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Vedute di Roma - «Itinerario Italiano» di Corrado Alvaro

Vedute di Roma - «Itinerario Italiano» di Corrado Alvaro
Sep 18, 2023 · 1h 23m 8s

Sto viaggiando in Italia in compagnia del ViaggiAutore calabrese Corrado Alvaro e del suo libro-guida «Itinerario italiano» nel quale egli racconta il suo viaggio lungo la penisola realizzato nel 1933.Si...

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Sto viaggiando in Italia in compagnia del ViaggiAutore calabrese Corrado Alvaro e del suo libro-guida «Itinerario italiano» nel quale egli racconta il suo viaggio lungo la penisola realizzato nel 1933.Si sta formando in Italia una capitale.

Per chi vive a Roma da più di dieci anni, è un’emozione quotidiana vederla crescere e complicarsi, prodotto di cento fatti sociali e psicologici.
Proprio questa impressione, d’una vita che corre, che ci logora, che c’invecchia da un giorno all’altro, proprio questo è il fascino delle città.
Nessun aspetto di essa è familiare, e intanto la vita italiana vi si trapianta con tutti i suoi caratteri.
Perché non è soltanto il piccone o l’architetto a fare una capitale.
Quando comincia la grande stagione del sole, Roma vive per poco tempo una vita associata.
Ma una certa solitudine è propria della Città.
I grandi convegni sono quelli delle belle giornate; si fa presto a prendere l’abitudine di Villa Borghese, del Pincio, delle grandi piazze e delle belle strade.
Ciò che è stare insieme, ma in una solitudine comune, e in quella grande cerimonia della passeggiata che fece parlare tanto l’Ottocento.
Meridionali e settentrionali hanno portato a Roma il loro paesaggio interiore; i meridionali il loro bisogno di espansione e di avventura, i settentrionali il loro senso della vita stabilita e sociale.
Roma, scenografica com’è, tutta grandiosamente esteriore, influisce a suo modo sugli animi.
Ma chi conosce certe descrizioni della socievolezza romana dell’Ottocento, si ricorderà d’una certa maliziosa e bonaria familiarità.

Quando ebbi dormito i primi lunghi sonni romani, svegliandomi di buon’ora, a un tratto udivo la campanella di qualche chiesa, poi un’altra e un’altra.Sul principio mi levavo per sorprendere la strada in quell’ora.
Veniva fuori un’umanità speciale, vestita come veste la gente devota in tutti i paesi, scialli e veli neri, che ridavano alla città l’aspetto di certe piccole città antiche e piene di chiese, in cui sembra che la gente non abbia altra occupazione che risponde alla campanella delle preghiere.
Poi, al primo squillo del tranvai, appariva gente vestita bene, col cartoccio della spesa.
La strada dove abitavo allora era una specie di paese: si conoscevano quasi tutti, e tutti avevano abitudini familiari.
Si vedevano calare i cestini dagli ultimi piani per la posta e per il carretto delle verdure.
Poi la strada mutò, si fondarono i primi negozi di mode, le sale da tè, e i vecchi abitatori vi stavano come gente annidata che qualcuno tentasse di sloggiare.

A Roma si sente lo scorrere dei secoli testimoniati dai quartieri, non soltanto nell’aspetto, ma negli atteggiamenti della vita.
Si sentono a Roma le diverse epoche di immigrazione.
Questo è specifico in ogni capitale, caratteristico di Roma.Varrebbe la pena di assodare come sia nata l’immagine che circola comunemente sul romano d’oggi: la reputazione di gente facile, festaiola, parassita e cinica, con uno spirito realistico fino al crudo, lato migliore di quest’immagine.
Come tutte le capitali, è città che ha una sua maleducazione e una sua volgarità; ha pure una sguaiatezza che ritroverete nel fondo di Berlino o di Parigi.
Ho una profonda venerazione per i caratteri popolari, da noi come altrove: sono depositari di vecchi segreti, e una costante osservazione di essi rivela fatti e attitudini antichi e che servono a spiegare le nazioni.
Il popolo è lento a muoversi, direi che non muta più presto di quanto non muti un paesaggio.

Siccome era domenica, erano salite anche certe ragazze e visitare la stanza del Tasso nel convento di Sant’Onofrio, la stanza dove morì il Poeta, aperta tutti i 25 aprile.
La stanza è quadrata, con una mano di calcina ai muri, nuda, chiara, e la luce v’è come un’onda immobile di oblio.
Una corona di alloro sul capo dell'immagine del Poeta si disfa come una treccia.
Una grande corona d’alloro della città di Roma, fresca e cupa, è ai piedi del monumento del Poeta nella chiesa.
Egli è là, alto, ispirato, vestito di gala, con una pesante spada accanto.
Nel chiostro al pianterreno, dove egli camminò cadente, presso il cancello di ferro, un uomo si guarda intorno.

Come accade spesso a guardare l'architettura di vaste proporzioni, specialmente a Roma, dove tutto ricorda il lavoro della fabbrica, quasi che l’uomo col berrettino di carta e il secchio di calce per chiudere le commessure della pietra enorme, fosse andato via da poco.
Questo accade, forse, per via delle molte superfici lisce.
Nessuna voce; un silenzio che faceva pensare subito all’assenza delle donne e dei ragazzi, un silenzio estatico da uomini solitari.
E sotto c’era un orto, prospero, lucido di cavoli, di cipolle, di insalata, con certi fiori semplici e senza odore, orto da convento, dove il mondo vegetale è anch’esso denso e polputo, e una rosa che si sfogli a piè d’un muro ricorda il sangue rappreso.
Si mise a suonare una delle campane di San Pietro e volano i piccioni sotto la scossa delle campane dai cornicioni alti.
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Author Giuseppe Cocco
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