Una notte alle quattro e mezza del mattino ci hanno chiamato su un arresto cardiaco. Siamo usciti, quella sera eravamo india, abbiamo indossato tutti i dpi. Arrivati alla casa del paziente, abbiamo iniziato il classico protocollo, abbiamo cominciato a fare tutto e lavorare con i DPI in situazioni di emergenza credo che sia una cose più difficili e traumatiche per il corpo stesso perché si arriva a sentire un caldo atroce e si suda, la maschera si appanna, hai bisogno dell’ossigeno che non hai perché purtroppo hai la mascherina e poi hai il casco.
Un’altra volta invece mi sono trovato a trasportare un sospetto e anche quella volta abbiamo indossato i DPI e ricordo quel giorno faceva un caldo infernale e ricordo che da Martina fino a Taranto che dovevamo portare il paziente lei ci parlava e noi con difficoltà riuscivamo ad ascoltarla. Però c’è sempre stato quel contatto umano che in questo lavoro di volontari credo che sia la cosa più bella che ci possa essere. Parlare con le persone, rendersi partecipi non solo della nostra stessa vita ma anche quella degli altri, credo sia una delle cose più belle che si possano fare