la pervasiva presenza del Welfare statale dalla culla alla bara. Tutti sono uguali per la società di massa industriale e soprattutto postindustriale, nella quale le élite spariscono. Oggi si dice che tutti gli orientamenti sessuali sono uguali, che sentirsi maschio o femmina deve essere considerato uguale, che tutti hanno diritto al figlio, l'ecologismo impone comportamenti uguali per tutti, la società del controllo verifica che questi uguali comportamenti vengano veramente rispettati da tutti. Anche nella Chiesa si parla di egualitarismo, sospendendo la differenza tra Chiesa docente e Chiesa discente e quella tra sacerdozio universale e sacerdozio ordinato. Dostoevskij aveva visto bene gli enormi pericoli dell'egualitarismo nel suo libro I demoni: «Là ogni membro della società sorveglia l'altro ed è obbligato alla delazione. Ciascuno appartiene a tutti, tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono tutti uguali. Nei casi estremi c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'eguaglianza. Come prima cosa si abbassa il livello di istruzione, delle scienze e degli ingegni. Un alto livello delle scienze e degli ingegni è accessibile solo alle capacità superiori, ma non occorrono capacità superiori! Gli uomini di capacità superiore si sono sempre impadroniti del potere e sono stati dei despoti. Gli uomini di capacità superiore non possono non essere despoti e hanno sempre pervertito più che non abbiano giovato; essi vengono cacciati o giustiziati. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si bucano gli occhi, Shakespeare viene lapidato».
    4m 54s
  • Giorgio Napolitano, il presidente della repubblica in sintonia con i poteri forti

    26 SEP 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7551 GIORGIO NAPOLITANO, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA IN SINTONIA CON I POTERI FORTI di Stefano Fontana Giorgio Napolitano è stato un valido esempio della transizione del Partito Comunista Italiano dal comunismo delle prime ore, ancora filosovietico nella forma, anche se nella sostanza già imbevuto di togliattismo più che di gramscismo, e il neosocialismo dell'Italia e dell'Europa postmoderne, dall'ideologia evanescente e camaleontica e dalla completa sintonizzazione sulle decisioni dei poteri forti. Siano essi ideologici, economici o politici. Nel 1956 Napolitano esaltava l'invasione dell'Ungheria e difendeva il compito mondialista dell'Unione sovietica, il 20 febbraio 1974 in un articolo su L'Unità egli spiegava perché la cacciata di Aleksandr Solzhenitsyn dall'Urss fosse la «soluzione migliore» che il Partito comunista sovietico potesse adottare... per giungere, in tempi più recenti, ad appoggiare il bombardamento della Libia da parte di Francia e Inghilterra a nome della NATO iniziato il 19 marzo 2011, e architettare dal Quirinale, sempre nello stesso anno, un cambiamento di governo in ottemperanza alle richieste di chi comandava allora, e comanda tuttora, nell'Unione Europea. Il "migliorismo", l'ideologia di cui era sostenitore e principale protagonista nella omonima corrente del Partito Comunista, mostrava essere così una concezione politica cinicamente pragmatistica, in coerenza del resto con la linea di sviluppo dell'adattamento del comunismo all'Occidente democratico e secolarizzato. Pragmatismo e secolarizzazione che guidarono anche la sua azione nel caso di Eluana Englaro, con la quale la sua presidenza si macchiò di un'altra pesante colpa. BOMBARDAMENTI ALLA LIBIA Nella vicenda dei bombardamenti alla Libia è certo che la posizione di Napolitano fosse decisamente favorevole all'intervento, come egli stesso ebbe a dichiarare in seguito, confermando che, invece, almeno in origine, la posizione del presidente del Consiglio Berlusconi era contraria. È anche accertato che, in quei momenti di incertezza politica che caratterizzava tutti i partiti con passi in avanti e repentini ripiegamenti indietro, la posizione di Napolitano fu ferma e decisiva per garantire l'appoggio dell'Italia. Si sa ormai che i motivi per far fuori Gheddafi erano altri rispetto a quelli dichiarati allora, e che erano soprattutto di natura monetaria: la Libia stava lavorando per dar vita ad una moneta non dipendente dal dollaro. Anche nel caso del disarcionamento di Berlusconi dal governo alla fine del 2011 la mano di Napolitano si fece sentire in modo molto pesante e attraverso un piano ben congegnato e perseguito a tappe. Dapprima la borsa enfatizza il famoso scarto con i bond tedeschi, poi il 23 ottobre 2011 la Merkel e Sarkozy sorridono di Berlusconi in pubblico delegittimandone l'immagine internazionale, quindi Napolitano nomina Monti senatore a vita non si sa per quali meriti, e poi spinge Berlusconi, che teme per i riflessi borsistici sulle proprie aziende, alle dimissioni e incarica Monti di formare il nuovo governo. Il migliorismo in questo caso è consistito in un rigido pragmatismo politico, trasformando il ruolo della presidenza della Repubblica a soggetto politico attivo, linea che sarà poi proseguita da Mattarella. ELUANA ENGLARO Nel caso di Eluana Englaro, Napolitano ha avuto la responsabilità di avere aperto la prima significativa porta verso l'eutanasia, quando fece avvertire il Consiglio dei ministri in seduta - cosa assolutamente inusuale - che non avrebbe firmato un decreto legge che impedisse l'esecuzione della giovane come stabilito dai giudici. Si trattava di una minaccia e di un ricatto preventivi e, quindi, di un atto politico. Anche in questo caso l'ideologia migliorista produceva un comportamento crudamente pragmatico. Napolitano è stato il primo presidente della Repubblica ad essere rieletto, come avvenne il 18 aprile 2013. Rimase in carica per due ulteriori anni. La cronaca dice che il motivo è stata la situazione politica molto frammentata a seguito delle elezioni politiche avvenute in quell'anno. Però quella frammentazione politica si rispecchiava nel Presidente rieletto, figli l'una e l'altro di una degenerazione della politica che aveva radici lontane e profonde. Napolitano, nel suo discorso dopo la rielezione, redarguì aspramente i partiti, quegli stessi partiti che egli aveva però delegittimato durante la sua prima presidenza. Non va dimenticato che con la nomina di Monti alla presidenza del Consiglio nel 2011, inizia la storia dei leader governativi non eletti, ma decisi dal presidente della Repubblica. Dalla situazione di caos politico di allora emerse Letta, subito messo da parte però dallo stesso Napolitano che ad un certo punto gli preferì Renzi. Dietro al famoso "Enrico, stai sereno!" c'era Napolitano. Mercoledì 20 settembre, durante l'udienza in Vaticano, papa Francesco ha invitato a pregare per Giorgio Napolitano. Nel febbraio 2016 il pontefice aveva espresso una sorprendente, e per molti irritante, valutazione del suo operato politico. Aveva annoverato Re Giorgio tra "i grandi d'Italia" insieme ad Emma Bonino. In particolare egli si riferiva all'accettazione della rielezione, «quando ha accettato per la seconda volta, a quell'età, e sebbene per un periodo limitato, di assumersi un incarico di quel peso, l'ho chiamato e gli ho detto che era un gesto di eroicità patriottica». Sulla preghiera siamo d'accordo. Su questa valutazione politica no.
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  • Libertà di religione e doveri politici

    26 SEP 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4153 LIBERTA' DI RELIGIONE E DOVERI POLITICI VERSO LA VERA RELIGIONE di Stefano Fontana Oggi la libertà di religione viene intesa nel seguente modo. L'uomo si trova davanti alle varie religioni, compresi l'agnosticismo o l'ateismo, e può scegliere l'una o l'altra. Il potere politico deve garantire questa sua libertà di scelta e questo lo può fare solo rimanendo indifferente a quale scelta venga fatta. L'individuo ha un libero arbitrio che precede la scelta di una religione o di un'altra e questo libero arbitrio è quanto la legge e il potere politico devono garantire. Non si garantisce una scelta ma la libertà di scegliere. La libertà di religione è intesa come la possibilità di scegliere, e poi di professare, liberamente la religione scelta. Il potere politico è quindi agnostico verso la religione e le religioni, non entra nel merito, non la considera una dimensione a se confacente. Il motivo per sostenere questo, di solito, è il principio di laicità al quale dovrebbe attenersi il potere politico. Se esso distinguesse tra religione e religione eserciterebbe una specie di protettorato per l'una o per l'altra. PERCHÉ QUESTA CONCEZIONE È SBAGLIATA Questa concezione è sbagliata. In questo modo, la libertà di scelta è indifferente al contenuto di verità delle varie religioni. Se viene pubblicamente riconosciuta all'individuo la possibilità di scegliere ogni religione, vuol dire che non c'è una religione più vera di altre né una religione che contenga degli errori pericolosi per l'uomo e per la società. Ognuna potrebbe essere sia vera che falsa. [...] Così facendo, sia il singolo individuo che il potere politico accettano di non avere dei criteri razionali di verità per valutare le religioni. Questo significa che o le religioni non sono soggette a criteri di verità o che l'individuo e il potere politico pensano che la ragione sia così debole da non capire se una religione è più vera di un'altra. È evidente che, in ambedue i casi, c'è una separazione tra ragione e religione. Ecco allora perché questa versione della libertà di religione non può essere accettata. Essa implica la separazione tra libertà e verità (delle religioni) e tra ragione e religione. Una simile separazione non può essere accettata né dalla ragione né dalla religione (cattolica). LIBERTÀ E VERITÀ Concentriamoci ora sulla concezione di libertà che sta alla base della visione della libertà di religione che abbiamo appena visto. Si deve distinguere tra libero arbitrio e libertà. Il primo è la pura capacità di scegliere, la seconda è l'esercizio della scelta secondo il bene. Fare il male comporta la perdita della propria libertà. Il libero arbitrio è una pura capacità di scelta e, quindi, è moralmente non significativo e assolutamente astratto. La libertà vera si ha nella scelta fatta secondo il bene; la schiavitù vera consiste nella scelta del male. San Paolo o Socrate in carcere erano liberi, un terrorista o uno stupratore fuori dal carcere non sono liberi. L'esistenza di una libertà precedente il bene e il male è l'idea della modernità, ma non è l'idea cristiana. Si tratta di una libertà astratta, vuota e assoluta, che diventa essa stessa giudizio del bene e del male. Se una cosa non è scelta liberamente è male, una cosa scelta liberamente è bene solo per il fatto di essere scelta liberamente. In questo caso Maria Santissima non sarebbe stata libera, dato che libertà era già tutt'uno con la verità. Invece la libertà è resa tale non solo dallo scegliere ma anche dalla scelta: essa ha a che fare fin da subito con la verità. Non può quindi esistere una libertà di scelta indifferente alla verità di quanto viene scelto. Ciò avviene anche nel caso della scelta della religione. Quando si sceglie una religione si compie un atto di libertà connesso fin da subito con il problema della verità. La verità delle religioni che si scelgono assume così un'importanza fondamentale per la vera libertà della scelta. La verità vi farà liberi. LIBERTÀ DI RELIGIONE E LEGGE MORALE E NATURALE Una evidente dimostrazione di questo è la possibilità di scegliere religioni che contraddicono principi di legge morale naturale. Una religione che richiedesse di sacrificare esseri umani agli dèi, l'uccisione degli infedeli, le mutilazioni genitali, oppure che impedisse le trasfusioni di sangue per motivi di salute, o subordinasse la donna all'uomo, che prevedesse il diritto del marito di stuprare la moglie, che imponesse forme di governo teocratiche, che prevedesse la prostituzione sacra oppure il plagio delle menti degli adepti, oppure i matrimoni combinati con bambine, oppure la poligamia o la poliandria o che ritenesse lecita l'omosessualità, oppure che prevedesse percorsi di spersonalizzazione... non rispetterebbe la legge morale naturale. Queste religioni conterebbero elementi di falsità e non di verità, di male e non di bene. Chi le scegliesse perderebbe (liberamente) la propria libertà. Il potere politico non può allora porsi come indifferente rispetto alla varie religioni, ma deve esaminarle alla luce della ragione pubblica e dell'autentico bene comune. Non può allora ammettere un indiscriminato diritto alla libertà di religione. Ci sono religioni - oppure aspetti di alcune religioni - che non hanno diritto a essere professate in pubblico. Certo che, per fare questo, bisognerebbe che il potere politico non avesse rinunciato, come purtroppo ha fatto, all'idea che la ragione politica possa conoscere il bene comune. L'indiscriminata tolleranza per tutte le religioni è figlia della debolezza della ragione in generale e della ragione politica in particolare. Ma non si creda che ciò non dipenda anche dall'aver smesso di pensare pubblicamente che possa esistere una religione vera. La politica è incapace di concepire un bene comune che faccia da criterio di valutazione delle religioni perché ha perso di vista il suo rapporto con la religione vera. Questo è un punto su cui torneremo: il rapporto con la religione vera permette alla ragione di valutare razionalmente la verità delle religioni. IL SILLABO Si capisce da quanto detto che la visione preconciliare del Sillabo aveva le sue legittime motivazioni. Il bene comune della società umana implicava il rispetto della legge morale naturale. Elementi di legge morale naturale ci sono più o meno in tutte le religioni ma solo la religione cattolica la garantisce completamente. Inoltre la legge morale naturale, che in linea di principio è accessibile anche alla retta ragione, di fatto ha bisogno della religione cattolica sia per essere adeguatamente conosciuta sia per essere adeguatamente rispettata. Per questo fa parte del bene comune non solo la legge morale naturale ma anche la religione cattolica, senza della quale anche i vincoli della legge morale naturale vengono meno. Papa Francesco ha scritto nella Evangelii Gaudium che c'è un diritto a conoscere il Vangelo. Dogmi cattolici hanno fatto la storia e le eresie avrebbero distrutto la società. Ecco perché lo Stato riteneva di dover proteggere la religione cattolica e impedire le altre religioni. I ragionamenti ora visti sono stati condotti dal punto di vista della ragione politica. Dal punto di vista della religione cattolica si deve aggiungere che la vita sociale e politica non è indifferente alla salvezza eterna delle anime. Certamente lo Stato non è la Chiesa e anche San Tommaso diceva che non si devono impedire per legge se non i peccati più gravi. Ma è evidente che l'organizzazione della vita terrena può impedire gravemente la salvezza delle anime. Tale vita terrena non ha solo un significato strumentale verso quella eterna, ha anche una sua propria dignità dovuta alla creazione, eppure, dentro l'unicità della vocazione alla salvezza, gioca un ruolo fondamentale per la salvezza o la perdizione. Faccio notare che tutti i concetti ora visti sono rimasti perfettamente tali nel magistero successivo e odierno: che esista una legge morale naturale, che tale legge morale naturale abbia bisogno della religione cristiana, che non esista un ordine naturale completamente autonomo rispetto a Dio, che la religione cristiana abbia la pretesa di essere la religione vera, che del bene comune faccia parte la religione vera, che le persone e le società (per gli Stati vedremo poi) abbiano dei doveri verso l'unica vera religione è considerato dottrina anche oggi. In altre parole la regalità sociale di Cristo è tuttora dottrina della Chiesa. [...] CONCLUSIONE Per paradossale che possa sembrare, è solo il rapporto privilegiato tra ragione politica e fede cattolica che garantisce la vera libertà di religione a tutte le religioni. La fine dello Stato confessionale, la deriva violenta più che garantista dell'indifferentismo religioso, la grave intolleranza praticata da chi pretende di essere tollerante ma non tollera chi pensa che non tutto si possa tollerare
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  • Dottrina sociale della Chiesa: l'eredità tradita di Leone XIII

    20 JUN 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7452 DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: L'EREDITA' TRADITA DI LEONE XIII di Stefano Fontana In questo 2023 ricorrono i 120 anni dalla morte di papa Leone XIII, avvenuta il 20 luglio 1903. Gli anniversari sono sempre occasione di bilanci. In questo caso il bilancio riguarda il fondatore della Dottrina sociale della Chiesa nell'epoca moderna, non solo per la Rerum novarum ma anche per il coro di altre otto encicliche che fanno da cornice a quella sulla questione operaia e che Leone XIII stesso elencò nell'enciclica Annum ingressi nel 1902, ad un anno dalla sua morte. Il numero ora in uscita del "Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa" le presenta una per una sotto il titolo generale "Il progetto sociale di Leone XIII". Siamo rimasti fedeli a quel quadro di riferimento, almeno negli aspetti sostanziali? Alla base del suo approccio alla questione sociale stava l'enciclica Aeterni Patris (1879) che riproponeva la filosofia del realismo tomista in contrapposizione alle filosofie del tempo, soprattutto il positivismo materialista, invitando tutte le scuole cattoliche a farla propria nell'educazione. E oggi? Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI i punti fondamentali di quel quadro filosofico sono stati sostanzialmente conservati, dato che è stato mantenuto il rapporto tradizionale tra la ragione e la fede. Più di recente, invece, il magistero ecclesiastico sembra essersi allontanato da quei presupposti filosofici, assumendo una razionalità incentrata sull'esistenza e la storia. Su questo punto, di Leone XIII è rimasto veramente poco o nulla. L'ENCICLICA SULLA MASSONERIA Papa Pecci aveva scritto ben quattro encicliche e tre lettere apostoliche sulla massoneria, la più nota delle quali è stata la Humanum genus (1884). La massoneria veniva da lui considerata come relativista, libertaria, naturalista e diabolica. Oggi la Chiesa sembra aver cambiato rotta. Soprattutto dopo la famosa lettera del cardinale Gianfranco Ravasi ai "fratelli massoni" del 14 febbraio 2016. Non si può però dire che la natura e gli obiettivi della massoneria siano nel frattempo cambiati, né che si siano addolciti. Ancora oggi essa lavora per una religione universale dell'umanità priva di dogmi e combatte la Chiesa sia dall'esterno che dall'interno. Anche su questo punto il cambiamento è ben evidente. Leone XIII aveva rivendicato per la Chiesa il diritto ad una autorità originaria ed esclusiva su alcune materie, come la legislazione sul matrimonio e l'educazione. Secondo la Arcanum divinae sapientiae (1880), il matrimonio doveva e poteva essere solo religioso, perché, una volta sganciato da quel fondamento soprannaturale, si sarebbe via via degradato anche sul piano civile, come infatti abbiamo visto accadere. Quanto all'educazione, il papa sosteneva che la Chiesa avesse una funzione "sopraeminente", come disse poi anche Pio XI, in quanto incarnante una "maternità soprannaturale", di ordinare l'educazione dei bambini e dei giovani alla religione vera, che avrebbe garantito anche la ragione vera. Quindi nessun monopolio sovranista dello Stato in materia di matrimonio e di scuola. Oggi siamo lontanissimi da queste posizioni e non solo i laici ma anche i cattolici considerano giusto e naturale che il matrimonio e la scuola siano governati dello Stato. Anche qui nessuna continuità. Leone XIII pensava e insegnava nelle sue encicliche sociali che l'autorità viene da Dio e non dal popolo sovrano. Non negava in modo assoluto la democrazia, ma pensava che un potere sovrano, come è anche quello del popolo e non solo quello dei despoti assoluti, fosse inaccettabile e molto pericoloso. Chi è sovrano non dipende da altri sopra di sé, quindi può fare quello che vuole. E infatti oggi il popolo delle democrazie moderne fa quello che vuole (o si illude di farlo). Agli occhi di Leone XIII, ma anche di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la nostra democrazia attuale ha molti aspetti totalitari. Se l'autorità viene da Dio, allora il potere politico non è indipendente e autosufficiente, ha bisogno di porsi in relazione con la religione vera. Ma oggi questo principio è ampiamente abbandonato. OBBEDIRE A DIO PIUTTOSTO CHE AGLI UOMINI A proposito di religione vera ... Leone XIII non pensava che tutte le religioni avessero la stessa capacità di fondare e animare, pur rispettandone la legittima autonomia, la società e la politica, ma che questo scopo potesse essere agevolmente e proficuamente raggiunto solo dalla religione cattolica. Con variazioni e qualche problema lasciato aperto, anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si attennero sostanzialmente a questo criterio. Oggi, invece, la Chiesa, per rispetto del principio dalla libertà di religione su cui Leone XIII avrebbe diverse perplessità, assegna a tutte le religioni la stessa capacità di animare e guidare la società civile, facendosi paladina dell'indifferentismo religioso, o al massimo del dialogo pubblico tra tutte le fedi. La distanza rispetto a Leone XIII qui è molto grande. Nell'enciclica Sapientiae christianae (1890), Leone XIII sosteneva che i primi tre doveri del cittadino cristiano nella società fossero i seguenti: è necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini; difendere la fede cristiana; obbedire ai pastori e alla Chiesa. Giovanni Paolo II ancora si atteneva - con le debite varianti - a queste indicazioni, dato che riteneva essere la Dottrina sociale della Chiesa un "annuncio di Cristo nelle realtà temporali", ma oggi questi doveri sono posti dopo altri e addirittura sono taciuti o eliminati. La talpa della secolarizzazione ha ben fatto il suo lavoro sotterraneo. Che dire allora a 120 anni dalla morte di Leone XIII? Limitiamoci a dire questo: bisognerà insistere col darsi da fare per capire quello che è avvenuto nel frattempo.
    8m 33s
  • Muore Berlusconi a 86 anni, tra meriti politici e limiti culturali

    13 JUN 2023 · VIDEO: I processi di Berlusconi ➜ https://www.youtube.com/watch?v=mynoOO-QI6M TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7442 MUORE BERLUSCONI A 86 ANNI, TRA MERITI POLITICI E LIMITI CULTURALI di Stefano Fontana Non è cosa facile, ma vorrei ugualmente tentare una valutazione della presenza nell'arena politica di Silvio Berlusconi, presenza durata un trentennio, senza mescolare troppo le vicende private con quelle pubbliche. Non è cosa facile, perché all'origine di ambedue c'è la stessa personalità esuberante che, in fondo, non ha mai distinto tra i due piani, e i fatti privati sono diventati automaticamente pubblici certamente per la speculazione degli oppositori ma anche per volontà dell'interessato. Tuttavia, rimane possibile fare una disamina dell'influenza di Berlusconi sulla politica italiana, ponendo l'accento su quest'ultima piuttosto che sulle serate nella villa di Arcore. Quando, nel 1993, Berlusconi decise di "scendere in campo" eravamo nel pieno dell'inchiesta/manovra di Mani Pulite che aveva travolto la Democrazia cristiana e il Partito socialista, ma non il Partito comunista italiano. Secondo logica sarebbe dovuto accadere il contrario. In quegli anni il comunismo sovietico crollava, ma a subirne le conseguenze negative non erano i comunisti italiani ma i loro storici oppositori: democristiani e socialisti craxiani. Questo perché l'inchiesta del pool di Milano era condotta a senso unico. Era infatti un disegno politico. In quella situazione, con le barriere anti-sinistra divelte e con il Partito comunista di Occhetto pronto a schierare la propria macchina da guerra elettorale, Berlusconi ha riempito un vuoto e svolto un ruolo storico. Gli va anche riconosciuto il merito di aver sdoganato la Lega di Bossi e il MSI di Fini, che poi divenne Alleanza Nazionale, anche se in seguito dovette pagare cara questa alleanza, sia col "ribaltone" di Bossi sia con i continui ricatti di Follini (Udc) e Fini che indebolirono i governi da lui presieduti. IL PROCESSO INNESCATO DA BERLUSCONI Ai meriti di Berlusconi in questa prima fase della sua presenza pubblica va anche aggiunto un utile movimentismo culturale che egli riuscì allora a creare in Italia, nel tentativo di rompere l'egemonia della sinistra. Nacquero nuove riviste, come "Ideazione", la rivista culturale di Forza Italia, e "Liberal" che, diretta da Ferdinando Adornato, esprimeva le idee di un pensiero liberale equilibrato e responsabile, utile antidoto al pensiero liberal della sinistra. Nacque Magna Charta di Pera e Quagliarello e capitò anche che Antonio Socci creasse in TV il suo programma "Excalibur" ove si parlò perfino di apparizione mariane. Gli intellettuali di corte rimanevano dall'altra parte, e anzi deridevano la presunta sprovvedutezza culturale del produttore di programmi televisivi come "Drive In", però intellettuali come il già citato Marcello Pera poterono esprimere in pubblico una voce nuova. Dopo quella fase iniziale, però, il processo innescato da Berlusconi si affievolì fino ad arenarsi. Egli si riferiva ad un elettorale moderato, quello della vecchia Democrazia cristiana, oltre che dei socialisti non massimalisti. L'elettorato del partito cattolico, tuttavia, soprattutto nella fase della segreteria di De Mita negli anni Ottanta, aveva subito un accentuato processo di secolarizzazione. Quella di Berlusconi era una proposta scolorita sul piano dei valori, che corrispondeva a quello che quell'elettorato moderato pensava sul piano dell'etica pubblica. Il moderatismo politico era figlio di un moderatismo culturale che non lasciava spazio ad impennate sui principi. Non ricordo battaglie decise e convinte di Berlusconi sui temi di frontiera etica che proprio allora stavano emergendo. Nel caso Englaro, alla fine, egli decise di non approvare il decreto legge necessario per bloccare la sentenza di morte. Napolitano aveva impropriamente avvertito il Consiglio dei ministri in seduta che non avrebbe firmato quel decreto. Berlusconi doveva e poteva farlo approvare lo stesso, ma non lo fece. Forza Italia e i governi Berlusconi non fecero mai nessuna battaglia né culturale né politica nel settore della vita e della famiglia. Da moderati, cercarono al massimo di moderare. Ma i tempi richiedevano ben altro. BERLUSCONI E I CATTOLICI Nei confronti dei cattolici e del mondo cattolico in genere, Silvio Berlusconi rappresentò una pietra di inciampo. Dopo il fallimento del Partito popolare di Zaccagnini, i cattolici si divisero in due parti contrapposte. Quelli che, come Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, scelsero di collaborare con lui, e quelli della sinistra cristiana che lo odiavano politicamente. Egli era visto come un pericolo della democrazia, come il prevalere del privato sul pubblico, come l'ostacolo principale all'incontro storico tra cattolici e comunisti che da Franco Rodano in poi molti non avevano mai smesso di perseguire. Comunione e Liberazione lo appoggiò, ma Don Giuseppe Dossetti scrisse il suo pamphlet "Quanto resta della notte", Scalfaro si incaricò, da presidente della Repubblica, di tenerlo a bada, Francesco Saverio Borrelli invitò a "resistere, resistere, resistere!", Romano Prodi scese in campo contro di lui quale rappresentante del dossettismo della sinistra cattolica come se si trattasse dello scontro tra morte e vita. Del resto, già anni prima, Sergio Mattarella ed altri ministri della sinistra DC si erano dimessi per protesta contro la concessione delle licenze TV a Mediaset, paventando una dittatura mediatica. Pietro Scoppola, nel libro "La nuova cristianità perduta" aveva accusato le TV di Berlusconi di essere state la prima causa della secolarizzazione del popolo italiano, secolarizzazione che avrebbe addirittura resa obsoleta la "nuova cristianità" di Jacques Maritain. Il moderatismo etico-politico di Berlusconi, il suo liberalismo di convenienza, combattivo ma sempre rispettoso del sistema, ebbe un guizzo di fortuna in un primo momento, ma in seguito mancò di prospettiva, come è evidente anche dal fatto che non sia riuscito a creare una classe dirigente all'altezza dei compiti che egli stesso si proponeva. Portare in politica i propri protetti poteva avere una giustificazione nell'emergenza dell'inizio, ma poi non più. Per questo possiamo dire che non esista una vera e propria eredità di Berlusconi in politica, per due motivi: l'identificazione tra pubblico e privato e la debolezza di un liberalismo moderato della convenienza nel mentre la politica diventava l'arena di scontri radicali sempre più accesi sul piano dei valori. Nota di BastaBugie: Ruben Razzante nell'articolo seguente dal titolo "Berlusconi, c'è stata anche persecuzione giudiziaria" parla dei processi, anche mediatici, a Silvio Berlusconi, spesso sfociati nel nulla. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 giugno 2023: La morte di Silvio Berlusconi per tante ragioni è un evento epocale. Per giorni i media parleranno prevalentemente della scomparsa dell'ex premier, che ha segnato la storia italiana in tanti campi, da quello imprenditoriale a quello politico, da quello calcistico a quello dei costumi e dell'informazione. Tra gli aspetti più controversi della sua figura c'è il rapporto con la giustizia. Dal 1993, anno della sua discesa in campo, è iniziata tra Silvio e alcune procure, in particolare quella di Milano, una guerra senza esclusione di colpi, che ha condizionato profondamente le dinamiche politiche nazionali, alterando e turbando l'equilibrio tra i poteri. Di quel giustizialismo, che ha alimentato per anni un cortocircuito tra giustizia e informazione, di cui Berlusconi è stato il principale bersaglio, restano solo macerie. Una parte politica, la sinistra, ha sperato per anni di beneficiare delle disgrazie giudiziarie dell'eterno rivale, ma quasi mai ci è riuscita, anzi il clima giustizialista che ha dominato la scena politica italiana negli anni del berlusconismo ha prodotto solo livore, cattiveria e odio sociale. Ci si chiede se non sia esagerata l'espressione «persecuzione giudiziaria» applicata a Silvio Berlusconi. Probabilmente non lo è, perché l'accanimento nei suoi confronti da parte di settori altamente politicizzati della magistratura ha raggiunto livelli di guardia per molti anni, ispirando inchieste pretestuose che hanno inciso sulle casse del già dissestato pianeta giustizia e che abbiamo pagato tutti quanti noi cittadini di tasca nostra. Fiumi di denaro pubblico sono stati utilizzati per combattere battaglie di natura politica spesso sfociate in nulla, anzi paradossalmente servite a far apparire Berlusconi come un martire anche quando forse non lo era. Circa 30 anni di procedimenti che hanno visto implicato il leader di Forza Italia e più di un centinaio di avvocati che hanno lavorato per Berlusconi e le sue società. Decine di processi e più di 4.000 udienze per tentare di incastrarlo perfino sulle sue amicizie femminili. Ma si era capita subito l'aria che tirava quando entrò in politica. Già il 22 novembre 1994, pochi mesi dopo il suo trionfo elettorale del 27 marzo 1994, mentre presiedeva come presidente del Consiglio a Napoli il vertice Onu sulla criminalità transnazionale, a Silvio Berlusconi fu notificato dal pool di Mani Pulite un a
    17m 3s
Approfondimenti del professore Stefano Fontana, direttore dell'Osservatorio internazionale Card. Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, con particolare riguardo ai principi non negoziabili (vita, famiglia, libertà di educazione)
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