Settings
Light Theme
Dark Theme
Podcast Cover

Luisella Scrosati - BastaBugie.it

  • Papi e antipapi, sede vacante e papa legittimo (4° parte)

    24 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7775 PAPI E ANTIPAPI, SEDE VACANTE E PAPA LEGITTIMO (4° e ultima parte) di Luisella Scrosati Dedichiamo un'ultima riflessione alla questione relativa alla legittimità del papa riconosciuto universalmente e pacificamente dalla Chiesa come fatto dogmatico (per gli articoli precedenti, clicca qui), affrontando le due principali obiezioni che normalmente vengono sollevate. Prima di tutto ricordiamo che i fatti dogmatici - tra i quali rientra la legittimità del pontefice riconosciuto universalmente - fanno parte delle verità connesse alla Rivelazione (per necessità storica); il che, in concreto, significa che la loro negazione finirebbe per contraddire uno o più punti della medesima Rivelazione. I fatti dogmatici devono pertanto essere tenuti in modo definitivo, non ipotetico (potrebbe essere così) o condizionale (sarebbe così, ma solo a condizione che). Il papa, una volta che ha ricevuto l'accettazione della Chiesa universale, è papa, qualunque contestazione si possa avere a riguardo. 1) IL DISSENSO DI UN GRUPPO Una prima obiezione frequentemente sollevata contesta il senso dell’"accettazione universale", ritenendo che il dissenso di un gruppo, più o meno esteso, di fedeli e chierici, sia sufficiente per affermare la non universalità di tale accettazione. In sostanza, l'universalità dovrebbe essere intesa come una totalità matematica da parte dei battezzati. Occorre rilevare che, se così fosse, non si raggiungerebbe quasi mai la certezza della legittimità del papa, perché sarebbe sufficiente qualsiasi dissenso di un gruppo, dovuto a ragioni più o meno plausibili, per lasciare nell'incertezza la Chiesa universale. Questa incertezza si riverserebbe sugli atti del sommo pontefice, così che sarebbe sempre possibile rifiutare una definizione dogmatica o un insegnamento definitivo a motivo del fatto che la legittimità di tale papa era stata contestata da quel gruppo di fedeli e/o chierici. Ma c'è una ragione più profonda che fa comprendere che il dissenso di fedeli e chierici non sia sufficiente ad inficiare l'universalità richiesta: quando si parla di "Chiesa universale" si intende non la semplice comunità dei battezzati - concezione protestante dell'Ecclesia -, ma la comunità dei battezzati uniti ai loro legittimi pastori, i vescovi. Se dunque i vescovi, nella loro universalità, riconoscono Tizio come vero papa, i fedeli sono tenuti ad aderire a questo insegnamento. L'ipotesi che tutti i vescovi si ingannino sulla legittimità del pontefice comporterebbe infatti una defezione di tutta la Chiesa docente su un fatto dogmatico e sul riconoscimento di chi è il Capo visibile della Chiesa, il che sarebbe una contraddizione diretta dell'infallibilità della Chiesa. Ma anche della sua indefettibilità, perché la Chiesa non può rimanere senza Capo, se non per quel tempo di sede vacante necessario per eleggere un nuovo pontefice. Verrebbe altresì meno la nota dell'unità della Chiesa, che è una delle quattro note professate nel Credo, perché ci troveremmo nella situazione in cui la Chiesa, vescovi e fedeli loro sottomessi, sarebbe separata dal suo Capo. Va da sé che, quando parliamo dell'insieme dei vescovi, intendiamo quanti hanno ricevuto una giurisdizione dal sommo pontefice e sono dunque in comunione con la Chiesa: non è sufficiente infatti l'ordinazione episcopale per fare di un sacerdote un vescovo. 2) SOLO A CONDIZIONE CHE... La seconda obiezione riguarderebbe la condizionalità dell'accettazione pacifica universale, posizione che potremmo riassumere in questo modo: la dottrina sull'accettazione è valida, ma solo a condizione che...; oppure: è valida, ma non si applica a questo caso di pontefice universalmente accettato. Dunque vi sarebbero condizioni "aggiuntive" perché si possa ritenere questa dottrina nel caso concreto del papa Tizio. Per esempio, che siano state osservate tutte le norme dell'elezione del papa (dal 22 febbraio 1996 indicate nella Universi Dominici Gregis); o a condizione che il papa scelto dai cardinali non fosse eretico prima della sua elezione; o ancora, a condizione che il papa eletto non fosse iscritto alla Massoneria o ad altre associazioni proibite dalla Chiesa, per le quali si incorrerebbe nella scomunica; a condizione che la rinuncia di un eventuale papa dimissionario sia valida. Si potrebbero aggiungere ulteriori argomenti condizionali, ma non serve a molto, perché le pur diverse condizionalità hanno in comune questa logica: occorre verificare che certe condizioni si siano verificate per poter ritenere applicabile al presunto papa in questione la dottrina sull'accettazione pacifica universale. Detto in altro modo: l'insegnamento sulla legittimità del papa non si applicherebbe a questo singolo caso, perché, in questo caso, non si sono verificate certe condizioni. Ora, il punto è che l'unico caso in cui non si applica la dottrina sull'accettazione pacifica universale è che... non vi è stata un'accettazione pacifica universale! Ossia quando vi sono stati dei vescovi che hanno contestato quella specifica elezione, per delle precise ragioni legate alle condizioni previe del soggetto eletto o alle modalità dell'elezione: eresia, scisma, scomunica, incapacità mentale del candidato, simonia, brogli, costrizione nell'elezione, e così via. Quando invece i vescovi (secondo Giovanni di San Tommaso, basterebbero i cardinali elettori) hanno universalmente riconosciuto Tizio come papa, allora, in virtù del fatto dogmatico, si ha la certezza che Tizio sia papa, a prescindere dal fatto che possa rivelarsi un pessimo papa e, soprattutto, a prescindere che si siano risolti eventuali dubbi sulla sua persona, sull'elezione e quant'altro. Perché il punto chiave dell'accettazione pacifica universale è proprio questo: poiché è impossibile che la Chiesa erri nell'unirsi a un Capo fasullo (per le ragioni dette sopra), dunque il papa riconosciuto universalmente è il Capo della Chiesa. La maggioranza dei teologi che trattano della questione ritiene che questa accettazione sia la prova che tutte le condizioni di validità, su cui si potrebbero sollevare dubbi, si sono di fatto verificate; altri si spingono ad affermare una sorta di eventuale sanatio in radice di eventuali deficienze; ma a noi interessa che tutti concordino con il fatto che l'accettazione universale è la garanzia che Tizio è papa. Guardando nuovamente la questione da un altro punto di vista, possiamo dire che chi ritiene che, in questo caso specifico, il pontefice riconosciuto universalmente non è in realtà papa, per qualsivoglia ragione, non ha compreso il senso del fatto dogmatico. Sarebbe come colui che, di fronte ad un pronunciamento ex cathedra, mettesse in dubbio il dogma proclamato perché, a torto o a ragione, le argomentazioni addotte risulterebbero insufficienti o errate, oppure non limpido l'iter per giungere a tale pronunciamento. L'adesione di fede, in questo caso, viene data in ragione dell'infallibilità petrina, mentre, nel caso dell'accettazione universale, in ragione dell'infallibilità della Chiesa. Dunque aveva ragione Martino V: l'accettazione di questo concreto papa, riconosciuto universalmente dalla Chiesa, non è solo una questione disciplinare, ma di fede. La Chiesa universale non può errare nell'unirsi al suo Capo visibile (unità della Chiesa), né la Chiesa può rimanere priva di lui (indefettibilità), né la Chiesa gerarchica può errare nell'insegnare che Tizio sia papa (infallibilità): l'adesione universale dei vescovi è un segno infallibile della legittimità del sommo pontefice.
    9m 46s
  • Papi e antipapi, sede vacante e papa legittimo (3° parte)

    9 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7754 PAPI E ANTIPAPI, SEDE VACANTE E PAPA LEGITTIMO (3° parte) di Luisella Scrosati Ripartiamo da Martino V. Nella contesa con i lollardi e gli ussiti, il papa aveva richiesto, come requisito per la confessione integrale della fede cattolica, che essi riconoscessero il papa legittimamente eletto, più precisamente quel papa riconosciuto universalmente e pacificamente dalla Chiesa. Il grande teologo domenicano, Giovanni di San Tommaso (1589-1644), ha ripreso questo aspetto, sostenendo appunto che sia di fede il riconoscimento che questo preciso uomo "x", riconosciuto dalla Chiesa come papa, sia effettivamente il papa. Non si tratta di una tesi teologica, ma effettivamente di una verità strettamente legata alla fede; più tecnicamente rientra in quella categoria che teologicamente viene denominata "fatti dogmatici". Cerchiamo di capire di cosa si tratta. Nell'articolazione della nostra adesione di fede alla dottrina insegnata dalla Chiesa, la Professio fidei del 1989 indica tre macro-categorie: l'adesione agli articoli del Credo e agli altri dogmi che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelati; l'adesione a tutto ciò che la Chiesa insegna in modo definitivo; infine l'ossequio dovuto all'insegnamento autentico. Nella seconda categoria, troviamo tutte quelle verità che, pur non essendo direttamente contenute nella Rivelazione, sono tuttavia connesse con essa. Ora, questo tipo di connessione può essere duplice: logica o storica. Un esempio piuttosto chiaro del primo caso è la condanna dell'eutanasia, che è logicamente connessa al divieto rivelato di non uccidere l'innocente. Quanto alle verità connesse storicamente alla Rivelazione, esse comprendono proprio i fatti dogmatici di cui abbiamo parlato sopra; la Nota dottrinale (1998) della Congregazione per la Dottrina della Fede ne riporta alcuni esempi: «la legittimità dell'elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici); la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicæ Curæ sulla invalidità delle ordinazioni anglicane». LA LEGITTIMITÀ DELL'ELEZIONE DEL PAPA La legittimità dell'elezione del papa rientra dunque tra i fatti dogmatici che devono essere tenuti come definitivi, dunque tra quei fatti storici strettamente connessi con la Rivelazione. L'importanza di questi fatti dogmatici mi pare venga ben messa in luce dal classico Compendio di Teologia Dogmatica, del teologo e medievalista bavarese, Ludwig Ott (1906-1985): «Se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio su questi fatti o verità, che sono indirettamente connesse con la Rivelazione, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua istituzione divina e con la sua santità». Prima di comprendere per quale ragione mettere in dubbio la legittimità dell'elezione del sommo pontefice comporterebbe gravi conseguenze, che vanno di fatto a erodere il dogma dell'istituzione divina della Chiesa, della sua indefettibilità e santità, dobbiamo chiarire che si tratta non di qualsiasi elezione del papa, ma di quella del papa universalmente e pacificamente accettato dalla Chiesa. Giovanni di San Tommaso dà una ragione fondamentale per spiegare perché il mancato riconoscimento di un papa legittimamente eletto non è "solo" un problema disciplinare, ma dottrinale: perché il papa può essere considerato come la regula fidei vivente. Cerchiamo di capire cosa vuol dire questa affermazione. Il teologo domenicano non sta evidentemente affermando che il papa sia al di sopra della Rivelazione e di quanto la Chiesa ha già definito, e ancor meno che qualunque sua esternazione sia regola della fede. Il punto è un altro: il magistero della Chiesa, che il papa incarna quando intende definire qualcosa, sia agendo ex cathedra che quando intende insegnare in modo definitivo nel suo magistero ordinario, è la regola della fede prossima, che "comunica" la regola della fede remota (la Rivelazione). Dunque, se la Chiesa intera si ingannasse nel riconoscere dove sta questa regola della fede vivente, la Chiesa si ingannerebbe sulla fede stessa. UN ESEMPIO Facciamo un esempio. Checché se ne dica, san Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (1994), ha inteso intervenire in modo definitivo sull'impossibilità dell'ordinazione delle donne; il carattere definitivo di questo pronunciamento era stato ulteriormente ribadito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ora, attenzione: non poche persone, soprattutto negli Stati Uniti, rifiutano di riconoscere i pontefici da Giovanni XXIII (incluso) in poi, per varie ragioni; una di queste è la presunta illegittimità dell'elezione di Roncalli nel conclave del 1958, perché, basandosi su una propria interpretazione di quanto scritto da Benny Lai, nel suo noto libro Il Papa non eletto. Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa: i voti dei cardinali sarebbero confluiti nell'arcivescovo di Genova, il cardinale Siri, il quale avrebbe accettato e scelto per sé il nome di Gregorio XVII; poco dopo però avrebbe rinunciato, perché una parte consistente dei cardinali contrari avevano minacciato uno scisma. Dunque, l'elezione di Roncalli sarebbe stata nulla e tutti i papi seguenti non sarebbero papi legittimi. Che cosa comporta una teoria del genere? Che tutta la Chiesa avrebbe recepito la definitività dell'insegnamento di Giovanni Paolo II, regola prossima della fede nel suo pronunciamento sul sacerdozio femminile, ingannandosi, perché Wojtyla in realtà (secondo loro) non era papa. Questo dubbio si potrebbe estendere a tutti i papi dei quali si sospetta la legittimità dell'elezione. Per cui si potrebbe ipoteticamente non essere mai certi di un pronunciamento ex cathedra, come, per es., l'assunzione al Cielo della SS. Vergine, per un dubbio sul fatto che Pio XII fosse veramente papa. E così via. In sintesi, dichiarare come fatto dogmatico che il papa accettato dalla Chiesa sia veramente papa blinda ogni possibile messa in causa dell'insegnamento del papa, in quanto regola prossima della fede, ossia impedisce che si possano mettere in dubbio i suoi pronunciamenti infallibili o definitivi sulla base di un presunto dubbio sulla legittimità della sua elezione. Dunque, poiché non è possibile che la Chiesa universale si inganni, credendo quanto insegnato infallibilmente o definitivamente dal sommo pontefice, così non è possibile che la Chiesa universali erri ritenendo papa uno che non lo è. Per evitare fraintendimenti, è necessario precisare che questo fatto dogmatico appena descritto riguarda il fatto che il papa universalmente riconosciuto sia il vero papa e non che sia un buon papa, un papa santo o un papa che non pronuncia errori teologici o perfino eresie. Questi ultimi aspetti non c'entrano nulla con quanto espresso della Professio fidei e spiegato da Giovanni di San Tommaso. Il quale invece aggiunge un corollario importante, ossia che l'universale e pacifica accettazione del papa da parte della Chiesa risolve anche ogni dubbio sulla legittimità della sua elezione: se Tizio è stato accettato come papa allora tutti i requisiti per la validità della sua elezione si sono verificati, e ogni dubbio che possa essere sollevato in un secondo momento decade. Diversamente, basterebbe sollevare dei dubbi per non avere più la certezza della validità dell'elezione del pontefice. Proseguiremo il discorso nei prossimi articoli, ma è bene ancora una volta ribadire che stiamo parlando del papa universalmente accettato dalla Chiesa, non di un papa la cui elezione è stata contestata da una parte della gerarchia. Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Il Papa legittimo e l’accettazione universale della Chiesa" spiega perché la Chiesa universale non può errare nel sottomettersi ad un papa non legittimo. Questo fatto dogmatico discende dalla promessa di Cristo. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 17 marzo 2024: L'accettazione da parte della Chiesa del papa scelto dai cardinali non è un mero pro forma, ma l'atto fondamentale con cui la Chiesa universale riconosce il proprio capo, Vicario di Cristo, e vi si sottomette. Perché la sottomissione al papa legittimo, quando egli comanda all'interno dei limiti della propria potestà suprema, è indispensabile per appartenere alla Chiesa. Riprendendo le considerazioni di Giovanni di San Tommaso (vedi articolo precedente), il cardinale Charles Journet (1891-1975), indiscusso teologo e autore della "summa" di ecclesiologia L'Église du Verbe Incarné, ricordava che l'accettazione pacifica universale «è un atto con cui la Chiesa impegna il suo destino. È quindi un atto di per sé infallibile e immediatamente conoscibile come tale»; la conseguenza di questa infallibilità è che questa accettazione manifesta e perciò riconoscibile assicura che «tutti i requisiti per la validità dell'elezione sono stati soddisfatti» (op. cit., I, 1955, p. 624). L'accettazione, secondo Journet, si verifica in due in due modi: negativamente, se l'elezione non viene contestata; positivamente, quando «l'elezione viene dapprima accettata da coloro che sono presenti e in seguito dagli altri». Il punto centrale, nell'esposizione di Journet, è che la Chiesa ha il diritto di eleggersi un papa, perché Cristo stesso ha fondato la Chiesa su Pietro e sui suoi successori, che sono principio di unità, regola della fede, sede della giurisdizione suprema. Da questo diritto discendono due diritti conseguenti fondamentali: il primo è che la Chiesa ha il diritto d
    19m 14s
  • Papi e antipapi, sede vacante e papa legittimo (2° parte)

    3 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜  https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7750 PAPI E ANTIPAPI, SEDE VACANTE E PAPA LEGITTIMO (2° parte) di Luisella Scrosati La lunga crisi del Grande Scisma d'Occidente aveva messo a dura prova l'unità della Chiesa. Non solo durante i quarant'anni dello Scisma ma anche successivamente non fu facile dipanare il groviglio della legittimità dei tre pontefici. In particolare, quella del cardinale Baldassarre Cossa, che prese il nome di Giovanni XXIII (ca 1370-1419), quando venne eletto al Concilio di Pisa del 1410. Basti pensare che papa Martino V (1369-1431), eletto l'11 novembre 1417 durante il Concilio di Costanza, ossia il papa del (provvisorio) ritorno all'unità, si riteneva successore non di colui che oggi consideriamo il papa legittimo, ossia Gregorio XII (ca 1335-1417), ma appunto di Giovanni XXIII. Dunque un papa legittimo, riteneva di succedere ad un papa in realtà illegittimo... Ad essere ancora più sorprendente è invece il fatto che Cossa/Giovanni XXIII risultava nella lista dei papi legittimi ancora nell'Annuario Pontificio del 1946! Una prova indiretta della convinzione della sua legittimità la troviamo anche nel famoso romanzo di Robert H. Benson, Il Padrone del Mondo, pubblicato nel 1907; Benson immaginava che tra gli ultimi due papi della storia della Chiesa ci sarebbe stato un "Giovanni XXIV", proprio perché agli inizi del Novecento, cinque secoli dopo il Grande Scisma, Cossa era ancora considerato papa legittimo. Mentre l'ultimo papa immaginato da Benson prende il nome di Silvestro III, perché Giovanni de' Crescenzi Ottaviani (ca 1000 - ca 1062), che prese proprio il nome di Silvestro III e il cui pontificato durò poco meno di due mesi, è stato considerato antipapa fino a tempi recenti. Insomma un antipapa considerato papa per secoli e un papa legittimo ritenuto antipapa. Altri casi analoghi si sono verificati nella storia della Chiesa, come, per esempio, quello di Pietro Filargis/Alessandro V (ca 1339-1410), altro "papa" eletto al Concilio di Pisa, così che nei tondi della Basilica di San Paolo fuori le Mura vi sono raffigurati antipapi come fossero sommi pontefici, mentre non compaiono le immagini dei papi legittimi. GIOVANNI XXIII Torniamo a Cossa/Giovanni XXIII. Il 27 ottobre 2018, il pronipote di Angelo Roncalli, Marco Roncalli, saggista e biografo del "papa buono", scrisse un interessante articolo per La Stampa, nel quale rivelava alcuni fatti inediti che portarono il Patriarca di Venezia a scegliere il nome di Giovanni XXIII e non quello di Giovanni XXIV. Roncalli desiderava assumere il nome di Giovanni, perché era quello del padre e della chiesa nella quale era stato battezzato, oltre che, ovviamente, dell'Apostolo diletto, del Battista e primo nome di Marco, l'evangelista. Ma c'era la questione di Cossa/Giovanni XXIII: se questi veniva considerato papa, allora Roncalli avrebbe dovuto seguire la numerazione successiva; in caso contrario, assumere la stessa del Cossa. All'"appuntamento" del 28 ottobre 1958, giorno della sua elezione al Soglio di Pietro, il cardinale Roncalli arrivò comunque ben preparato. Nel settembre del 1958, dunque un mese prima della sua elezione, Roncalli era stato chiamato a Lodi da monsignor Tarcisio Benedetti. Roncalli si trovava, insieme ad altri invitati, in una sala del Palazzo episcopale, la "Sala gialla", dove vi era una grande raffigurazione di Baldassarre Cossa/Giovanni XXIII. Il dipinto ricordava l'evento dell'incontro tra il cardinale napoletano e l'imperatore Sigismondo, uniti nell'intento di porre fine alla divisione e che determinò l'indizione del Concilio di Costanza. Una frizzante disputa tra due storici si accese sul personaggio rappresentato nel dipinto, alla presenza del Patriarca: uno storico riteneva che Cossa fosse papa legittimo, un altro che invece fosse antipapa. Sembra che Roncalli abbia cercato di conciliare gli animi, affermando che un futuro papa Giovanni avrebbe risolto la questione: se si fosse chiamato Giovanni XXIII, significava che Cossa era stato un antipapa; se XXIV, Cossa doveva essere considerato papa legittimo. DURANTE IL CONCLAVE Un'altra testimonianza riportata nell'articolo, di molto precedente a quella appena menzionata, proviene dalla rivista Sursum corda (1974) del Seminario Romano. In un ricordo di Raffaele Boyer, compagno di Roncalli, è emerso che, dopo la morte di Leone XIII (20 luglio 1903), il futuro papa era piuttosto contrariato dal fatto che Baldassarre Cossa fosse considerato papa legittimo nei diversi libri di storia della Chiesa da lui consultati, così come pure sull'Annuario Pontificio. È più che probabile che Roncalli ritenesse vera la "leggenda nera" su Cossa, ma, a parte questo, il Concilio di Costanza lo aveva comunque dichiarato non legittimo, ed egli propendeva perciò per la sua illegittimità. Il segretario particolare di Giovanni XXIII, mons. Loris Capovilla, ha testimoniato che, durante il conclave, Roncalli gli avrebbe chiesto di procurargli l'Annuario Pontificio. È possibile che egli avesse percezione, da come stavano andando le votazioni e i confronti tra i cardinali, che lo Spirito Santo stesse soffiando su Venezia, come poi di fatto avvenne; e pertanto il Patriarca voleva essere certo di non compiere un errore nella scelta del nome, assicurandosi che l'Annuario portasse il nome di ventidue papa "Giovanni" e non ventitré. Aneddoti giovannei a parte, la storia mostra come la questione della legittimità di un papa non sia sempre pacifica. Occorre però fare una precisazione molto importante: i dubbi riguardo ad un pontefice sono legittimi nella misura in cui la sua accettazione non è stata pacifica e universale da parte della Chiesa. E in effetti, il conclave che portò all'elezione di Urbano VI avvenne sotto la minaccia del popolo romano, elemento che fin da subito creò dubbi sulla validità di quella elezione, dubbi sostenuti da una parte degli stessi cardinali che a quel conclave parteciparono. È solo in queste situazioni che vale il principio papa dubius, papa nullus, secondo la breve spiegazione che avevamo dato nello scorso articolo. Quando invece un papa viene accettato pacificamente e universalmente dalla Chiesa, il discorso cambia radicalmente. Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Martino V e la questione del Papa legittimo" prosegue con il racconto di quel travagliato periodo di storia della Chiesa. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 3 marzo 2024: Martino V (1369-1431) fu il papa finalmente unico, dopo quarant'anni di scisma. Eletto durante il Concilio di Costanza, l'11 novembre 1417, riuscì a governare la Chiesa per un tempo relativamente lungo (13 anni). Oddone Colonna, questo il suo nome di battesimo, aveva erroneamente sostenuto la legittimità di Giovanni XXIII, del quale si considerava successore. C'è un aspetto di questo pontificato, che merita di essere portato alla luce. Martino dovette porre mano alle agitazioni alimentate da John Wyclif († 1384) e Jan Hus (ca 1371-1415). Il primo, originario dello Yorkshire, insegnante all'Università di Oxford, si fece alfiere di un movimento antipapale inglese, tanto più che si era nell'epoca dei papi avignonesi, papi cioè provenienti da e residenti nella nemica Francia. Scrisse numerosi testi teologici e raccolse attorno a sé un nutrito gruppo di predicatori popolari, i famosi lollardi. Il secondo, boemo, subì l'influenza di Wyclif e in sostanza ne abbracciò le posizioni ereticali. Sia i lollardi che gli ussiti ebbero grande diffusione nei paesi di origine dei due "fondatori". Più nello specifico, entrambi erravano soprattutto riguardo alla natura della Chiesa e ai diritti e alle prerogative del papa. La loro sottolineatura sull'importanza della pietà personale dei ministri di Dio si spinse fino ad identificare la Chiesa con la comunità di coloro che vivevano ispirati a questa pietà. Essi sostenevano pertanto che la Chiesa non fosse quella visibile, che appariva corrotta e divisa, ma quella invisibile; e che pertanto, a dover essere riconosciuti come membri della Chiesa, non erano quanti erano annoverati tra il clero, e nemmeno quanti vi appartenevano giuridicamente e formalmente, ma esclusivamente i "veri fedeli", conosciuti solo da Dio. Mettevano in discussione la validità delle scomuniche comminate dai pontefici, la loro autorità, l'estensione del potere di legare e sciogliere, così come il fatto che il papa era il successore dell'apostolo Pietro. Per questa insufficiente comprensione della natura della Chiesa, essi ritenevano che fosse sufficiente la sola ordinazione per poter amministrare i sacramenti, inclusa la facoltà di assolvere: non era necessario alcun mandato o giurisdizione e, pertanto, nessuno poteva impedire lo svolgimento del ministero, nemmeno con sanzioni. Altri errori riguardavano le indulgenze, l'Eucaristia e il Purgatorio, e vennero tutti condannati al Concilio di Costanza. Quando Oddone divenne papa, sia Wyclif che Hus erano già morti, ma il loro movimento imperversava in Europa. Martino V decise allora di emanare una bolla, la Inter cunctas (22 febbraio 1418), indirizzata ai vescovi e agli inquisitori, con una lista di domande da porre ai sospetti seguaci dei due contestatori, per verificare se credessero rettamente, secondo la fede cattolica.
    18m 12s
  • Meglio la sepoltura che la cremazione, retaggio del paganesimo

    3 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7741 MEGLIO LA SEPOLTURA CHE LA CREMAZIONE, RETAGGIO DEL PAGANESIMO di Luisella Scrosati Cremazione: sì o no? Ormai tutti i cattolici sanno che la cremazione, quando non è motivata da ragioni contrarie alla fede, viene ammessa e, di conseguenza, non vengono più negate le esequie. L'Istruzione Ad resurgendum cum Christo, della Congregazione per la Dottrina della Fede (15 agosto 2016) spiega che l'atto di cremare le spoglie mortali non comporta di per sé nulla di contrario né all'immortalità dell'anima né alla risurrezione della carne alla fine della storia. Tuttavia, a più riprese, l'Istruzione insiste sul fatto che «la Chiesa raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti vengano seppelliti nel cimitero o in altro luogo sacro». La cremazione non è dunque considerata come equivalente all'inumazione o alla deposizione, nonostante ormai tra noi cattolici sembra che la cremazione sia divenuta una pratica diffusa. Potremmo dire che per la cremazione è avvenuto qualcosa di analogo alla Comunione sulla mano: due pratiche per secoli sostanzialmente proibite sono state di recente ammesse (entrambe durante il pontificato di Paolo VI, rispettivamente nel 1963 e nel 1969), finendo per diventare addirittura preferenziali. E ciò, nonostante la Chiesa mantenga fermo che le due modalità non si collochino sullo stesso piano, ma l'una sia raccomandata, l'altra semplicemente permessa. I CRISTIANI RIFIUTARONO LA CREMAZIONE Come spiegare questa stranezza? Diamo prima una rapida occhiata a come, storicamente, i cristiani si siano posti di fronte alla cremazione. È fuori discussione che, fin dai primi secoli, i cristiani rifiutarono la pratica della cremazione in uso tra i pagani. Minucio Felice, autore cristiano del II-III secolo, scriveva nell'Octavius che i pagani si prendevano gioco della credenza della risurrezione dei morti, che essi consideravano alla stregua di aniles fabulas, favole da vecchiette; è a causa di questa credenza che i cristiani «esecrano i roghi e condannano le cremazioni». Dunque, anche ai pagani era chiaro che il rifiuto delle cremazioni era legato alla fede nella risurrezione della carne. Non dobbiamo pensare che i cristiani dei primissimi secoli fossero così sempliciotti da ritenere che questa pratica avrebbe impedito la risurrezione di corpi ridotti in ceneri: lo spettacolo dei corpi dei martiri smembrati, mangiati dalle fiere, scorticati, era più che sufficiente per metterli al sicuro dalla tentazione di pensare che Dio non avrebbe potuto resuscitare se non un corpo integro. Qual è dunque questo legame tra il rifiuto della cremazione e la risurrezione della carne, che anche i pagani constatavano, pur senza capirne il senso? L'inumazione è il segno più chiaro ed esplicito della dinamica insegnata da San Paolo: «Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Così (...) la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (1Cor, 15, 36. 42-44). "Seminare" il corpo mortale è il grande segno con cui i cristiani esprimono che quel corpo risorgerà glorioso; la Chiesa ha sviluppato i suoi riti funebri proprio su questo gesto così semplice e così importante, che apre il tempo dell'attesa. Come ogni buon contadino, anche la Chiesa semina e attende: semina corpi corruttibili e attende che, per la potenza divina, germoglino incorruttibili. Questo segno viene meno con la cremazione, che è appunto il contrario della semina e dell'attesa paziente, realizzando l'annientamento violento e repentino del corpo: le carni vengono bruciate a quasi mille gradi, provocando un movimento della salma per effetto della contrazione muscolare provocata dal calore; le ossa e i denti, che non bruciano, vengono frantumate e polverizzate a parte. L'ETERNO RIPOSO La cremazione è anche la distruzione del grande segno della morte come sonno-riposo, meravigliosamente espresso dalla preghiera del Requiem æternam, che si sposa perfettamente con l'atto di calare nella terra o nel sepolcro, in posizione orizzontale, il corpo del defunto, in continuità con l'insegnamento profetico: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno» (Dn 12,2). L'idea della morte-sonno è ripresa anche dal Signore Gesù, che così annunciava ai discepoli la morte dell'amico Lazzaro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11). Nell'atto della sepoltura si esprime dunque questo segno della morte come sonno e riposo, ma che attende quel "risveglio", che Cristo opererà sui nostri corpi, alla fine del mondo. Né si può trascurare il fatto che i cristiani vogliono conformare a Cristo la propria vita e la propria morte. E se non spetta a loro decidere come e quando morire, essi però possono disporre dei riti di sepoltura. C'è poi anche un'importante questione: la cremazione distrugge alla radice la possibilità delle reliquie, la possibilità che le spoglie dei santi operino miracoli, perché lo Spirito Santo continua ad agire tramite questi resti benedetti, che sono stati il suo tempio. Queste riflessioni a noi, figli di una mentalità razionalista e utilitarista, possono sembrare al massimo un po' romantiche.  Quel che conta è l'utilità di un atto, oppure, in un'ipotesi migliore, se vi siano idee contrarie alla dottrina. Ma per secoli non è stato così. Forti non solo della fede, ma dell'espressione di questa fede nei segni, i cristiani hanno portato di fatto all'estinzione di questa pratica, che consideravano, a ragione, come ripugnante. Non è una questione di stomaco, ma di coerenza appunto nel segno. E la storia insegna che i segni sono fondamentali nella trasmissione della fede.
    8m 5s
  • Papi e antipapi, sede vacante e papa legittimo (1° parte)

    26 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7738 PAPI E ANTIPAPI, SEDE VACANTE E PAPA LEGITTIMO (1° parte) di Luisella Scrosati Dopo il lungo periodo della "cattività avignonese" (1316-1377), durante il quale la Sede apostolica era stata trasferita nella città di Avignone da parte di Giovanni XXII (1244 ca - 1334), la città di Roma era rimasta senza pastore. I papi avignonesi, preceduti da Clemente V (1264-1314) che aveva trasferito la sede prima a Poitiers e poi a Carpentras, non risultarono così succubi delle politiche dei monarchi francesi; e tuttavia era chiaro che l'influenza francese esisteva. Il papato non riusciva a stare a Roma, lacerata dalle contese tra la famiglia Orsini e la famiglia Colonna; in Francia godeva sì di una libertà, ma pur sempre una "libertà vigilata": il peso dell'autorità ne risultava particolarmente indebolito. Iniziarono a comparire anche alcune correnti teoriche relativizzanti l'autorità pontificia, correnti che si facevano strada in ambito universitario sulle spalle di due grandi figure intellettuali del XIV secolo: il francescano Guglielmo di Ockham (1288-1347) e Marsilio da Padova (1275-1342). A dare il colpo di grazia, in quella fase, alla credibilità del papato fu però la tragica scissione, che prese il nome di Grande Scisma d'Occidente, e che durò quarant'anni, coinvolgendo quattro papi e altrettanti antipapi. Il ritorno del papa, da Avignone a Roma, realizzato da Gregorio XI (1330-1378), rappresentava agli occhi dello stesso pontefice la possibilità di una crisi peggiore, che avrebbe sommato il potenziale pericolo delle contese delle famiglie romane con quello dei maneggi avignonesi, rischiando di mettere il papato dentro ad un ginepraio inestricabile. Nel tentativo di evitare questo scenario, Gregorio dispose che il conclave futuro avesse inizio subito dopo il suo decesso, senza attendere l'arrivo dei cardinali che risiedevano fuori dall'Urbe, e che il nuovo pontefice sarebbe stato eletto con una maggioranza semplice, per evitare il dilungarsi del conclave. URBANO VI (1318-1389) Morto dunque Gregorio il 27 marzo 1378, l'8 aprile i 16 cardinali presenti a Roma elessero l'arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, che prese il nome di Urbano VI (1318-1389). Il quale si mostrò sì determinato nel voler intraprendere la riforma della Chiesa, ma si mise contro quasi tutti per il suo carattere scontroso e irascibile e i suoi modi del tutto inconcilianti. Pare che, tra l'altro, avesse dato dell'imbecille al cardinale Giacomo Orsini e della canaglia al cardinale arcivescovo di Amiens. Alcuni cardinali francesi, dapprima ad Anagni e poi a Fondi, dichiararono invalida l'elezione di Urbano VI a causa di pressioni esterne sul conclave, e il 20 settembre elessero il cardinale di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII (1342-1394) e pose la sua sede ad Avignone. La cristianità d'Occidente si spaccò così in due: al papa romano prestarono fedeltà gli Stati nel centro-nord dell'Italia, i Regni d'Inghilterra, Ungheria, Polonia, Portogallo, Svezia, Norvegia e Danimarca, mentre al papa avignonese si strinsero i Regni di Francia, Aragona, Castiglia, Napoli, Sicilia e Scozia. Si videro cardinali contrapporsi ad altri cardinali, vescovi a vescovi, abbazie ad abbazie, e persino nelle stesse diocesi e nei monasteri sorsero divisioni. Anche i santi erano divisi e contrapposti: a sostegno del papa di Roma si schierarono Caterina da Siena, Caterina di Svezia, il grande predicatore olandese Geert Groote; la riformatrice delle Clarisse, santa Coletta, il grande predicatore domenicano Vincenzo Ferreri e il giovane beato Pietro di Lussemburgo sostennero invece per un certo tempo la legittimità dei papi avignonesi, pur adoperandosi per tentare di ricomporre lo scisma. La situazione era in stallo, perché da entrambe le parti si portavano ragioni convincenti per sostenere la legittimità dell'uno e l'illegittimità dell'altro pontefice. I quali si scomunicarono a vicenda. Vennero persino contrapposte lacrime a lacrime. Due grandi giuristi si affrontarono sulla questione: da una parte il laico Giovanni da Legnano, insegnante di diritto canonico e civile, che difese la legittimità dell'elezione di Urbano VI nel De fletu Ecclesiæ, scritto proprio nell'anno dell'elezione del pontefice (1378); dall'altra l'abate Jean Le Fèvre (1320-1390), poi vescovo di Chartres, statista e cancelliere di Luigi I e Luigi II d'Angiò, che rispose con il De planctu bonorum (1379), difendendo l'elezione di Clemente VII. ROMANO LO VOLEMO, O ALMANCO ITALIANO! A ben vedere, il conclave che aveva portato all'elezione di papa Urbano era stato piuttosto movimentato. I romani, sapendo che al conclave la maggioranza dei cardinali era composta da francesi, fecero sentire le loro minacce, con il famoso grido: «Romano lo volemo, o almanco italiano!». Grida che si materializzarono nell'invasione nella stanza del Conclave... Dunque, le pressioni ci furono, ma sarebbe stato doveroso verificare se fossero state tali da viziare formalmente il conclave. Ma non fu per questa strada che si volle risolvere la situazione: l'obiettivo era mettere fuori gioco Urbano VI, il cui comportamento era sempre più ingestibile. E così ne nacque uno scisma lacerante. La situazione però andò persino peggiorando. Nella linea dei papi di Roma, a Urbano VI successero Bonifacio IX (1350 ca - 1404), Innocenzo II (1336 ca - 1406), che regnò per soli due anni, e Gregorio XII (1335 ca - 1417); all'antipapa Clemente VI, successe, nel 1394, il cardinale spagnolo Pedro Martínez de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII (1328-1423). I tentativi tra le due parti di risolvere lo scisma non andarono a buon fine; anche quello più recente, tra Gregorio XII e Benedetto XIII, finì in nulla. Questa situazione prolungata, dopo trent'anni di divisione, portò all'esasperazione tra i cardinali di entrambe le parti, i quali decisero di trovare essi stessi una soluzione per porre fine allo scisma... e ne crearono un altro. Riuniti in concilio a Pisa, il 25 marzo 1409, dichiararono scismatici ed eretici i "due papi", i quali, sulla base del principio che il papa eretico non è più papa, dovevano perciò essere sostituiti. Venne così eletto un "terzo papa" (secondo antipapa), nella persona dell'arcivescovo di Milano, Pietro Filargo, che prese il nome di Alessandro V (1339-1410); il quale però morì l'anno dopo la sua elezione e venne sostituito dal promotore del concilio pisano, il cardinale napoletano Baldassarre Cossa, che prese il nome di Giovanni XXIII (1370ca-1419). Cossa era stato tra i più attivi per ricomporre la frattura tra Gregorio XII e Benedetto XIII, ma senza riuscirvi. Per questo tentò la strada di un concilio - che sarà poi quello di Pisa - e accettò di tirarsi da parte durante il concilio di Costanza (1414), per cercare di ricomporre la crisi. Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "La Sede vacante e il caso san Vincenzo Ferreri" spiega perché nemmeno in una situazione ingarbugliatissima, nata dall'incertezza sull'elezione di Urbano VI, si può dichiarare la Sede vacante. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 18 febbraio 2024: Nel 1409, dopo trent'anni di "convivenza" tra due papi (di cui solo uno, ovviamente, legittimo), il tentativo di risolvere la dolorosa e disorientante situazione era sfociata in uno strappo ulteriore: l'elezione di un "terzo papa", come si è visto, nella persona di Pietro Filagro (Alessandro V), durante il concilio di Pisa (1409). Ma torniamo indietro agli anni in cui vi erano "solo" due papi: quello di Roma e quello di Avignone. A sostenere la legittimità di Benedetto XIII, antipapa avignonese dal 1394 al 1423, vi era un grande santo: il dotto frate domenicano Vincenzo Ferreri (in valenciano, Vicent Ferrer; 1350-1419). Nato a Valencia ed entrato nell'Ordine dei Frati predicatori in giovanissima età, insegnò teologia nella città natale e venne notato per la sua preparazione dal cardinale aragonese Pedro de Luna, il futuro Benedetto XIII. Il cardinale aveva dapprima cercato di sostenere la legittimità di Urbano VI, per poi sostenere l'invalidità del conclave che lo elesse e divenendo così sostenitore dell'antipapa Clemente VII. Eletto "pontefice", scelse proprio Vincenzo Ferreri come suo confessore. San Vincenzo sosteneva la legittimità di Benedetto, ma non era indifferente alla grande lacerazione della cristianità, divisa tra due e poi tre obbedienze, che minacciavano di instaurarsi in modo perpetuo, portando avanti tre linee di successione di prelati che rivendicavano di essere il papa legittimo. Nel 1413, l'imperatore Sigismondo (1368-1437) convocò un concilio a Costanza, che si sarebbe svolto nel novembre dell'anno seguente, con il preciso scopo di risolvere lo scisma. Dei tre "papi", solo Giovanni XXIII, che quel concilio aveva appoggiato proprio con l'intento di uscire dalla crisi, accettò di presentarsi; ma proprio a lui venne riservato il trattamento più rude e scorretto: fu accusato ingiustamente di ogni nefandezza e deposto. La "leggenda nera" sul cardinale Baldassarre Cossa fu portata avanti per secoli, e solo di recente una preziosa monografia ne ha riscattato la memoria (M. Prignano, Giovanni XXIII. L'antipapa che salvò la Chiesa, Brescia, 2019, con prefazione del card. Walter Brandmüller): antipapa sì, ma non delinquente.
    17m 35s
  • La paura ti blocca? Sei pusillanime?

    26 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7734 LA PAURA TI BLOCCA? SEI PUSILLANIME? Il pusillanime crede troppo in sé stesso, e così rimane bloccato (la soluzione è ritornare a Dio) di Luisella Scrosati "Frutto della vana gloria e figlia dell'incredulità" (La Scala, XX,1): è questo, secondo san Giovanni Climaco, l'albero genealogico della pusillanimità. Mai come il nostro tempo la paura è divenuta il pane quotidiano degli uomini, con noi cristiani purtroppo in cima alla lista. Note o ignote disgrazie, probabili o improbabili calamità all'orizzonte , presunte profezie o angoscianti vaticini di uomini che giocano a fare i semidei: tutto acquista peso nel cuore del pusillanime. Non è il semplice fatto di avvertire la paura a essere una patologia dell'anima, ma lasciare che la paura prenda piede, detti le nostre decisioni, penetri i nostri pensieri e i nostri atteggiamento. "L'anima superba è schiava della pusillanimità: confida in sé stessa e poi si spaventa davanti al minimo rumore e all'ombra delle creature!" (XX,3). Il superbo non confida che in sé stesso, nelle proprie forze e convinzioni; il suo coraggio poggia dunque su fondamenti corruttibili, precarie, limitate, e non appena un pericolo lo minaccia la sua fragile fortezza vacilla. E non vedendo che se stesso e le proprie soluzioni, egli vive in una concreta, e a volte teorica, incredulità. Se infatti la superbia e la vanagloria riguardano l'eziologia della pusillanimità, l'incredulità ha a che fare con la patogenesi: è infatti attraverso il processo "fisiologico" della mancanza di confidenza in Dio, causata dalla superbia, che si manifesta della pusillanimità. Secondo la scuola del monachesimo antico, la soluzione alla paura che affligge il pusillanime non risiede nelle rassicurazioni bonarie degli amici e ancor meno nel ricorso alle soluzioni umane della scienza, della politica, della tecnologia. Per non parlare dell'illusoria esortazione a "credere in se stessi", che è invece proprio la causa di questa malattia spirituale. Non c'è che una sola terapia bifronte per il pusillanime: l'umiltà e la confidenza in Dio. La vera umiltà confida audacemente in Dio, la vera confidenza teme il Signore; l'umiltà del pavido non è invece che una forma di larvata incredulità, e la confidenza del temerario un nuovo volto della superbia. Invece, "chi è diventato servo del Signore, teme il proprio padrone, e lui solo; ma chi ancora non lo teme, spesso si spaventa davanti alla sua stessa ombra" (XX,10). La vittoria della pusillanimità non nasce se non da una continua confidenza nel Signore, tagliando corto su ogni pensiero che possa insinuare che il Signore non è in grado di prendersi cura di noi, o, peggio ancora, che non c'è alcun Dio che ci soccorra. Giovanni Climaco propone un esercizio concreto: "non esitare a recarti in piena notte nei luoghi in cui di solito hai paura, perché se ti lasci andare un po' a questa passione ridicola e infantile, essa finirà per rinvecchiare con te! Mentre ti stai recando là, armati della preghiera e, quando sei arrivato, stendi le braccia e flagella i tuoi nemici con il nome di Gesù: non esiste infatti arma più potente né in cielo né in terra!"(XX,6). A noi figli del secolo che ha fatto ironicamente della sicurezza il principio di ogni cosa, la semplice idea di seguire questo consiglio fa scatenare tuttala contraerea di obiezioni piene di "ragionevolezza": occorre essere prudenti, non bisogna tentare Dio, quei tempi non sono come i nostri, la preghiera sola non basta, in televisione hanno detto che sono aumentati i lupi e gli orsi. E così via, in un'infinita serie di litanie traboccanti della sapienza di questo mondo, che inibiscono la litania del ricorso a Dio. Eppure, San Giovanni Climaco non ha dubbi sull'efficacia della terapia e nemmeno sul modo per non perdere più la sanità dell'anima: "una volta guarito da questa malattia, eleva un canto a colui che ti ha liberato, perché se gli dimostrerai gratitudine, egli ti proteggerà in eterno" (Ibi).
    5m 34s
  • Memento mori, ricordati che devi morire

    20 FEB 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7699 MEMENTO MORI, RICORDATI CHE DEVI MORIRE Oggi pochi vivono pensando ai novissimi, ossia morte, giudizio, Inferno e Paradiso, perché per molti, anche tra i cristiani praticanti, l'esistenza terrena è l'unico orizzonte di Luisella Scrosati Nel terzo capitolo della Regola di San Benedetto, un lungo elenco di "strumenti delle buone opere", incappiamo in alcune raccomandazioni demodé: "temere il giorno del giudizio, provar terrore dell'Inferno, rivolgere ogni desiderio dello spirito alla vita Eterna, avere ogni giorno presente dinanzi agli occhi la morte"(RB,3,44-47). Morte, giudizio, Inferno, Paradiso: i novissimi devono essere una realtà viva, sempre presente alla memoria e all'attenzione del monaco. La nostra cultura è talmente decaduta da non saper far altro che scongiuri di fronte a un'affermazione del genere, o scuotere la testa per una concezione così "negativa" della vita. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: nessuno pensa alle conseguenze delle proprie azioni, tanto meno a quelle eterne. Si vive in una de-responsabilizzazione pressoché ordinaria, ritmata dai soliti ritornelli: "lo fanno tutti", "bisogna stare al mondo", "mi hanno detto di farlo", "ho obbedito". E invece San Benedetto, raccogliendo l'insegnamento di Nostro Signore e la tradizione monastica a lui precedente, taglia corto: ricordati che dovrai rendere conto di ogni tua azione, di ogni tua parola, di ogni tuo pensiero volontario. Rico9rdati che l'inferno c'è, e non è così tanto scontato che tu non ci finisca dentro. Per l'eternità. Temilo e stanne lontano. Ricordati che questa vita passa e che, anche in ciò che essa ha di buono e bello, non è che un pallido riflesso instabile delle vita vera. Ricordati che la morta verrà di certo, molto prima di quanto tu pensi; non fare il fenomeno: per quanto tu sia in salute, abbia denaro conosca le persone che contano, abbia potere e intelligenza, potresti non arrivare a domani. Queste verità non sono né dure, né tristi: sono verità. Riflettervi spesso e conformare la propria vita al vero è semplicemente saggezza; rimuoverle e deriderle, stoltezza. Quando queste verità penetrano nel cuore, dopo aver oltrepassato la spessa membrana di insipienza e inavvertenza, esse diventano anche grande fonte di consolazione. Perché questo giudice al quale dovremo rispondere di ogni cosa è lo stesso che si è immolato per noi; ed è veramente giusto: non lascerà che l'empietà trionfi, che l'iniquità possa perdurare, che colui che persevera nel male abbia un'eternità di gaudio. Perché quando si impara a temere l'inferno, viene meno la paura di tante altre cose di questa vita, che invece sono fonte di ansia per gli uomini. Perché quando si desidera la vita eterna, si apprezzano le cose di quaggiù per quelle che sono, e si acquista una grande libertà interiore. Perché quando pensiamo che la morte è accanto a noi, le pene di questa vita ci appaiono momentanee le preoccupazioni ridicole, la scalea dei valori nel giusto ordine. Ricordati perciò di "vigilare in ogni momento" sulla tua "condotta di vita" (RB, 3,48): ogni attimo pesa quanto l'eternità. Vivi sempre consapevole "che Dio ci vede in ogni luogo" (RB, 3,48): se quello sguardo diviene inquietante o consolante, dipende da te. Bisogna notare come San Benedetto esorti a temere il giudizio e l'inferno, non la morte; nel contempo, bisogna pensare anche alla morte. Perché? Ce lo spiega questo squisito racconto tratto da Vitae Patrum: "Raccontano di un anziano che morì a Scete, e i fratelli si radunarono attorno al suo letto, lo vestirono e cominciarono a piangere. Egli aprì gli occhi e rise, e così fece una seconda e una terza volta. I fratelli allora lo supplicarono: "Dicci, padre, perché noi piangiamo e tu ridi?". Rispose loro: "La prima volta ho riso, perché voi temete la morte; la seconda, perché non siete pronti; la terza, perché dalla fatica io vado alla quiete" (5, 11, 52).
    5m 39s
  • L'inizio del secolo buio del papato

    13 FEB 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7698 L'INIZIO DEL SECOLO BUIO DEL PAPATO di Luisella Scrosati La Chiesa, maestra di verità, ha sempre dovuto convivere con il fatto che spesso i suoi pastori e i suoi figli abbiano preferito la via dell'eresia. Analogamente, la Chiesa santa non solo vive abitualmente a contatto con il peccato dei suoi figli, purificandoli con i sacramenti e innalzando preghiere incessanti per la loro conversione, ma non di rado si trova ad affrontare periodi storici durante i quali il lezzo di gravi peccati sembra prevalere sul profumo dell'incenso, persino in coloro che sono chiamati al sacerdozio supremo. Non solo eresie, dunque. Mentre in Oriente l'11 marzo 843, con una solenne processione di chiusura del Sinodo di Costantinopoli, fortemente voluto da Teodora (ca 815-867), madre dell'imperatore Michele III e reggente, venne definitivamente archiviato il capitolo iconoclastia, in Occidente ombre sempre più fitte si abbatterono sul Papato. L'alleanza con l'Impero carolingio, che aveva prodotto generosi frutti, stava però finendo con l'assorbire la Chiesa nelle logiche temporali e con un modo di vivere decisamente mondano. Le prime avvisaglie di una crisi ormai prossima si ebbero per la successione di papa san Leone IV (790-855). Il nuovo eletto, Benedetto III (810-858), che venne letteralmente condotto a forza in Laterano per accettare la nomina, prima di essere ordinato vescovo (era prete cardinale) dovette attendere la conferma degli imperatori carolingi Lotario I (795-855) e Ludovico II il Giovane (822/825-875). Ma i due legati pontifici proposero in segreto agli imperatori di non confermare Benedetto III, bensì di prendere le parti di Anastasio Bibliotecario (ca 810-879), decisamente più favorevole a che la dinastia franca giocasse un ruolo più decisivo nella vita della Chiesa. Per un breve periodo si ebbero perciò un Papa legittimo, Benedetto III, e un antipapa, Anastasio. Dopo appena tre anni di pontificato, a Benedetto successe un grande papa, san Niccolò (o Nicola) I, detto appunto Magno (ca 820-867), che era stato consigliere di Benedetto. Poco più di nove anni di pontificato, durante i quali il Papato acquistò grande vigore. Papa Niccolò affrontò con grande fermezza lo scisma del patriarca di Costantinopoli, Fozio (ca 810-897), e fu coraggioso e inamovibile nel difendere l'indissolubilità del matrimonio, quando Lotario II respinse la moglie Teutberga per sposare la concubina Waldrada. Un pontificato all'insegna della fortezza fu anche quello di Giovanni VIII (ca 820-882), che tentò in tutti i modi di resistere alle ingerenze imperiali. Una breve, intensa luce, prima del piombare delle tenebre. LA SEDE APOSTOLICA PREDA DI INTERESSI DI PARTE Per un periodo di un secolo e mezzo, infatti, ben 44 papi si succedettero al Soglio pontificio, con pontificati mediamente molto brevi, finanche a durare solo qualche mese o qualche settimana (dall'896 al 904 ci furono addirittura nove papi); solo un papa meritò di essere canonizzato (Adriano III), mentre una dozzina furono uccisi o morirono in situazioni non chiare. La Sede Apostolica divenne preda di interessi di famiglie aristocratiche, che imponevano per lo più candidati incapaci, immorali, senza alcun vero interesse per il bene della Chiesa. Era questo l'esito di una troppo stretta commistione tra il Regno e la Chiesa, con sacerdoti che abbandonavano il gregge per partire in guerra con i loro signori, o per servirli a corte; i vescovi venivano scelti più per l'obbedienza al signore che alle leggi della Chiesa; le abbazie finivano nelle mani di dignitari laici; i beni della Chiesa diventavano benefici affidati dai signori ai propri vassalli; la simonia era il pane quotidiano. Sul piano sociale, continue scorrerie di Normanni, Magiari e Saraceni assestavano colpi ad un Impero ormai morente: spargevano sangue, seminavano paura, provocavano rovina, colpendo spesso e volentieri monasteri, chiese e proprietà ecclesiastiche. La desolazione era ovunque e i vescovi cercavano di puntellare un edificio che crollava in ogni sua parte. Come nel Sinodo di Trosle (909), dove i vescovi descrivevano la situazione drammatica che caratterizzava buona parte dell'Impero carolingio: «Le città sono spopolate, i monasteri in rovina e in fiamme; la buona terra è diventata un deserto. Gli uomini vivono come primitivi, senza legge e senza timor di Dio, abbandonandosi interamente alle passioni, così che ognuno compie ciò che sembra giusto ai propri occhi in spregio alle leggi umane e divine e ai comandamenti della Chiesa; i potenti opprimono i deboli; il mondo è pieno di violenza contro i piccoli e gli indifesi; gli uomini rubano i beni che appartengono alla Chiesa e si divorano l'un l'altro come i pesci del mare». IL CASO DI PAPA FORMOSO In questo scenario di desolazione, la Sede Apostolica si trovò spesso occupata da papi non solo non all'altezza, ma decisamente indegni, e gli artigli del potere ormai dettavano legge. Il caso di papa Formoso (ca 816-896) è da questo punto di vista eclatante. Formoso si era trovato in mezzo ad una situazione difficile, che gestì in modo confusionario, riuscendo a inimicarsi il mondo intero: prima sostenne Guido II di Spoleto (855-894) per la corona imperiale e incoronò anche il figlio, Lamberto II (880-898), garantendo così la successione; poi cercò aiuto nel re di Baviera, Arnolfo di Carinzia (ca 850-899), per mettere fine alle continue razzie di Guido nei territori della Chiesa, riconoscendo Arnolfo legittimo imperatore. Ma alla morte di Guido, il giovanissimo Lamberto, forte del sostegno della madre Ageltrude, reclamò la sua incoronazione. E Formoso la riconobbe, inviando però in segreto un'ambasciata ad Arnolfo, perché intervenisse. Arnolfo scese in Italia, "liberò" Roma, ma mentre era in marcia contro il Ducato di Spoleto fu colpito da una paralisi. Formoso venne probabilmente avvelenato e morì il 4 aprile 896. La sua morte però non mise fine alla confusione. Bonifacio VI (†896), che era stato scomunicato due volte sotto Giovanni VIII, probabilmente per condotta immorale, venne eletto papa in non si sa quale modo; tant'è che ancora oggi è dibattuto se sia stato realmente un papa della Chiesa cattolica. Il suo pontificato durò appena quindici giorni. Quindi venne eletto Stefano VI, che era in sostanza una marionetta nelle mani dei Duchi di Spoleto. E infatti si prestò per quello che la storia ha battezzato come il vergognoso "Sinodo del cadavere" (897): una vendetta macabra di Lamberto e di sua madre, che riesumarono il corpo di papa Formoso, lo rivestirono degli abiti pontificali, per processarlo alla presenza di Stefano VI, di cardinali e vescovi. Al cadavere vennero elencati sette capi d'imputazione; per ovvia mancanza di difesa, l'interessato fu condannato, le tre dita della mano destra con cui impartiva le benedizioni vennero mutilate, e il cadavere ingiuriato, portato in giro per Roma e infine gettato nel Tevere. Un vilipendio ripugnante anche per quei romani che non ebbero particolare ammirazione per papa Formoso. I quali, di fronte a tanta crudeltà ed empietà, insorsero. Stefano VI venne fatto prigioniero dal popolo indignato, condotto in prigionia a Castel Sant'Angelo e alla fine strangolato. Ma questo era solo l'inizio della profonda umiliazione del Papato nel secolo buio.
    9m 17s
  • San Pier Damiani e la denuncia dell'omosessualità

    31 JAN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7686 SAN PIER DAMIANI E LA DENUNCIA DELL'OMOSESSUALITA' di Luisella Scrosati Un grande santo riformatore, ingiustamente poco conosciuto. Nato a Ravenna nel 1007, morto molto presto il padre e abbandonato dalla madre (anch'essa morirà poco dopo) per l'estrema povertà della famiglia, venne prima allevato da un fratello, che lo trattò molto duramente; quindi fu cresciuto da un altro fratello, l'arciprete Damiano, e avviato allo studio delle arti del trivio e del quadrivio. Divenuto professore, fu profondamente colpito da un episodio, nel quale lesse un monito divino: rifiutata ad un povero un'elemosina, secondo alcuni, o del pane bianco, secondo altri, rischiò di morire soffocato per una lisca conficcatasi nella gola. Decise così di abbracciare la vita solitaria, entrando nell'eremo di Fonte Avellana, monastero camaldolese non molto grande, che fu però fucina di santi (76, secondo la tradizione camaldolese) e di futuri vescovi, importantissimi per la riforma della Chiesa. Pier Damiani fu eletto priore nel 1043 e divenne protagonista di numerose nuove fondazioni, propagando con zelo la vita eremitica quale culmine della vita monastica cenobitica. Ma basta dare un'occhiata alle sue lettere, raccolte in otto volumi nell'Opera omnia, per capire come questo eremita fosse particolarmente attento alle piaghe di cui la Chiesa del suo tempo soffriva, soprattutto la simonia e l'omosessualità nel clero, cercando di denunciare il male, consigliare i pastori, papi inclusi, perché mettessero mano ad una coraggiosa riforma. Per questa ragione, papa Stefano IX (1020-1058) nel 1057 lo nominerà vescovo di Ostia e cardinale; carica che pare abbia accettato solo sotto pena di scomunica e che sopportò per soli dieci anni, ottenendo poi di ritornare alla vita eremitica. Ma facciamo un passo indietro. Con il pontificato di Leone IX (1002-1054), san Pier Damiani iniziava la sua influenza significativa sulla riforma della Chiesa. Due sono gli scritti di denuncia dei peccati del clero, diffusi e gravissimi, con la proposta di una linea più decisa e rigorosa da parte del papa: il Liber Gratissimus del 1052, sulla simonia, e il Liber Gomorrhianus, composto nel 1049, sull'omosessualità negli ecclesiastici. Entrambi gli scritti furono accolti da Leone IX, ma qualcosa nel rapporto tra i due finì presto per incrinarsi. Più tardi, nel 1059, scrisse anche un piccolo libro, il De cælibatu sacerdotum, appunto per esortare papa Nicola II (980 ca - 1061) ad agire contro i prelati che avevano concubine e che violavano la castità propria del loro stato. LINEA FERMA CONTRO LA SIMONIA E L'OMOSESSUALITÀ Quanto alla prima pubblicazione, Pier Damiani proponeva una linea ferma contro la simonia, ma nello stesso tempo spiegava che le ordinazioni conferite a o da prelati simoniaci erano comunque valide. Sul fronte opposto, il cardinale Umberto da Silva Candida (†1061), nell'Adversus simoniacos, sosteneva invece la necessità di riordinare quanti avevano ricevuto l'ordinazione da vescovi simoniaci. Leone IX appariva fortemente indeciso al riguardo, e fu solo con Nicola II, durante il Sinodo romano del 1060, che si prese la posizione definitiva della non riordinazione. Ma ancora più curiosa appare la gestione di Leone IX riguardo al problema dell'omosessualità. Il Liber Gomorrhianus rappresentava il più forte e chiaro tentativo di colpire al cuore questa piaga presente nel clero, che Pier Damiani chiamava «quadruplice vizio», in riferimento alle quattro modalità concrete con cui la pratica omosessuale si concretizzava, a partire dal peccare con sé stessi, che egli considerava come un primo grado del peccato contro natura, fino all'atto propriamente sodomita. La posizione di Pier Damiani, che pure non intendeva arrogarsi dell'autorità di comminare sanzioni ecclesiastiche, fu molto ferma e decisa non solo per la gravità del peccato contro natura, ma anche e soprattutto per il fatto che veniva commesso da chierici. Dichiarava infatti «contrario alla ragione e alle sanzioni dei Padri» che «quelli che si macchiano abitualmente con questa malattia purulenta osino entrare nell'ordine e rimanere nel loro grado». San Pier Damiani sosteneva dunque che quanti erano abitualmente implicati in qualcuna di queste quadruplici colpe, foss'anche quella non più grave, dovevano essere dimessi dallo stato clericale. Leone IX, nella lettera Ad splendidum nitentis (1054), rispondeva personalmente all'eremita, condividendo la ferma condanna della «sfrenata licenza della fangosa lussuria» e riconoscendo che quanti si sono macchiati di queste colpe sono sempre stati «rimossi da tutti i gradi della chiesa immacolata», a norma dei sacri canoni. Ma, non senza contrariare Pier Damiani, il Papa decise di operare «con maggiore benevolenza», permettendo che fossero reintegrati nel proprio grado dell'ordine sacro quanti, purificati da una «degna penitenza» e dopo aver messo «un freno alla libidine», erano sì rei, «ma con una pratica non lunga né con molte persone» e purché non avessero «peccato nelle terga». LE PERVERSIONI NEL CLERO Una decisione sicuramente di condanna, ma che lasciava ampi margini di interpretazione, rischiando di fiaccare la lotta contro l'omosessualità attiva nel clero: cosa significava una «pratica non lunga»? E cosa si intendeva con «molte persone»? Che tra i due ci sia stato un certo distanziamento, sembra attestarlo una lettera (cf. PL 144, 208B-209C) scritta tra il 1050 e il 1054; Pier Damiani rimprovera il Papa di aver creduto ad alcune menzogne contro di lui, senza aver voluto verificare i fatti. Chi e per quale ragione abbia diffuso delle falsità a danno dell'eremita non è dato saperlo; e nemmeno sappiamo il contenuto di queste menzogne. Sta di fatto che il pontificato di Leone IX scivolò via, senza troppo ferire quegli ecclesiastici che praticavano l'omosessualità. Ma il Liber Gomorrhianus doveva andare incontro ad una sventura ancora più singolare. Quando, nel 1061, Anselmo da Baggio venne eletto Papa, scegliendo il nome di Alessandro II (+1073), sembrava suonata l'ora per le perversioni nel clero. Anselmo da Baggio era stato, insieme a Pier Damiani, protagonista della riforma della Chiesa di Milano; tra loro c'era comunione di intenti ed amicizia. Inoltre papa Alessandro doveva all'amico una strenua difesa della legittimità della sua elezione contro l'antipapa Onorio II. Anche le sue prese di posizione da pontefice indicavano una volontà di lottare strenuamente contro simonia e nicolaismo. Eppure, in una lettera (cf. PL 144, 270A-272C) indirizzata a due cardinali (tra i quali Ildebrando di Soana, futuro Gregorio VII), Pier Damiani lamentava che il Papa si era fatto prestare la copia, probabilmente l'unica, di un libro a lui caro (che molti identificano proprio con il Liber Gomorrhianus), e non gliela aveva più restituita. In sostanza, un sequestro. Non è difficile pensare che il libro in questione doveva essere molto scomodo e dare fastidio a più d'uno degli ecclesiastici che operavano nella Curia romana. San Pier Damiani non ebbe dunque vita facile proprio sul versante della denuncia dell'omosessualità nel clero. I pontefici erano di certo contrari a questa piaga, ma sembravano approcciarsi alla riforma con il freno a mano. Una certa vaghezza di Leone IX prima, e una probabile volontà di non urtare gli avversari di Pier Damiani da parte di Alessandro II poi, lasciano comprendere che evidentemente il problema era non solo diffuso, ma anche penetrato fin negli uomini più vicini ai papi. I quali evidentemente ne avvertivano la pressione. Il caso di Leone IX è poi particolarmente significativo: dietro a quel suo modo di agire “più umano”, non si può forse vedere il problema molto pratico che, a dimettere dallo stato clericale tutti quelli che si erano macchiati del «quadruplice vizio», ci sarebbero stati non pochi problemi a trovare sufficienti sostituti?
    9m 46s
  • Sacerdote scomunicato perchè afferma che papa Francesco non è un vero papa

    10 JAN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7663 SACERDOTE SCOMUNICATO PERCHE' AFFERMA CHE PAPA FRANCESCO NON E' UN VERO PAPA di Luisella Scrosati Le sanzioni adottate dal vescovo di Livorno, monsignor Simone Giusti, ai danni del parroco di San Ranieri in Guasticce, don Ramon Guidetti, hanno fatto il giro del mondo. Il 1° gennaio 2024, il Cancelliere vescovile, don Matteo Giavazzi, ha comunicato al clero e ai fedeli diocesani che don Guidetti è incorso nella scomunica latæ sententiæ per il fatto di aver compiuto «un atto di natura scismatica» durante la Celebrazione eucaristica del 31 dicembre 2023, «rifiutando la sottomissione al Sommo Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti». Cerchiamo di capire come sono andate le cose. Durante la Messa del 31 dicembre scorso, don Guidetti ha pronunciato una lunga omelia di circa venti minuti, salutata con un applauso finale, nella quale il parroco ha sostanzialmente spiegato che Benedetto XVI non avrebbe mai rinunciato al munus petrino e dunque sarebbe rimasto papa fino al giorno della sua morte; Francesco non sarebbe dunque un vero papa. Nell'omelia don Guidetti ha salutato «padre Alessandro Maria Minutella», il sacerdote palermitano scomunicato nel 2018 e dimesso dallo stato clericale nel novembre del 2021, come «paladino della verità». Quindi ha nominato i sette sacerdoti che si sono uniti a Minutella nel Sodalizio Sacerdotale Mariano, secondo don Guidetti, «i Magnifici sette», tutti colpiti da sanzioni ecclesiastiche. Verso la metà dell'omelia, don Guidetti ha iniziato ad alzare i toni, riferendosi alla «falsa chiesa, del signor Bergoglio e dei suoi mercenari», criticando preti, vescovi, cardinali «che continuano a girarsi i pollici e sanno tutto», ossia «sanno che c'è uno scisma da dieci anni, sanno che c'è la massoneria che governa, sanno che costui non è il papa, lo sanno ma tacciono. E poi ti tacciano». Quindi il riferimento a Bergoglio come all'«innominato, non lo nomino (...) massone, un gesuita massone legato ai poteri mondialisti, usurpatore e antipapa». E l'annuncio: «Ed ecco che da domani, a questi valenti sacedoti si aggiunge il sottoscritto». SCOMUNICA LATÆ SENTENTIÆ Queste le parole più significative dell'omelia. Mons. Giusti ha aggiunto alcuni dettagli della vicenda nella sua intervista a Il Telegrafo di Livorno; don Ramon «era stato già ammonito a non compiere quell'atto prima di Natale e alla fine aveva convenuto di soprassedere alle sue intenzioni, capendo la gravità della cosa. Poi alla messa del 31 dicembre la sua dichiarazione di rottura, a quel punto inattesa, contestando l'elezione di Papa Francesco, il suo ministero e la sua autorità, celebrando non in comunione con il Papa, con atteggiamento scismatico». Il vescovo di Livorno chiarisce dunque che il sacerdote era già stato richiamato ed aveva, apparentemente, accettato il richiamo. Inoltre, don Guidetti ha celebrato una Messa non una cum, ossia una Messa nella quale, durante la Preghiera eucaristica, non si è menzionato il Papa, come avviene nel tempo di sede vacante. Continua il vescovo: «L'ho chiamato lo stesso 31 dicembre dopo la messa e non ha risposto. Lui aveva già fatto i bagagli e aveva lasciato le chiavi non a me, ma ad una signora della parrocchia, andandosene via subito dopo, risucchiato in gruppi scismatici che si contrappongono alla Chiesa. Era stato tutto preordinato». Dunque, la decisione presa dal vescovo di rendere nota la scomunica latæ sententiæ, nella quale il sacerdote è incorso ipso facto per scisma, appare motivata da più atti di natura scismatica compiuti dall'ex parroco: dichiarazione pubblica che Francesco non è papa, rifiuto di celebrare una cum, abbandono repentino della parrocchia per unirsi a un sodalizio scismatico. La conferma dell'adesione ad uno scisma, proviene dalla bocca dello stesso don Guidetti, che così ha commentato le sanzioni del vescovo di Livorno: «Ci farò una bella cornicina e lo appenderò al muro e sarà qualcosa di cui mi vanterò ben volentieri», disconoscendo in questo modo l'autorità del proprio vescovo. Per quanto sia indubbiamente indisponente vedere sanzioni che scattano con estrema velocità verso quei sacerdoti che criticano l'attuale pontificato, mentre non vengono comminate o addirittura tolte ad abusatori plurimi ed eretici, rimane il fatto che le sanzioni prese da mons. Giusti sono corrette. Questo punto va chiarito: don Guidetti non ha semplicemente criticato, anche con toni forti, azioni, parole, documenti di questo pontificato, ma ha usurpato il giudizio della Chiesa su chi sia o non sia il legittimo pontefice. Il problema non è avere dubbi in foro interno, purché fondati; ma riconoscere che si tratta appunto di dubbi, che attendono un giudizio da parte della sola autorità che si può pronunciare in questo ambito: la Chiesa. SAN TOMMASO D'AQUINO Oltre alla chiara posizione di san Roberto Bellarmino sulla questione del papa eretico (vedi nota in fondo a questo articolo), bisogna ricordare la posizione classica di san Tommaso (cf. Summa Theologiæ III, q. 82, a. 9): è solo a partire dalla sentenza della Chiesa che diviene lecito e obbligatorio non comunicare più con scismatici, eretici e scomunicati, ossia non partecipare alle loro messe e non ricevere da loro i sacramenti. Discorso analogo vale per la legittimità di un papa, che è stato riconosciuto tale dall'universalità della Chiesa, in quanto dubbi sono stati sollevati solo molto tempo dopo (sul finire del 2015 circa) e non hanno mai trovato eco tra i membri legittimi dell'episcopato. Prima di una eventuale sentenza della Chiesa, chiunque si arroghi il diritto di giudicare della legittimità di un papa usurpa il giudizio della Chiesa. Rimane un altro fatto, che deve far riflettere. L'omelia di don Ramon è stata accolta da uno scroscio di applausi. Né si può tacere che vari movimenti scismatici, incluso il Sodalizio Sacerdotale Mariano, stanno vedendo affluire sempre più simpatizzanti. È un dato di fatto: la sempre più marcata confusione e grave problematicità di questo pontificato sta spingendo sempre più persone fuori dalla Chiesa. E questo problema non lo si risolve sanzionando, seppur giustamente, uno o più sacerdoti. La rabbia e l'agitazione stanno crescendo a dismisura tra i fedeli e il clero, portando ad assumere posizioni che, anziché soccorrere la Chiesa, la feriscono ancora di più, oltre che mettere in serio pericolo la salvezza delle anime. Fiducia supplicans è stata una ulteriore tragica e colpevole spinta in questo senso. I pastori della Chiesa devono assumersi la responsabilità di questa parte del gregge, andare loro incontro per tutte le loro legittime richieste, senza continuare a inacerbirsi contro questi fedeli, i quali hanno bisogno di liturgie sacre, di sana dottrina, di vicinanza effettiva ed affettiva da parte dei loro pastori. E devono farlo capire a papa Francesco, che è all'origine di misure e parole sempre più esasperanti. Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Un Papa eretico? Cosa ne pensava san Roberto Bellarmino" parla del giudizio su un eventuale Papa eretico. San Bellarmino aveva chiaro che nessuna autorità umana può deporre un Papa. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 3 dicembre 2023: La condanna post mortem di papa Onorio è un fatto storico. Non è affatto certo che tale condanna fosse ben meritata, ma è invece pacifico che essa si trovi nero su bianco negli atti di tre concili, approvati dai romani pontefici. La questione merita una "digressione". Quella del "papa eretico" è certamente una possibilità remota, ma non per questo irreale o impossibile. Ed è una vexata quæstio, che da ipotesi teologica è divenuta, nell'ultima metà di secolo, motivo di numerosi scismi. Il punto critico e forse insuperabile del problema sta nel principio inviolabile per cui prima sedes a nemine iudicetur - la prima Sede, ossia la Sede Apostolica, non può essere giudicata da nessuno. Dunque, se non può essere giudicata, chi può deporre il papa eretico? Cercando di semplificare, senza tradire il pensiero soggiacente alle differenti correnti contemporanee sedevacantiste, la loro tesi di fondo è che un papa manifestamente eretico si separa da sé dalla Chiesa, decadendo così dall'ufficio petrino. Non si tratterebbe dunque di giudicare il papa, ma semplicemente di discernere che il papa non è più tale, a causa della sua eresia. Né si tratterebbe di deporlo, ma di prendere atto che si è deposto da sé con la propria eresia o, se si preferisce, che è stato deposto dalla legge divina. Questa posizione assomiglia molto alla seconda delle cinque tesi discusse da san Roberto Bellarmino, nel suo De Romano Pontifice, secondo la quale il papa eretico è deposto ipso facto da Dio e quindi separato dalla Chiesa, della quale dunque non è più papa. L
    17m 9s
La pungente penna di chi sa coniugare una profonda fede con l'insegnamento della Chiesa
Information
Author BastaBugie
Categories Christianity
Website -
Email -

Looks like you don't have any active episode

Browse Spreaker Catalogue to discover great new content

Current

Looks like you don't have any episodes in your queue

Browse Spreaker Catalogue to discover great new content

Next Up

Episode Cover Episode Cover

It's so quiet here...

Time to discover new episodes!

Discover
Your Library
Search