In effetti mi pare che il commento del Rav Pinchas Punturello risponda in modo esauriente alla catechesi tenuta dal papa l'11 agosto scorso. Naturalmente è lecito che ogni religione sia libera di esprimere il proprio punto di vista su ogni questione su cui ritiene di pronunciarsi, ma deve farlo senza svalutare i contenuti della fede altrui. La cosa è più difficile da realizzare quando entrano in gioco i rapporti tra cristianesimo ed ebraismo perché entrambi si trovano a trattare argomenti che hanno spesso la stessa base scritturale. La radice è la stessa, le interpretazioni diverse. Il punto più discutibile della catechesi di Francesco mi sembra quello in cui pretende di stabilire, in linea con Paolo, quale sia la promessa (quella tra Dio e Abramo) e non preveda che sia un diritto degli ebrei quello di individuare quanti e quali sono i momenti della promessa. Sarebbe stato questo il modo corretto di trattare un contenuto della fede altri. E lo spiega bene il Rav Pinchas Punturello. Del resto, che cosa ci sarebbe di strano se accettassimo l'idea che la promessa di Dio è come una fattispecie a formazione progressiva (figura giuridica) e capiamo che i termini concreti della promessa sono legati anche alla fase di sviluppo del popolo d'Israele: in un certo momento non si può promettere una cosa che il popolo non sa capire. Il Rav ricorda che dopo il dono della legge c'è una terzo segmento della promessa che Dio fa al suo popolo: la terra. E si tratta della parte oggi più contestata dell’identità ebraica. Mi pare innegabile che anche la promessa della terra faccia parte della promessa, anche se, forse, ci sarebbe da discutere per ragioni di opportunità temporale: anche nel mondo ebraico, molti ritengono che il momento di giovarsi di quella promessa non fosse ancora giunto. Nel mondo ebraico non tutti sono sionisti. Ma questo è un altro problema.