CONVERGENCE | JACKSON POLLOCK
“Cosa ci vuole a scarabocchiare una tela con qualche colore? Potrebbe farlo anche un bambino!”.
Non è proprio così, non se, come Jackson Pollock, crediamo che l’opera d’arte non sia solo ciò che vediamo in un museo ma anche l’intero processo introspettivo che vi è dietro.

Cerchi, linee e punti combattono per attirare l’attenzione dell’osservatore e convergono in modo ribelle e caotico. È come quando desiderate follemente di gridare, saltare, tirare pugni contro il muro, senza ragione, semplicemente per dare sfogo a qualcosa che vi divora dentro.

Pollock realizza quest’opera in una sorta di trance sciamanica detta “action painting”, in cui gira ossessivamente intorno alla tela stesa sul pavimento facendovi gocciolare sopra il colore con movimenti energici, senza una direzione, senza lasciare spazi vuoti.

Non è riconoscibile alcun nesso con la realtà esterna: l’opera nasce dalle pulsioni inconsce dell’artista che combatte, tramite il riempimento di un’enorme tela, un’altrettanta enorme e primitiva paura… quella del vuoto.