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  • I monumenti storici di Grottaglie: la Chiesa della Madonna del Lume

    23 APR 2024 · Tanto semplice e modesta all’esterno con una facciata incompleta caratterizzata da un finestrone a polpo rovesciato che richiama quello della Congrega del Purgatorio e abbellita dalle due nicchie in cui sono ospitate le statue a mezzo busto di San Gaetano e San Andrea Avellino.  
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  • Grottaglie, storia e territorio: ecco com'era la città secoli fa

    5 APR 2024 · Aggirandoci tra le vie e le ‘nchiosce del centro storico possiamo a volte immaginare, altre volte avere palese testimonianza di come fosse Grottaglie decenni o secoli fa.   Alcuni luoghi sono quasi immutati da secoli, come il castello episcopio o la chiesa matrice; altri hanno subito modifiche e cancellazioni – dovute agli oltraggi del tempo, all’incuria degli uomini o rese necessarie dal mutare delle esigenze della popolazione.   Andare alla scoperta di come una città è cambiata nel corso del tempo può riservarci piacevoli sorprese e interessanti conferme, percorrendo un viaggio nel tempo che possiamo intraprendere quasi senza spostarci da casa. 
    50m 46s
  • I monumenti storici di Grottaglie: Palazzo Cicinelli

    8 MAR 2024 · Come può la storia di una famiglia che per secoli ha inciso profondamente nella vita economica, politica e sociale di un territorio essere quasi completamente cancellata, senza praticamente lasciare alcuna traccia nella città che ha dominato? In realtà qualche testimonianza la possiamo trovare, a patto di saperla cercare. Facciamolo insieme!
    13m 6s
  • Bagnardi ricorda Rocco Maggi

    2 MAR 2024 · La città di Grottaglie, e non solo, dà l'ultimo saluto a Rocco Maggi.Nato il 4 novembre 1948 è stato, tra gli altri, Sottosegretario di Stato per la Giustizia dal 27 aprile 2000 al 10 giugno 2001 nel Governo Amato II, con ministro Fassino. Carlo Caprino ha incontrato il già più volte sindaco di Grottaglie Raffaele Bagnardi che ne traccia un profilo.
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  • I monumenti storici di Grottaglie: la Chiesa Madre

    21 FEB 2024 · Edificata nel 1379 sotto la direzione del maestro Domenico di Martina, la chiesa matrice di Grottaglie, conosciuta anche come Collegiata dedicata a Maria SS. Annunziata è uno dei pochi monumenti di cui conosciamo con certezza anno di realizzazione e architetto costruttore, grazie ad iscrizione in caratteri gotici presente sulla facciata. Edificata a cura dell’arcivescovo Giacomo d’Arti, a cui si deve anche la realizzazione del castello e della cinta muraria cittadina, la chiesa prese quasi certamente il posto di una struttura preesistente, rivelatasi col tempo troppo angusta a causa dell’aumento della popolazione e da allora, posta tra l’oratorio della Confraternita del Purgatorio ed il palazzo baronale, testimonia la fede dei grottagliesi.
    17m 2s
  • I monumenti storici di Grottaglie: il Castello episcopio

    28 NOV 2023 · Un tempo soggetto prediletto per le cartoline postali illustrate che i turisti spedivano agli amici dal luogo delle loro vacanze, da secoli segno tangibile del potere temporale esercitato dagli arcivescovi di Taranto sul popolo di Grottaglie, il castello episcopio si affaccia sulla gravina di San Giorgio, nella zona sud-orientale del quartiere in cui hanno sede la maggior parte delle storiche botteghe figuline e fu realizzato per volere dell’arcivescovo Giacomo d’Atri, che esercitò il suo mandato pastorale negli anni che vanno dal 1354 al 1381, quando il 15 luglio fu trucidato da mani ignote per motivi, forse passionali o forse politici, ancora oggi rimasti oscuri. Per dotarsi di una residenza all’altezza del suo rango, e – probabilmente – per motivi eminentemente pratici, Giacomo d’Atri fortificò la residenza episcopale trasformandola in un imponente castello, che venne affiancato - a scopo difensivo - da una cinta muraria che delimitava il centro abitato ed era dotata di quattro porte, due delle quali ancora oggi visibili. A differenza di altre costruzioni fortificate, non si tratta di un edificio costruito ex novo - ma quasi certamente – il castello venne realizzato a partire dall’ampliamento di una masseria fortificata, simile a molte altre esistenti in quel periodo nelle campagne pugliesi. Il castello episcopio si presenta oggi come una costruzione maestosa e imponente, con una superfice complessiva di oltre 6.000 metri quadri e un’altezza massima, riferita alla torre maestra, di oltre 28 metri, ma i numerosi lavori di modifica e adattamento in base al variare delle esigenze degli occupanti rendono molto difficile stabilire con certezza la cronologia delle diverse fasi costruttive. Non è quindi possibile fissare una data precisa di costruzione – come invece si può fare con la Chiesa matrice grazie ad una iscrizione posta sulla sua facciata, altro edificio la cui costruzione Grottaglie deve allo stesso arcivescovo Giacomo d’Atri – ma ci si deve limitare ad individuare, sulla base delle testimonianze storiche oggi disponibili (purtroppo carenti e spesso contraddittorie) dei momenti in cui individuare un prima e un dopo. Se da una parte abbiamo uno storico locale come il Pignatelli che indica nella fine del 1200 il periodo in cui Grottaglie venne fortificata, dall’altra abbiamo monsignor Giuseppe Blandamura, che sulla base di testimonianze documentarie indica nel 1388 l’anno di realizzazione della cinta muraria, posticipando quindi la realizzazione della struttura difensiva di quasi due secoli. Il limite opposto è fissato invece da un altro documento, che ci conferma che nel 1406 il castello di Grottaglie era già stato costruito, poiché risultava occupato da https://it.wikipedia.org/wiki/Malacarne_(condottiero). Inoltre, un altro documento, riportato dal già citato Blandamura, evidenzia inoltre che in data 5 marzo 1483 il cardinale arcivescovo Giovanni d'Aragona, al fine di poter effettuare le necessarie riparazioni alle fortificazioni di Grottaglie, proibì che una certa quantità di calce fosse trasportata a Taranto per analoghi lavori. Come detto, dallo studio dei rilievi appare abbastanza probabile che una prima cinta fortificata, identificabile con quella che chiude il cortile meridionale, a cui era forse aggiunta una seconda torre di cortina - poi andata distrutta - esistesse già nel 1433. Lo fanno ipotizzare alcune tracce di una porta in uno stile che richiama il gotico, presenti nel muro che divide i due cortili; l’esistenza di tale porta potrebbe anche giustificare la localizzazione della torre maestra e tutto il sistema degli accessi ai livelli superiori della stessa, che doveva servire anche per quella parte del primo piano del fabbricato principale, corrispondente alla zona della sala episcopale. Una prima configurazione del castello all’inizio del 1400 era quindi probabilmente costituita dalla citata cinta muraria, dalla torre maestra interna, dalle sale del primo piano destinate a dimora dell'arcivescovo e da due torri di cortina rispettivamente a sud-est e sud-ovest. Nella seconda metà del secolo, probabilmente verso il 1483 a cui risalgono i lavori commissionati dal cardinale arcivescovo Giovanni d'Aragona, la prima configurazione subì un ampliamento, con la realizzazione del cortile occidentale e di una ulteriore torre di cortina – oggi distrutta – al tempo posta a difesa della porta di accesso al centro abitato, attualmente trasformata in fornice aperto. Rimanendo nel campo delle ipotesi sufficientemente plausibili, possiamo affermare che il 14 febbraio 1580, quandohttps://it.wikipedia.org/wiki/Lelio_Brancaccio_(arcivescovo) consacrò la chiesa madre, anche il castello fosse stato già realizzato nelle sue parti principali, seppure ancora abbastanza limitato nel suo sviluppo. Altri lavori di ampliamento e modifiche ai locali furono eseguiti tra il 1613 ed il 1617 dal https://it.wikipedia.org/wiki/Bonifazio_Caetani, che – anche a causa delle diminuite esigenze difensive - accentuò il carattere aristocratico della residenza, edificando altre stanze al piano nobile e - soprattutto - realizzando il grande giardino esterno, che venne dotato di recinzione e ingresso monumentale. E’ in questo periodo che – probabilmente - viene realizzato il portale d’ingresso al castello che ammiriamo ancora oggi. Localizzato sul lato ovest, è composto da due pilastri in bugnato terminanti con dei semicapitelli su cui si imposta un arco a tutto sesto, anch’esso in bugnato. Al piano superiore - il cosiddetto piano nobile - fu realizzato un complesso di ben 11 stanze allineate longitudinalmente, tra le quali spicca un grande salone centrale (la cosiddetta “galleria”). Alle stanze, molto ampie e maestose, corrispondono in facciata altrettante finestre riquadrate da un cordone, coronate da fregi con decorazione a volute; la teoria di finestre al piano elevato ed il portale bugnato della stessa fase che monumentalizza l’ingresso, ridefiniscono la facciata del castello secondo lo stile barocco tipico dei palazzi nobili del XVII secolo. Ancora altri lavori furono commissionati nel 1649 da https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_Caracciolo_(arcivescovo) ed il castello si ingrandisce aumentando la sua ricettività senza alterare l’impianto generale e difensivo del complesso; si procede nel miglioramento degli ambienti esistenti e nella realizzazione di alcune nuove strutture, quali il loggiato interno dell’episcopio, collegato all’atrio da uno scalone oggi non più esistente, che terminava con una loggia voltata a crociera, un tempo affrescata, che si estendeva per l’intera lunghezza dell’edificio, fungendo da diaframma tra il cortile ed il piano nobile. Venne realizzata anche una cappella di piccole dimensioni, evidentemente per uso privato, con un altare in pietra dipinto e pareti e volta decorate con affreschi in stile barocco. Vengono inoltre realizzati alcuni locali di disimpegno per le stanze esistenti e nuovi ambienti destinati a funzioni di servizio ed a foresteria, oltre che alloggi per il personale. Dalle testimonianze documentali risulta che buona parte di questi ambienti si aprivano su una veranda prospiciente il grande cortile e quindi dovevano essere localizzati lungo il corpo di fabbrica che delimitava il giardino ad ovest. Nel 1753 sulle volte delle stanze e della galleria del piano nobile furono fatti eseguire degli affreschi dall’arcivescovo https://it.wikipedia.org/wiki/Antonino_Sersale, con l’obbiettivo di rendere sempre più marcato l’aspetto aristocratico del palazzo, con l’inserimento di stemmi nobiliari e personaggi illustri. Il successore di Sensale, l’arcivescovo https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Capecelatro, trasformò la galleria in una cappella coperta da un soffitto a cassettoni con lo stemma della famiglia Morrone, dalla quale egli stesso discendeva. Nel ‘900 vengono poi eseguiti ulteriori lavori, che condurranno alla configurazione attuale: viene riempito ed innalzato il cortile nord-occidentale e realizzata la intercapedine necessaria a dare luce ai locali interni già presenti al piano terra. Si procede inoltre alla costruzione di altri corpi di fabbrica aggiunti al piano terra e al primo piano, nonché ai lavori di adattamento e modifica delle sale interne, per adeguarle alle nuove destinazioni d’uso. In particolare, le vecchie stalle, ubicate nel fabbricato sud-orientale, ospitano oggi le sale del Museo della Ceramica. L’aspetto che oggi ha il castello episcopio è quindi il frutto di secoli di modifiche e adattamenti; d’altronde passare da masseria a fortezza militare, da residenza nobiliare a fabbrica di scarpe – solo per citare alcune delle destinazioni d’uso che lo hanno caratterizzato negli anni – non è certo un gioco da ragazzi. Visto dall’alto, il castello presenta una pianta trapezoidale che si sviluppa in senso NW/SE, con base ed ingresso sul lato occidentale. Il fabbricato principale è sul lato di sud-ovest del perimetro con una cinta muraria sugli altri lati, ci sono poi due cortili e una g
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  • Grottaglie, storia e territorio abolizione della feudalita rivolte e cambiamenti

    7 NOV 2023 · Grottaglie, storia e territorio: l’abolizione della feudalità, rivolte e cambiamenti Come abbiamo anticipato nell’episodio dedicato alla storia della famiglia Cicinelli, l’800 si apre con l’abolizione della feudalità. Un modello sociale durato secoli, che aveva pervaso ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica, viene cancellato quasi istantaneamente causando, come è facile immaginare, un vero e proprio choc, tanto negli strati più ricchi che in quelli più umili della popolazione e – purtroppo – diventando a volte un comodo pretesto per alimentare violenze, ruberie e ulteriori ingiustizie. Le leggi che abolirono la feudalità vennero attuate tra il 1806 e il 1808, per iniziativa di Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e fratello di Napoleone. Fu lui ad abolire la feudalità nel Regno di Napoli durante il cosiddetto Decennio francese. La legge n. 130 del 2 agosto 1806, al primo articolo recitava: “La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili” e già da queste righe possiamo cogliere l’emergere di un primo problema. Se infatti, questo provvedimento poteva rispondere ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture sociopolitiche, dall’altra parte si poneva il problema della ricognizione dei beni demaniali, molti dei quali erano stati usurpati nel corso dei secoli o vedevano un conflitto di attribuzione plurisecolare, come accadeva nel dissidio tra la mensa arcivescovile di Taranto ed i baroni di Grottaglie. Bisognava inoltre considerare che sui beni feudali coesistevano anche gli antichi e consolidati diritti delle popolazioni locali, come nel caso – sempre per citare un esempio a noi vicino – dello sfruttamento della foresta tra Grottaglie e Martina Franca. Ci fu quindi il riconoscimento degli usi civici in base al principio “ubi feuda, ibi demania”, che si affermò soprattutto nel XVIII secolo nel regno di Napoli, dove diversi giuristi operarono per valorizzare e tutelare i diritti delle popolazioni sui feudi, attraverso la costruzione giurisprudenziale dell'uso civico, in modo da controbilanciare la preponderanza (e, spesso, la prepotenza) della classe baronale. La proprietà feudale, infatti, non era una proprietà piena, perché coesisteva con antichi diritti delle popolazioni locali: i più diffusi erano il pascolo e il legnatico, che coprivano le esigenze elementari della popolazione rurale, soprattutto delle classi più umili, che spesso avevano in questi diritti uno dei pochi – se non gli unici – nodi per assicurarsi una dignitosa sopravvivenza. Come in tutte le vicende umane, si giunse infine se non ad una pace definitiva, almeno ad una tregua tra le parti e la vita continuò a scorrere più o meno tranquilla. Monsignor Capecelatro nel 1781 concesse ai Cicinelli – Caracciolo in fitto perpetuo il territorio della foresta, cedendo anche tutti i diritti feudali e si arriva così al 1785, quando la duchessa Giulia Cicinelli-Caracciolo, per le sue precarie condizioni di salute, cede patrimonio e titoli al suo figlio primogenito Giovanni Andrea, che già era amministratore di fatto dei beni di famiglia. Si tratta di un momento cruciale nella storia non solo di Grottaglie ma di tutta Italia, ed è quindi opportuno dedicargli il giusto spazio in un prossimo articolo di approfondimento.
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  • Grottaglie, storia e territorio: i Cicinelli, contrasti e litigi tra baroni e arcivescovi

    31 OCT 2023 · In diverse occasioni abbiamo ricordato quanto i rapporti tra gli Arcivescovi di Taranto ed i baroni di Grottaglie siano stati – nel corso dei secoli – caratterizzati da liti e contrasti. Le motivazioni, manco a dirlo, hanno assai poco a che fare con principi ideali ed il miglior governo della popolazione, essendo piuttosto da ricondurre a motivi economici ed esercizio del potere. Ovviamente, nel lungo arco di tempo che va dall’instaurarsi di questo doppio governo sino alla abolizione del feudalesimo si sono succeduti molti personaggi, alcuni caratterizzati da comportamenti deplorevoli ed altri dall’operato – se non esemplare – almeno adeguato al compito svolto. Abbiamo ricordato, parlando del potere degli arcivescovi, l’operato di alcuni di loro; Giacomo d’Atri, a cui va il merito della edificazione della chiesa madre e del castello; i suoi successori Bonifazio Caetani e Tommaso Caracciolo, che quel castello ingrandirono e fecero più bello; monsignor Brancaccio e monsignor Blandamura, ciascuno dei quali – a suo modo – ci ha trasmesso preziose testimonianze, solo per citarne alcuni Anche dei baroni laici si conserva memoria, quasi sempre negativa; di molti stranieri si deplora il disinteresse che ebbero per un territorio a loro distante e sconosciuto, oggetto di mercimonio e di scambio e vista soprattutto come un insieme di popolazioni da sfruttare e attività lavorative da tassare. Baroni laici ed arcivescovi furono così determinati nell'approfittare di tutte le possibili fonti di prelievo (fiscale e non) che molta della popolazione di Grottaglie preferì emigrare verso terre più benevole, lasciando a chi restava la scelta di subire le angherie o cercare vie di fuga più o meno lecite, come ad esempio abbracciare la via religiosa o darsi al brigantaggio. Di molti dei baroni laici – come il Malacarne – storia ufficiale e memoria popolare raccontano un governo rapace e oppressivo ma una famiglia su molte ha lasciato il segno nella memoria collettiva, ed è a questa che è giusto dedicare qualche riga. La famiglia Cicinelli è quella che forse, più di tutte, è oggi ricordata a Grottaglie, in racconti in cui realtà e leggenda si intrecciano in maniera così stretta da rendere difficile distinguere la vox populi dalla damnatio memoriae. Secoli di presenza meritano, come in effetti hanno avuto, una trattazione attenta e documentata, ma è comunque interessante ripercorrere – almeno per sommi capi – il loro governo nella terra grottagliese, anche per comprendere se le malefatte che gli si attribuiscono hanno un reale fondamento storico. La famiglia Cicinelli era originaria di Napoli, apparteneva alla nobiltà partenopea essendo ascritta al Seggio di Montagna ed ebbe esponenti che spiccarono sia nelle armi che nelle lettere a partire dal XIV° secolo, quando Coriolano Cicinello ebbe l’incarico di Maestro Razionale della Corte Reale Angioina. Le cronache ricordano ancora Camillo, detto il Grande, valorosissimo guerriero, che fu Prefetto dei cavalli della Serenessima Repubblica di Venezia e Giacomo, fratello di Camillo, dottore in legge, che fu Consigliere di re Carlo III di Durazzo; ancora, Attanasio Cicinello, ebbe da re Carlo II d’Angiò il cingolo militare mentre Giovanni Cicinello fu saggio consigliere della regina Giovanna II di Durazzo, e sostituì il Gran Siniscalco Sergianni Caracciolo al governo del Regno, incarico che esercitò con lealtà, giustizia e generosità, tanto da essere stimato e amato dal popolo. Antonio, fedelissimo agli aragonesi e uomo d’arme, fu inviato da re Ferrante I d’Aragona nella città di L'Aquila per sedare la rivolta dei baroni, morendo eroicamente nel compimento della missione affidatagli. Terminiamo qui l’elenco, per mancanza di tempo e di spazio e non certo per carenza di personaggi da citare, e giungiamo alle vicende grottagliesi, quando Giovanni Battista acquista nel 1641 il feudo dì Cursi, piccolo paese del Salento, e dopo dieci anni viene insignito del titolo di principe di Cursi, trasmissibile ai suoi legittimi discendenti. Fu di fatto il primo feudatario che iniziò a risiedere in Grottaglie, dopo aver apportato alcune migliorie al palazzo baronale e documenti e testimonianze storiche ci raccontano di un Principe di Cursi, che si dimostrò valente tanto nelle armi che nelle lettere; si impegnò per contrastare le scorrerie dei pirati turchi che funestavano le coste salentine, fu prodigo nelle arti contribuendo come “generoso mecenate del Santuario di Maria SS.ma dell’Abbondanza e del grandioso altare del convento degli Agostiniani di Cursi”, produsse interessanti opere letterarie come il volume intitolato “Censura del poetar moderno”, che riscosse il vivo apprezzamento degli intellettuali dell’epoca. Insomma, Giovanni Battista aveva meriti numerosi ed acclarati, tanto che re Filippo IV, con suo privilegio del 27 luglio 1665 gli concesse il titolo di duca di Grottaglie per sé, suoi eredi e legittimi discendenti. A questo punto, come si suole dire, la domanda sorge spontanea: come e perché un così valente uomo d’arme e di lettere, giunto a Grottaglie si diede ad opprimere la popolazione con angherie e vessazioni? Fu davvero un così cattivo amministratore o la sua figura fu messa in cattiva luce da chi aveva interesse a screditarne l’operato? La verità probabilmente sta nel mezzo; sicuramente non tutti gli eredi furono all’altezza del capo famiglia, altrettanto certamente il fatto di risiedere stabilmente a Grottaglie, interessandosi in prima persona della amministrazione di terre e masserie, mise in crisi un sistema di clientele e interessi che aveva prosperato sino ad allora. Due poteri come quello baronale laico e quello arcivescovile erano destinati a scontrarsi, e così infatti avvenne; negli anni che seguirono molte furono le cause legali e gli scontri anche violenti tra le due parti, che video il loro momento forse più violento nella rivolta che infiammò Grottaglie nel 1734. Studi e documenti lasciano spazio alla ipotesi che a fomentare il popolo grottagliese aizzandolo alla rivolta contro il barone laico abbiano contribuito gli arcivescovi di Taranto, proseguendo in un una lotta di potere portata avanti senza esclusione di colpi per anni, se è vero come è vero che già nel 1561, il cardinale Marcantonio Colonna, arcivescovo di Taranto, mosse causa contro il barone di Montemesola adducendo che i territori di quel feudo sconfinavano in quello di Grottaglie di cui l'arcivescovo si dichiarava signore e padrone. Lasciamo da parte rivolte violente e scaramucce legali e giungiamo al momento in cui Giovanni Andrea Cicinelli, nato il 2 gennaio 1699 e sposato il 4 gennaio 1723 con Ippolita Piccolomini, muore il 26 settembre 1730, lasciando come erede di tutti i suoi beni feudali, titoli ed altre proprietà, l'unica sua figlia Giulia Maria, nata il 17 settembre 1724 e quindi di soli sei anni di età. A lei si affianca come tutore suo zio paterno Giovanni Battista Cicinelli, che si dimostra uomo astuto e di pochi scrupoli, appropriandosi di fatto dei beni della nipote ed assumendo il titolo di principe di Cursi e duca di Grottaglie. Divenuta maggiorenne e resasi consapevole dei suoi diritti, Giulia Cicinelli si rivolse al re per chiedere di tornare in pieno possesso dei suoi beni, cosa che accadde nel 1744, quando Giovanni Battista Cicinelli restituisce a Giulia Maria tutti i beni che le appartenevano, compresa la successione dei titoli di principe e di duca. Subito dopo, il 17 febbraio 1744, Giulia Maria, divenuta principessa di Cursi e duchessa di Grottaglie, sposa il marchese di Sanfiore Giacomo Caracciolo, figlio di Francesco II duca di Martina e di Eleonora Gaetani; la coppia prende dimora nel palazzo di famiglia a Grottaglie, e Giacomo acquisisce per nomina maritale i titoli ereditati dalla moglie, adottando quindi il doppio cognome Caracciolo Cicinelli. La duchessa Giulia Cicinelli aveva risolto i suoi problemi con il suo zio Giovanni Battista ma non aveva fatto i conti con monsignor Giovanni Rossi, il quale, nominato arcivescovo di Taranto nel 1738 e messo al corrente delle controversie esistenti con i Cicinelli per il feudo di Grottaglie, pensò bene di continuare a rivendicare i diritti vantati. Vi furono ancora altre cause e petizioni, si interessarono tribunali e perfino la casa reale, con il costante risultato di confermare il diritto dei baroni laici al governo ed al possesso delle terre nelle loro disponibilità. Non sappiamo se per innata bontà d’animo o per intelligente calcolo diplomatico, la duchessa Giulia Cicinelli, prima di prendere possesso della sua residenza grottagliese, volle fare in modo di riacquistare anche la benevolenza popolare, e tanto fece che vi riuscì, ristabilendo una pacifica convivenza e buoni rapporti con la cittadinanza. Non si diede invece pace monsignor Giovanni Rossi, che il 6 maggio 1745, definendosi “Utile Signore ovvero barone della Terra delle Grottaglie”, inviò da Napoli un suo editto da pubblicare a Grottaglie in occasione della nascita della figlia della duchessa Giulia Cicinelli, col quale si invitava la popolazione a festeggiare il lieto evento. Quello che ad occhi ingenui poteva sembrare un segno di riappacificazione ad altri più scaltri apparve come un modo per cercare di affermare un potere ed una proprietà più volte negata, poiché l'arcivescovo Rossi nell'edi
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  • Grottaglie, storia e territorio: il ‘700, l’anno di San Ciro e delle rivolte

    24 OCT 2023 · Siamo al XVIII° secolo e ci avviciniamo all’età contemporanea; Grottaglie continua a vivere anni tormentati e turbolenti, funestati da violenze ed illuminati da lampi di fede che durano ancora oggi. Questo secolo vede riverberare nei suoi primi anni il clima che aveva contraddistinto il precedente e – come vedremo - ancora grande importanza avrà il tormentato rapporto tra gerarchia religiosa e potere baronale che vedrà tra le maggiori vittime una popolazione costretta tra incudine e martello di due poteri divisi su tutto ma uniti nel loro desiderio di supremazia. Nel XVIII° secolo a Grottaglie viene introdotta la devozione verso San Ciro. A portare il santo alessandrino nella città delle ceramiche e delle uve è uno dei suoi figli più illustri, quel San Francesco de Geronimo che già rifulge di santità in quel di Napoli. Nel 1709, al termine di una missione popolare, viene posta la prima pietra della cappella del Rosario dove verrà eretto l’altare al martire egiziano, dando alimento ad un rapporto di fede e devozione che unisce Grottaglie ad altri centri di Italia, e non solo. Fondamentale, in questa opera di fede, è opera dell’arciprete Tommaso, fratello del santo grottagliese, e della congrega del Rosario, che allora ospitava una ampia parte della popolazione e che si assumerà l’onore e l’onere di organizzare la festa in onore di San Ciro. Tanta è la devozione verso il santo di Alessandria che questo – nel 1782 - viene nominato patrono meno principale di Grottaglie, una sorta di ossimoro che riconosceva la preminenza della Madonna di Mutata come patrona principale. Di San Ciro e – soprattutto – dell’opera apostolica di San Francesco de Geronimo parleremo in un’altra occasione, dedicando loro la dovuta attenzione, è ora il momento di soffermarci su un altro evento, meno felice ma altrettanto importante. Come abbiamo accennato prima, anche in questi anni continua il conflitto tra arcivescovi e barone laico, uno scontro a volte sotterraneo e a volte plateale. Nel 1734 la situazione degenera e Grottaglie è scossa da una sorta di rivoluzione che infiamma la popolazione e alimenta violenze e proteste. Sui fatti non c’è identità di vedute: alcuni studiosi – come Grassi e Coco – addebitano l’accensione della miccia al dispotismo del barone, esponente di quella famiglia Cicinelli che tanta poca benevolenza pare raccolse a Grottaglie; altri – come il Vozza – ci vedono la longa manus dell’arcivescovo che soffiava sul fuoco del malcontento per aizzare gli animi e indebolire il potere baronale al fine di guadagnare vantaggio nelle proprie pretese territoriali. La verità forse sta nel mezzo, di certo non la sapremo mai di sicuro perché molti documenti sono andati persi o distrutti. Quel che sappiamo è che – come sempre la storia dimostra – quando i grandi litigano i piccoli ne pagano le spese, e così galera, percosse, esilio e disgrazie toccarono a quel popolo che, illuso, sperava di ottenere con la forza ciò che la legge gli negava. Narrano le cronache che ben duecento famiglie dovettero lasciare Grottaglie e non vi fecero più ritorno, colpite dalla condanna per le violenze che scossero la città. Se ricordiamo che nel secolo precedente si contavano solo 600 nuclei familiari, possiamo ben immaginare quanto questo incise sulla economia cittadina. A segnare le cronache grottagliesi è il governo del barone laico, che in quegli anni è espresso dalla famiglia napoletana dei Cicinelli. Anche su di loro il giudizio degli storici è tutt’altro che unanime e C’è chi ne deplora senza appello l’operato spietato e insensibile ai bisogni della popolazione e chi vede in questa condanna l’effetto di maldicenze alimentate ad arte da quegli arcivescovi sempre decisi a conquistare spazi di potere. Lungi da noi volerci infilare in questa diatriba, ci pare però interessante ricordare una vicenda che ci ricorda come e quanto certe questioni di ripetano nei secoli, a testimoniare della perenne esistenza delle miserie umane. Nel 1730 muore Giovanni Andrea Cicinelli, lasciando erede sua figlia Giulia Maria, di soli sei anni di età. Vista la minore età della bimba, viene nominato tutore il prozio Giovanni Battista Cicinelli che, come purtroppo spesso avviene, sfrutta la sua posizione impossessandosi di fatto dei beni della legittima erede. Comincia da questo momento una serie di vicende che ricordano una soap opera o un romanzo d’appendice, con liti giudiziarie, corruzione di pubblici ufficiali, spergiuri e false testimonianze – ben raccontati da Giuseppe Vozza nel suo dettagliato “Feudo e feudatari di Grottaglie”; si giunge al 1774 quando il tutore prozio rinuncia al feudo per evitare conseguenze peggiori, la legittima erede Giulia torna in possesso dei suoi beni e si sposa con Giacomo Caracciolo dei duchi di Martina Franca, marchese di Sanfiore, unendo due famiglie in un legame che resterà sino alla abolizione della feudalità. Si tratta di un momento cruciale nella storia non solo di Grottaglie ma di tutta Italia, ed è quindi opportuno dedicargli il giusto spazio in un prossimo articolo di approfondimento.
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