Camminando su blocchi di pietra lavica, per capire il mistero di questo posto basta alzare lo sguardo verso ciò che resta del castello dei Pentefur, i mitici fondatori di Savoca, una comunità forse d’origine fenicia che si stanziò, in epoca imprecisata, sul colle che ancora ne porta il nome.
S’intuisce che le pietre millenarie, i conventi, le piante, il vento, il mutevole paesaggio, persino il silenzio e i morti imbalsamati nelle catacombe, hanno una voce: raccontano storie affascinanti che emergono dal polveroso passato.
Come quella dell’origine normanno-saracena del borgo, che non prenderebbe nome dalla pianta di sambuco - come credono i più - ma dall’arabo sabak, che significa unire, perché i saraceni avrebbero riunito in un unico mandamento i castelli della zona.
Comunque sia, aveva ragione Leonardo Sciascia a dar credito al detto popolare secondo cui Savoca ha sette facce: Supra na rocca Sauca sta, setti facci sempri fa. Infatti, da qualsiasi parte si guardi, l’orizzonte offre scenari sempre nuovi: dall’azzurro del mar Ionio all’aspra costa calabra, dai verdi monti Peloritani all’Etna maestoso, dalle cisterne scavate nella roccia alle case separate da strapiombi dove attecchiscono il cappero e la ginestra.Sette panorami, potremmo dire, tutti diversi.
Savoca:
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