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Il Punto della Settimana

  • Carlo Nordio apprendista stregone? | Il Punto della Settimana

    2 JUN 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Non è detto che la riforma della giustizia approvata nell’ultimo Consiglio dei Ministri sia destinata a diventare realmente operativa nel prossimo futuro. Il percorso - sia sul piano parlamentare, che, eventualmente, poi su quello referendario - si preannuncia, infatti, già fin da ora, piuttosto lungo e accidentato, viste le reazioni immediate delle associazioni dei magistrati e di alcuni partiti, i quali difficilmente rinunceranno ad alzare le loro barricate contro le innovazioni introdotte dal ministro guardasigilli Carlo Nordio, al fine di modificare sensibilmente il nostro ordinamento giudiziario. Tuttavia, in ogni situazione, se nessuno si decide mai a compiere un passo d’avvio, è chiaro che lo status quo finirà per rimanere tale fino alle calende greche... E a Nordio ed al Governo in generale, va, appunto, dato atto di avere iniziato un percorso, al termine del quale una nuova legge costituzionale sancirà la separazione delle carriere tra i magistrati giudicanti e quelli requirenti. Naturalmente, in questi ultimissimi giorni, siamo stati un po’ tutti bombardati dagli allarmismi e dai disperati S.O.S. di quanti – politici, magistrati e giornalisti – ci hanno chiamati alle armi per difendere l’indipendenza della magistratura e, quindi, in definitiva, anche il fondamento stesso della democrazia in Italia. Per colpa di un ministro che si comporta come un apprendista stregone, il nostro Paese starebbe prendendo una pericolosa deriva autoritaria (o, comunque, caotica), contro la quale chiunque abbia a cuore le sorti della patria deve assolutamente mobilitarsi, manifestando la propria contrarietà. Noi però, ci permettiamo di dissentire da tutta questa ostilità preconcetta nei confronti di una riforma che, in fondo, a ben guardare, non fa altro che avvicinare la nostra macchina giudiziaria a quella di altri Paesi incivili o tirannici come Svezia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Portogallo o Canada...Paesi nei quali, molto semplicemente, a livello processuale, PM e avvocati giocano a parità di condizioni, poiché la funzione di chi giudica è distinta in modo chiaro da quella di chi, invece, rappresenta l’accusa. Ci congediamo da voi, proponendovi questo breve estratto che abbiamo ripescato da una mozione congressuale di un partito italiano di qualche anno fa: in esso si legge che “il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. Bene, il congresso era quello del PD e, tra i firmatari del documento, figurava anche Deborah Cerracchiani, oggi responsabile per la giustizia di quel Partito.… __________________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
    2m 21s
  • Censura e sopraffazione | Il Punto della Settimana

    19 MAY 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Sta diventando ormai una cosa normale – e non solo in Italia – interrompere un evento pubblico per impedire  a qualcuno di parlare e di esprimere liberamente le proprie opinioni. Probabilmente il caso più eclatante è stato quello che si è verificato, nei giorni scorsi, in occasione degli Stati Generali della Natalità,  quando alla ministra Eugenia Roccella gli schiamazzi di un gruppo di contestazione hanno, sostanzialmente, negato il diritto di parola, infischiandosene beatamente del fatto che quest’ultimo sia assolutamente garantito proprio da quella Costituzione della quale chi, in quella circostanza, ha alzato così la voce, pretenderebbe di essere un alfiere. Al di fuori dell’area politica cui appartiene la Roccella, non ci pare di aver ascoltato voci che avessero il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere che l’increscioso episodio aveva preso chiaramente i connotati di quello che solitamente si definisce un atto di sopraffazione. Anzi, al contrario, abbiamo dovuto apprendere che la colpa di tutto quanto accaduto era della stessa Roccella  perché portatrice di istanze assolutamente intollerabili per qualsiasi coscienza democratica. E poi cosa volete che sia argomentare le proprie opinioni sotto un diluvio di insulti e di fischi...basta alzare il volume del microfono e tutto si risolve….Inoltre, la ministra non ha subito alcuna censura, dal momento che la censura viene sempre applicata da chi ha il potere verso chi non ne ha. E su questo ultimo punto, ci pare che le obiezioni degli “anti Roccella” siano tecnicamente corrette, anche se ci viene da pensare che qualora, a parti invertite, la titolare del dicastero per la Famiglia fosse stata di Sinistra, la maggior parte dei giornali e dei talk show avrebbero automaticamente parlato di “squadrismo”...Proviamo ad immaginare, tanto per fare un esempio, cosa ci toccherebbe leggere se un comizio di Elly Schlein venisse turbato dalla presenza di militanti leghisti intenzionati a coprire il suono della sua voce con cori ed urla da stadio… In conclusione, ci domandiamo se esistano situazioni nelle quali possa essere politicamente e giuridicamente accettabile la sospensione delle garanzie costituzionali relativamente alla libertà di espressione. Per quanti hanno silenziato la Roccella (o, comunque, hanno giustificato l’accaduto) si direbbe di si: purché, naturalmente, siano sempre loro a stabilire quando sia davvero giusto togliere la parola a chi la pensa diversamente... Noi, invece, continuiamo a credere che esistano diritti che non possono essere messi in discussione, nemmeno in circostanze eccezionali, dal momento che il loro esercizio non limita la libertà e la sicurezza di nessuno. Ed il diritto a non essere sopraffatti da chi pretende di toglierci la parola è, forse, il primo tra quelli che ci ostiniamo a considerare ancora intangibili. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
    2m 55s
  • I costi della politica | Il Punto della Settimana

    12 MAY 2024 · A cura di Ferruccio Bovio La vicenda di Giovanni Toti ci induce a fare un paio di considerazioni. La prima è quella che è veramente da ingenui pensare che la politica sia un qualche cosa che potrebbe beatamente vivere d’aria e non richieda, invece, da parte dei partiti o anche dei singoli attivisti, un certo impegno per sostenerne i costi. Anche senza strafare e limitando le esigenze di cassa agli elementi più indispensabili, è chiaro che gli affitti delle sedi, gli spostamenti per le campagne elettorali o la stampa di volantini e manifesti qualcuno dovrà ben pagarli... Ecco perché, in Italia, fino a non troppi anni fa, vigeva ancora il sistema del finanziamento pubblico dei partiti, la cui abolizione - avvenuta sull’onda di un moralismo piuttosto velleitario - non ha certo eliminato il bisogno di fondi che, inevitabilmente, caratterizza ogni struttura che voglia darsi un minimo di  operatività. In sostanza, osservando quanto sta capitando oggi in Liguria (ma anche altrove),se fossimo stati tra quelli che, a suo tempo,  si accanirono contro l’ assegnazione di fondi statali alle forze politiche più rappresentative, oggi, molto probabilmente, ci sentiremmo in dovere di recitare un sincero “mea culpa”, riconoscendo l’errore commesso in passato. Dubitiamo però,  di poter assistere, a breve, a revisioni o a pentimenti  in merito a questi problemi: naviga, infatti, in acque molto più tranquille chi si astiene dall’avventurarsi in mari che il qualunquismo giustizialista degli ultimi decenni ha lasciato ancora molto agitati... Tuttavia – e qui veniamo alla seconda considerazione -  in mancanza di un finanziamento pubblico della politica, quale alternativa esiste per garantire, comunque, lo svolgimento di una normale vita democratica? Noi, sinceramente, non vediamo altra via d’uscita al di fuori del sostegno finanziario da parte dei privati. Tertium non datur...Già, ma perché mai un privato dovrebbe finanziare un partito o un leader politico in particolare? Forse perché – e non è da escludere a priori – ne condivide ideali e programmi o forse perché, molto più pragmaticamente, si aspetta di poterne trarre dei vantaggi personali. D’altra parte, in America le cose funzionano così e nessun candidato alle presidenziali si sognerebbe mai di occultare l’origine dei mezzi che gli sono stati messi a disposizione per la sua campagna elettorale. In fondo, il conferimento di denaro a favore di un determinato partito, quando avviene alla luce del sole, diventa anche uno strumento utile per facilitare l’orientamento di chi deve esprimere il proprio voto. Se a pagare alberghi, aerei e spot televisivi per un certo candidato sono la Esso e la Shell, l’elettore che sogna un mondo molto più green saprà come meglio regolarsi di conseguenza, indirizzando magari il suo consenso verso chi è sostenuto da altre lobbies meno “inquinanti”... Certo, il sano presupposto di questo meccanismo di natura esclusivamente privatistica, risiede nel fatto che ogni contributo economico venga fornito in base a ben definiti criteri di trasparenza. Altrimenti, diventa inevitabile l’intervento della magistratura: soprattutto se dovessero affiorare casi in cui i “favori” promessi e successivamente  dispensati dalla politica risultassero in contrasto con una qualunque disposizione di legge. Fatte salve però queste eventuali eccezioni, non ci pare affatto che possa considerarsi automaticamente illecito ogni finanziamento privato a politici e partiti. A meno che non si voglia cogliere un intento criminoso in ogni contatto che avvenga tra mondo della politica e mondo dell’impresa... ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
    3m 38s
  • Il Paese delle morti più assurde | Il Punto della Settimana

    28 APR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Sembra impossibile, eppure dall’Iran ci è giunta la notizia che il rapper dissidente, Toomaj Salehi, è stato condannato a morte da un tribunale rivoluzionario di Teheran, con l'accusa di avere “diffuso la corruzione sulla Terra”. Il trentatreenne musicista è molto popolare in patria, essendosi più volte distinto, attraverso i testi delle sue canzoni, per le critiche rivolte alle azioni repressive ed alle ingiustizie che caratterizzano il regime degli ayatollah. La sua prima carcerazione era già avvenuta nel 2021, quando Salehi venne prelevato nella sua casa di Isfahan per avere denunciato la maldestra gestione economica di un Paese in cui – a suo dire - i bambini non hanno neanche da mangiare, mentre i politici e gli alti burocrati vivono beatamente tra le loro agiatezze, senza provare alcuno scrupolo di coscienza. Successivamente, il rapper ha subito un nuovo arresto nell’ottobre del 2022, per il suo impegno politico e artistico a favore dei movimenti di protesta che avevano investito tutte le piazze iraniane dopo la morte di Masha Amini, la giovane assassinata dalla polizia morale perché scoperta mentre camminava per strada senza velo o, comunque, indossandolo in maniera non conforme alle regole dell’Islam sciita. Rilasciato dopo aver trascorso 252 giorni in prigione, l’indomito cantore dei diritti umani in una repubblica teocratica vi ha fatto rientro dopo soli dodici giorni, a causa di un video in cui, chiamando in causa agenti e funzionari carcerari, descriveva nei dettagli tutte le torture che gli erano state inflitte durante il periodo di detenzione. E questa volta, purtroppo per lui e per tutti i valori che coraggiosamente rappresenta, la sentenza è stata quella che lo condanna alla pena capitale, mediante impiccagione. A questo punto, non sarebbe male se un collega di Toomaj Salehi – ben più fortunato di lui perché vive in un Paese in cui può tranquillamente andare al Festival di Sanremo a parlare incautamente di “genocidio”, senza dover rendere conto a chicchessia di quello che dice - lanciasse un appello alle autorità iraniane affinché fermino la loro mano assassina. Si, non sarebbe affatto male se il signor Ghali, rapper e produttore discografico italo – tunisino, esprimesse la propria solidarietà umana e politica nei confronti dello sventurato autore iraniano, riconoscendo che un conto è fare composizioni musicali in una democrazia europea ed un altro è provare a farle in un sistema in cui l’ultima parola spetta ancora ad una “Guida Suprema”. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
    2m 59s
  • Povero Zelensky | Il Punto della Settimana

    21 APR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Riesce difficile non condividere le parole di Volodymyr Zelensky, il quale, riflettendo ad alta voce sul sostanziale flop registrato dall’attacco missilistico iraniano di sabato scorso, ha lamentato la disparità di trattamento che l’Occidente sembra riservare al suo popolo rispetto a quello israeliano. In fondo, i droni e i razzi che stanno mietendo tante vittime tra i civili del suo Paese, sono gli stessi che i sistemi di intercettazione utilizzati dall’esercito di Gerusalemme e dagli anglo – americani (intervenuti a sostegno dello Stato ebraico) hanno neutralizzato con evidente facilità. Si è chiesto, pertanto il presidente ucraino, se, per caso, il valore delle vite umane venga considerato, dalle cancellerie occidentali, in maniera differente tra una situazione e l’altra. Vale, forse, l’esistenza di chi abita a Tel Aviv qualcosa di più rispetto a quella di chi è nato a Kharkiv?  Sono mesi che, al di là dello stallo agli aiuti economici e militari imposto in Senato a Washington dai rappresentanti del partito trumpiano, il governo di Kiev invoca la fornitura di batterie Patriot per cercare di difendere almeno le sue città principali, ormai rimaste quasi del tutto prive di copertura antiaerea.  D’altra parte, fin dall’inizio del conflitto, le consegne occidentali di sistemi d’arma sofisticati e di munizioni sono avvenuti con estrema cautela , onde evitare di urtare troppo la suscettibilità dei Russi, i quali, sebbene abbiano trovato normale il fatto di superare i confini di una nazione indipendente per occuparla e bombardarla, diventano però estremamente suscettibili quando un’incursione armata ucraina provoca qualche danno nei loro territori... Ecco perché, ad esempio, gli aerei inglesi, francesi e americani si sono levati in cielo per contrastare l’attacco degli ayatollah a Israele, ma si guarderebbero bene dal fare la stessa cosa a protezione del territorio ucraino...Un conto è avere a che fare con la Guida Suprema ed un altro è doversela vedere col nuovo zar del Cremlino...Ecco perché - sia dall’Europa, che dall’America - le forniture militari a Kiev sono sempre arrivate in una misura che consentisse agli Ucraini di reggere, quel tanto che basta, all’urto del nemico, senza però mai permettere loro di attuare una controffensiva in grado di produrre troppi guasti al Paese invasore. Tuttavia, le armi e le munizioni che drammaticamente mancano oggi all’Ucraina non sono quelle che riguarderebbero  la sua capacità offensiva, ma piuttosto quelle che servirebbero alla sua stessa sopravvivenza: e cioè, alla difesa delle sue case, dei suoi ospedali o delle sue centrali energetiche. Per cui, ci appare di un imperdonabile (ed ipocrita) cinismo l’atteggiamento che l’Occidente continua a mantenere nei confronti della “causa ucraina”: un atteggiamento eccessivamente condizionato dal timore di non provocare troppo un nemico che, invece, per parte sua, ha già fin troppo  ben chiarito quali siano le sue reali intenzioni.
    2m 40s
  • Il piano Stoltenberg | Il Punto della Settimana

    7 APR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Il piano da cento miliardi di dollari che il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha presentato ai ministri degli Esteri dei Paesi che costituiscono l’Alleanza Atlantica, comporta un salto di qualità nell’impegno che la NATO stessa aveva, inizialmente, assunto in merito agli aiuti da fornire all’Ucraina. Fino ad oggi, infatti, l’Organizzazione guidata da Stoltemberg non ha mai svolto una funzione diretta nel sostenere Zelensky militarmente, visto che le armi, le munizioni e i supporti di intelligence sono sempre stati messi a disposizione di Kiev dai singoli Stati membri e mai in maniera esplicita dall’Alleanza che, tra l’altro, proprio quest’anno, celebra il suo 75° anniversario dalla fondazione. Questo, essenzialmente per evitare di offrire al Cremlino un assist degno di Gianni Rivera, nell’avvalorare le sue frequenti e pericolosissime accuse di cobelligeranza. Il fatto, invece, di dare vita adesso – come suggerisce il segretario norvegese – ad una nuova struttura che finanzi la causa ucraina (sostituendosi, quindi, ai vari Paesi alleati nel coordinare la distribuzione del materiale bellico), rappresenta, senza dubbio, un qualcosa di molto più audace rispetto ai limiti finora auto imposti e rigorosamente osservati nel delicatissimo conflitto russo – ucraino. In sostanza, il piano Stoltenberg sembra essere il frutto di una accresciuta preoccupazione che induce la NATO a prendere, in tempi rapidi, delle inedite contromisure: se possibile, prima che, malauguratamente, Trump possa rioccupare il posto di Biden alla Casa Bianca e, soprattutto, prima che la situazione sul campo di battaglia - al momento già piuttosto critica - si faccia del tutto compromessa. Tuttavia, cento miliardi di euro di aiuti da suddividersi per i prossimi cinque anni, non è affatto detto che si possano trovare facilmente: specialmente in un’Alleanza in cui – oltre tutto – dei 32 Paesi membri, soltanto Grecia, Gran Bretagna e Stati Uniti rispettano abitualmente quella soglia di investimento minimo in spese militari, che, già dieci anni fa, Barack Obama aveva fissato nella misura del 2% del PIL. E nemmeno sarà agevole raggiungere l’unanimità dei consensi richiesta per concretizzare questa rivoluzionaria svolta operativa che, infatti, prima ancora di essere stata messa in cantiere, ha già riscontrato la sia pur prevedibilissima perplessità ungherese...Ed anche il nostro ministro, Antonio Tajani, con tutta la sua consueta prudenza, ci tiene a sottolineare che la proposta avanzata da Jens Stoltemberg è certamente interessante, ma “va esaminata tecnicamente e giuridicamente”: e, non a caso, aggiunge che l’Italia sarà sempre pronta a difendere, senza alcuna esitazione, il diritto internazionale, anche se un conto è battersi per la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina ed un altro è “fare la guerra alla Russia”... Credits Foto: Agenzia Fotogramma
    3m 11s
  • Pregiudizi atavici e dialoghi interrotti | Il Punto della Settimana

    24 MAR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Negli ultimi giorni, abbiamo assistito, soprattutto nel mondo della cultura e delle Università italiane, al crescere quasi inarrestabile di un furore anti israeliano che, non potendo ancora (per il momento) cancellare dalla carta geografica lo Stato ebraico, fa, comunque, del suo meglio  per cancellare almeno gli accordi di collaborazione reciproca che sono in essere tra le nostre istituzioni universitarie e quelle israeliane. Il caso più recente e clamoroso è stato quello di Torino, dove il Senato Accademico, subendo la pressione (o forse addirittura l’intimidazione) dei soliti collettivi studenteschi terzomondisti, ha votato quasi all’unanimità la sospensione del bando di ricerca in collaborazione con Israele. Eppure, si trattava di questioni inerenti settori agricoli e tecnologici e niente affatto di natura bellica...Tuttavia, non c’è stato nulla da fare, perchè di fronte a quella che, in fondo, è essenzialmente una minoranza minacciosa, i docenti torinesi - volenti o nolenti - hanno abbassato il capo, riconoscendo così dignità politica e culturale a chi è pregiudizialmente portato a vedere tutto il bene nella sola Gaza – governata, fino a ieri, da un gruppo di signori abituati a discutere di politica solamente con il mitra in mano – ed a cogliere, invece, tutto il male in un Paese in cui - nonostante l’indiscutibile punto interrogativo sull’affidabilità democratica di alcuni dei suoi attuali ministri - si tengono pur sempre ancora libere elezioni (cui partecipano inoltre, senza alcuna restrizione, anche partiti arabi). Un Paese in cui si possono professare tutte le religioni e tutte le filosofie del mondo senza mettere in gioco la propria vita ed in cui, alla faccia di tante ingiustificate accuse di apartheid, cittadini israeliani palestinesi e musulmani raggiungono, tranquillamente, i vertici delle più importanti istituzioni nazionali come, ad esempio, la magistratura e, appunto, l’università. Nelle nostre aule universitarie si respira, dunque, un’aria di censura aprioristica nei riguardi di tutto ciò che proviene da Israele e dalla sua cultura. Cultura che, tra l’altro, si compone anche di voci che sono spesso in assoluto contrasto proprio con le politiche portate avanti dal governo Netanyahu... Non esiste, quindi, a nostro parere, un motivo politico veramente valido, che impedisca alle università italiane di rimanere aperte al dialogo con le realtà accademiche di una Nazione che, oltre tutto, in determinati campi ha pure raggiunto livelli di assoluta eccellenza. Perchè, dunque, interrompere scambi di esperienze in settori in cui, specialmente sul piano tecnologico ed industriale, l’Italia avrebbe tutto da guadagnare? Forse perché Israele, secondo certi fini politologi nostrani, sarebbe uno stato canaglia da lasciar cuocere nell’isolamento più totale? Certo, è difficile spiegare, se non ricorrendo alle ataviche (ma tuttora ben vitali) pulsioni antisemite che albergano in larghi strati  delle nostre società europee, il motivo per cui si cancellino, senza indugio, le collaborazioni con le istituzioni israeliane, ma ci si guardi bene dal mettere in discussione quelle che magari sono in vigore con gli atenei di Paesi in cui una ragazza può morire soltanto perché non indossa correttamente il velo... Ma forse, a ben riflettere, siamo noi ad essere condizionati da pregiudizi che ci impediscono di vedere le cose con lucida obbiettività: se è vero come è vero che, tanto per fare un esempio, è la Repubblica islamica dell’Iran a presiedere la presidenza del Forum Sociale del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite... ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
    3m 43s
  • Se il Governo smentisce i facili profeti di sventura | Il Punto della Settimana

    17 MAR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Se c’è una cosa che, in questa prima fase del governo Meloni, ci ha sorpresi favorevolmente, è il posizionarsi su livelli davvero imprevedibili del tanto temuto spread che, proprio nella settimana che ci siamo appena lasciati alle spalle, ha fatto segnare un dato un più che rassicurante, attestandosi a 1,16 punti percentuali. Francamente, nell’autunno del 2022, eravamo più che convinti del fatto che – tra politiche di finanza allegra (da alcuni fatte balenare in campagna elettorale) e speculazioni internazionali prevenute nei confronti del neonato esecutivo di Destra – la stabilità finanziaria del nostro Paese sarebbe stata destinata a vivere momenti di alta tensione. Invece, le cose sono andate (e sembrano tuttora andare) in modo piuttosto soddisfacente, se è vero come è vero che persino l’autorevolissimo Financial Times si è scomodato per tracciare un parallelo tra la nostra economia e quella tedesca che, almeno per il momento, risulta premiare quella del Bel Paese. E non a caso, lo spread tra il costo di un prestito decennale tra le due maggiori economia manifatturiere del Continente si è ultimamente collocato sulla soglia minima più bassa degli ultimi due anni. Pertanto, lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha mancato di evidenziare come, fino a poco tempo fa, ben pochi avrebbero potuto immaginare una tendenza così funzionale alla riduzione del deficit di bilancio. E’ presumibile, inoltre, che certi numeri non debbano mettere granchè  di buon umore quegli avversari politici di Giorgia Meloni che, con una certa supponenza, avevano pronosticato per il suo governo una deriva di spese dissennate e di contrasti con l’Unione Europea. Invece, bisogna dare atto alla nostra premier di aver saputo finora gestire con oculatezza sia i conti del Paese, che i rapporti con quella che, inizialmente, era la diffidente burocrazia di Bruxelles: e non a caso, la Banca d’Italia prevede, per il 2024, una crescita del nostro PIL dello 0,6%, che non sarà certo entusiasmante, ma che è pur sempre superiore, ad esempio, a quella della Germania che oggi è stimata nella misura dello 0,4%. Al momento, i titoli del nostro debito pubblico godono, quindi, di una certa fiducia da parte degli investitori (anche esteri), che evidentemente li percepiscono come l’espressione di un’economia solida e affidabile: basti pensare che una recente emissione sui mercati internazionali  di BTP da 10 miliardi di euro ha ricevuto richieste addirittura per 155 miliardi. E si tratta, indubbiamente, di un risultato eccellente e, solo pochi mesi fa, ancora del tutto impensabile. Un risultato ottenuto, tra l’altro, in uno  scenario economico globale che, di questi tempi, non lascia  certamente spazio a facili e stimolanti ottimismi. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
    3m 8s
  • Genocidio | Il Punto della Settimana

    10 MAR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio In questi giorni ci capita sempre più frequentemente di sentir fare un uso inappropriato della parola “genocidio”. Forse, al di là della possibile buona fede di chi parla anche di cose che ignora  (e, per carità, ha tutto il diritto di farlo), non sarebbe male se almeno però lo facesse andandosi prima a leggere la definizione che, di questo orrendo crimine, è stata data, nel 1944, dal giurista polacco, Raphael Lemkin, il quale, in proposito, parlò di “ atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Definizione che è poi stata accolta anche dall’ONU, quando, con la Risoluzione 260 del 9 dicembre 1948, pubblicò la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio”.  Pertanto, il concetto di genocidio si fonda su particolari requisiti, la cui sussistenza va sempre rigorosamente accertata, onde evitare di avventurarsi su percorsi nei quali è facile inciampare ed andare culturalmente incontro a brutte figure. Sappiamo bene come le sofferenze che, al momento, vengono imposte alla popolazione civile di Gaza assomiglino davvero molto da vicino ad alcune tra le più intollerabili sopraffazioni della Storia: tuttavia, in tutto ciò che sta oggi sciaguratamente capitando in Medio Oriente, non ci pare di poter cogliere la presenza di quei presupposti ideologici che autorizzino a parlare apertamente di genocidio. Riteniamo, infatti, che i lutti inflitti dagli Israeliani ai Palestinesi non siano assolutamente da interpretare come  l’inevitabile conseguenza di un disegno pianificato e finalizzato alla cancellazione dalla faccia della Terra di una ben determinata componente umana. Piuttosto, vanno considerati come il doloroso risultato di una spietata azione di guerra che, comunque, reagisce pur sempre ad una gravissima aggressione, quale fu quella del pogrom scatenato da Hamas lo scorso 7 ottobre. Intendiamoci, la strage di civili impotenti in corso a Gaza, è senza dubbio un fatto di una gravità sconvolgente (specialmente per chi, come noi, è da sempre schierato dalla parte di Israele): ciò nonostante, per definire quanto di orribile sta accadendo, pensiamo sarebbe più corretto affidarsi ad altre espressioni come “crimini di guerra” o magari anche “crimini contro l’umanità”. Lo Stato ebraico ha, in passato, firmato trattati di pace con Paesi arabi come la Giordania o l’Egitto e non si può certo dire che non li abbia regolarmente rispettati. Ed anche i più recenti Accordi di Abramo, a tutto possono far pensare tranne che ad una bieca volontà di sterminare deliberatamente le genti che vivono nei Paesi arabi confinanti...Se mai, se proprio dobbiamo cercare l’incombere di una minaccia di annientamento etnico nella Regione, suggeriremmo di aprire lo Statuto di Hamas... magari all’art.7 dove si legge “l’ora finale non giungerà finché i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani li uccideranno”. Si noti bene che non si parla di israeliani, ma di ebrei…e, quindi, non di politica, ma di religione... Certo, non c’è che dire: il governo Netanyahu sta facendo davvero del suo meglio per offrire su un piatto d’argento, agli anti semiti di ogni matrice, un’occasione veramente ghiotta (quanto insperata) per poter finalmente denunciare, “urbi et orbi”, quel presunto  ribaltamento dei ruoli, che vedrebbe un popolo trasformarsi da vittima in carnefice, divenendo sostanzialmente autore di una sorta di nuova Shoah. Insomma, quasi fossimo in presenza di un contrappasso di dantesca memoria... Due giorni fa, Pierluigi Battista ha scritto sull’Huffington Post che Israele ha commesso un gravissimo errore  a non diffondere le immagini e gli audio raccapriccianti degli orrori perpetrati da Hamas in quella tragica mattina di ottobre. A suo parere, bisognerebbe davvero che ne prendessero atto coloro che gridano superficialmente al “genocidio”, senza comprendere per nulla la mostruosità di quanto è realmente avvenuto. E forse allora – continua Battista - ci penserebbero “due volte prima di accodarsi ai cortei complici in cui si invoca la fine dello Stato degli ebrei”. Noi siamo più pessimisti e crediamo, invece, che non ci sia nessuno più sordo di chi non vuole sentire e che, quindi, neanche la visione dei bambini fatti a pezzi o infilati nei forni tra l’entusiasmo dei loro assassini, possa cambiare qualcosa nella mente e nell’animo di chi agli ebrei ha sempre, comunque, negato il diritto di esistere.
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  • Non solo Gaza: c’è anche un’altra Striscia ad alta tensione | Il Punto della Settimana

    3 MAR 2024 · A cura di Ferruccio Bovio Come era esteso il territorio che costituiva l’Unione Sovietica e da quante popolazioni era abitato...Una miriade di repubbliche, città, fiumi ed etnie che, in tutta sincerità, a noi hanno sempre fatto – e fanno ancora - perdere l’orientamento sulla carta geografica. Tuttavia, si tratta di nomi – spesso quasi impronunciabili - che, soprattutto a partire dalla dissoluzione dell’impero comunista, hanno cominciato ad imporsi all’attenzione sia dei media, che delle cancellerie occidentali. Che cosa è, ad esempio, la Transnistria, dove si trova e perché è oggi divenuta un tema al centro di tante analisi geo politiche? Cominciamo col dire che la Transnistria è una striscia di terra posta tra la Moldavia (cui ufficialmente appartiene ancora, nonostante se ne sia staccata, nel 1990, rivendicando la propria indipendenza) e l’Ucraina. La comunità internazionale non la riconosce e, pertanto, il governo separatista che la guida è, di fatto, sostenuto - sia a livello politico / economico, che militare - dalla Federazione Russa che, non a caso, vi mantiene, permanentemente, di stanza circa 1.500 soldati. Inoltre, nel 2006, un referendum sull’indipendenza ha visto nuovamente prevalere la richiesta di indipendenza, invocando addirittura un’unione con la Russia stessa. Come appena detto, il distacco dalla Moldavia è avvenuto nel 1990, dopo che il governo di Chisinau – alzi la mano chi già conosceva questa Capitale – aveva imposto il moldavo come lingua ufficiale in sostituzione del russo che è l’idioma più diffuso in Transnistria. Fu in quella circostanza, che le forze paramilitari russofone e separatiste presero il controllo di tutte le istituzioni pubbliche locali ed iniziarono una guerra di logoramento destinata a concludersi soltanto nel luglio del 1992, allorchè fu creata una zona di sicurezza demilitarizzata, garantita dalle truppe del Cremlino, che erano già presenti in quell’area. Al momento, la Transnistria dispone di una propria moneta, di un parlamento e di una bandiera che, tra l’altro, è l’unica in tutta Europa a portare ancora il simbolo della falce e martello. La sua reputazione non è delle migliori, in quanto viene considerata come una sorta di oasi di corruzione, di traffico d’armi, di riciclaggio di denaro e di criminalità organizzata. A Tiraspol, il suo centro principale, è rimasto – a testimoniare la nostalgica vicinanza con il passato sovietico - un busto di Lenin, davanti al palazzo municipale che – guarda caso – ha mantenuto la denominazione di Casa dei Soviet. Adesso, mercoledì 28 febbraio, le autorità della Transnistria, hanno chiesto la protezione della Russia contro le presunte “provocazioni” di Chisinau, in uno scenario caratterizzato dalle forti tensioni legate al conflitto in Ucraina. Al termine di un congresso straordinario tenutosi a Tiraspol - il primo dal 2006 - i deputati della Transnistria hanno, infatti, emesso un comunicato in cui invitavano la Duma ( vale a dire il Parlamento russo) ad attivarsi “per proteggere la loro regione – in cui vivono, appunto, più di 220mila Russi - dalla crescente pressione della Moldavia”. Nel comunicato, si legge che “la Transnistria sta affrontando minacce senza precedenti di natura economica, socio-umanitaria e politico-militare”. E sono parole che ricordano molto da vicino quelle pronunciate dai separatisti filorussi dell’Ucraina orientale nel febbraio 2022 e che sono poi diventate uno dei pretesti con i quali il presidente russo Vladimir Putin ha giustificato la sua “operazione militare speciale”. Speriamo bene... ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
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