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Per ricostruire la storia degli ultimi giorni di guerra a Cesena disponiamo di diverse fonti diaristiche: Leo Bagnoli, Pietro Burchi, Alberto Novarese, Placido Romano Zucal; e poi le testimonianze orali raccolte da Mara Valdinosi negli anni Ottanta e da Maurizio Balestra nel suo Il passaggio del fronte e la Resistenza a Cesena e dintorni (Tosca, Cesena 2005).
A queste si aggiunge oggi quella di Massimo Severi.
La sua giovane età e il suo ruolo sociale gli impediscono di avere accesso a un’ampia mole di informazioni e alla possibilità di decifrarle, come invece avviene, ad esempio, per don Bagnoli, che era il parroco della Cattedrale. Tuttavia questi, che a prima vista possono sembrare punti di debolezza, a una lettura più attenta si tramutano in evidenti punti di forza: Massimo è un giovane con una fitta rete di relazioni sociali e umane; è attivissimo e in continuo movimento per la Città; è curioso e attento, e il suo occhio registra quel che vede con la genuina spontaneità dei suoi diciott’anni. La sua irrefrenabile mobilità ne fa una sorta di “cineocchio” (prendo l’espressione a prestito dal titolo, Kinoglaz, del film del 1924 del regista sovietico Dziga Vertov) che inquadra la storia ad altezza di ragazzo: se avesse avuto la tecnologia di cui dispongono i suoi coetanei di oggi, la sua esperienza sarebbe stata registrata da una action cam (del tipo di quelle webcam che ciclisti o sciatori si fissano sul casco), o attraverso una storia di Instagram (cfr. Eva stories) o simili.
Massimo, all’epoca in cui scrive il Diario, è in possesso della sola licenza elementare, tuttavia è un ragazzo curioso e sensibile, e a suo modo colto: oltre all’impegno nelle attività teatrali in Parrocchia, nei circa quattro mesi in cui tiene il Diario, abbiamo contato ben 14 riferimenti a letture che svolge in quel periodo.
Ma che cosa spinge Massimo a tenere un diario?
Nei ricordi famigliari, non c’è memoria di altri diari tenuti da Massimo nel corso della sua vita. Scrittura, sì, tanta, ma mai più (né mai prima) diaristica. E allora perché? La risposta che possiamo provare ad avanzare sta proprio in quelle bombe che piovevano di continuo su Cesena e sulla vita di un ragazzo di diciotto anni, in equilibrio tra la fine dell’adolescenza e l’inizio della maturità. Il senso di precarietà indotto dalla guerra nelle sue fasi culminanti dava dunque forma alle incertezze e alle precarietà che sono proprie di quell’età. Il Diario vero e proprio, infatti, è preceduto da pagine in cui il suo autore riepiloga un po’ tutta la sua giovane vita; e non è un caso che esso si interrompa il 29 ottobre 1944, cioè subito dopo la fine del grande spavento e l’inizio del ritorno a una lenta normalità.
Se dunque lo studio del passato nasce sempre dalle domande che rivolgiamo al presente, ecco che ancora una volta queste pagine, pure vergate 77 anni fa, sanno dialogare con il nostro tempo e con l’adolescente che ciascuno di noi è stato o è.

Buona lettura e buon ascolto.
Per ricostruire la storia degli ultimi giorni di guerra a Cesena disponiamo di diverse fonti diaristiche: Leo Bagnoli, Pietro Burchi, Alberto Novarese, Placido Romano Zucal; e poi le testimonianze orali raccolte da Mara Valdinosi negli anni Ottanta e da Maurizio Balestra nel suo Il passaggio del fronte e la Resistenza a Cesena e dintorni (Tosca, Cesena 2005). A queste si aggiunge oggi quella di Massimo Severi. La sua giovane età e il suo ruolo sociale gli impediscono di avere accesso a un’ampia mole di informazioni e alla possibilità di decifrarle, come invece avviene, ad esempio, per don Bagnoli, che era il parroco della Cattedrale. Tuttavia questi, che a prima vista possono sembrare punti di debolezza, a una lettura più attenta si tramutano in evidenti punti di forza: Massimo è un giovane con una fitta rete di relazioni sociali e umane; è attivissimo e in continuo movimento per la Città; è curioso e attento, e il suo occhio registra quel che vede con la genuina spontaneità dei suoi diciott’anni. La sua irrefrenabile mobilità ne fa una sorta di “cineocchio” (prendo l’espressione a prestito dal titolo, Kinoglaz, del film del 1924 del regista sovietico Dziga Vertov) che inquadra la storia ad altezza di ragazzo: se avesse avuto la tecnologia di cui dispongono i suoi coetanei di oggi, la sua esperienza sarebbe stata registrata da una action cam (del tipo di quelle webcam che ciclisti o sciatori si fissano sul casco), o attraverso una storia di Instagram (cfr. Eva stories) o simili. Massimo, all’epoca in cui scrive il Diario, è in possesso della sola licenza elementare, tuttavia è un ragazzo curioso e sensibile, e a suo modo colto: oltre all’impegno nelle attività teatrali in Parrocchia, nei circa quattro mesi in cui tiene il Diario, abbiamo contato ben 14 riferimenti a letture che svolge in quel periodo. Ma che cosa spinge Massimo a tenere un diario? Nei ricordi famigliari, non c’è memoria di altri diari tenuti da Massimo nel corso della sua vita. Scrittura, sì, tanta, ma mai più (né mai prima) diaristica. E allora perché? La risposta che possiamo provare ad avanzare sta proprio in quelle bombe che piovevano di continuo su Cesena e sulla vita di un ragazzo di diciotto anni, in equilibrio tra la fine dell’adolescenza e l’inizio della maturità. Il senso di precarietà indotto dalla guerra nelle sue fasi culminanti dava dunque forma alle incertezze e alle precarietà che sono proprie di quell’età. Il Diario vero e proprio, infatti, è preceduto da pagine in cui il suo autore riepiloga un po’ tutta la sua giovane vita; e non è un caso che esso si interrompa il 29 ottobre 1944, cioè subito dopo la fine del grande spavento e l’inizio del ritorno a una lenta normalità. Se dunque lo studio del passato nasce sempre dalle domande che rivolgiamo al presente, ecco che ancora una volta queste pagine, pure vergate 77 anni fa, sanno dialogare con il nostro tempo e con l’adolescente che ciascuno di noi è stato o è. Buona lettura e buon ascolto. read more read less

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