Con “Storia della Notte e Destino delle Comete" l’installazione a cura di
Eugenio Viola che occupa interamente il Padiglione Italia all'Arsenale – Gian
Maria Tosatti propone un viaggio nell’Italia industriale attraverso l’acquisizione
di macchine provenienti da fabbriche fallite comprate in liquidazione. Nel suo
monologo al telefono l’artista racconta l’intento del suo progetto che è quello di
realizzare un “dispositivo confessionale” che metta in relazione lo spettatore
con qualcosa che lo riguardi personalmente, poiché veniamo tutti da: "storie
di lavoro, storie che hanno a che fare con i nostri sogni, con i sogni che
abbiamo costruito e che continuiamo a costruire, forse con gli errori che
facciamo e in cui cadiamo continuamente", dichiara l’artista. Si tratta,
dunque, di una metafora: "Abbiamo usato l’industria per parlare di altro";
dice concludendo: "tutto questo non è altro che un pretesto per continuare a
parlare di noi, cercando le parole giuste per potersi dire veramente
qualcosa". Un unico spazio in cui restare soli, sigillati all’interno di
un’esperienza collettiva, tra gli odori e i rumori di un premeditato déjà-vu
“Senza Fine”.
Con “Storia della Notte e Destino delle Comete" l’installazione a cura di
Eugenio Viola che occupa interamente il Padiglione Italia all'Arsenale – Gian
Maria Tosatti propone un viaggio nell’Italia industriale attraverso l’acquisizione
di macchine provenienti da fabbriche fallite comprate in liquidazione. Nel suo
monologo al telefono l’artista racconta l’intento del suo progetto che è quello di
realizzare un “dispositivo confessionale” che metta in relazione lo spettatore
con qualcosa che lo riguardi personalmente, poiché veniamo tutti da: "storie
di lavoro, storie che hanno a che fare con i nostri sogni, con i sogni che
abbiamo costruito e che continuiamo a costruire, forse con gli errori che
facciamo e in cui cadiamo continuamente", dichiara l’artista. Si tratta,
dunque, di una metafora: "Abbiamo usato l’industria per parlare di altro";
dice concludendo: "tutto questo non è altro che un pretesto per continuare a
parlare di noi, cercando le parole giuste per potersi dire veramente
qualcosa". Un unico spazio in cui restare soli, sigillati all’interno di
un’esperienza collettiva, tra gli odori e i rumori di un premeditato déjà-vu
“Senza Fine”.
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about 1 year ago
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