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Liturgia e sacramenti - BastaBugie.it

  • Cattolici erranti in cerca di parrocchia

    9 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7752 CATTOLICI ERRANTI IN CERCA DI PARROCCHIA Non è obbligatorio frequentare la parrocchia dove si risiede, ma non si deve passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità di Don Stefano Bimbi «La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore». Così recita il canone 515 §1 del Codice di Diritto Canonico. La domanda che molti fedeli si fanno è se devono frequentare la parrocchia nel cui territorio si trovano ad abitare oppure se possono andare nella parrocchia che preferiscono. Aldo Maria Valli nel suo sito ha pubblicato il 7 luglio 2017 un articolo che parla di una nuova figura di cristiano che l'autore definisce "il cattolico errante": «Si tratta di un bravo cattolico, un po' di tutte le età e le condizioni sociali, che vaga di chiesa in chiesa, di parrocchia in parrocchia. Perché lo fa? Perché, stanco di liturgie sciatte e di chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovreccitati o depressi, cerca una chiesa che sia semplicemente normale, con un prete che sia semplicemente prete, una liturgia semplicemente dignitosa, un edificio semplicemente rispettoso del sacro, fedeli semplicemente beneducati». Purtroppo questo tipo di cattolico non si sente più il benvenuto nella sua parrocchia, come spiega ancora Aldo Maria Valli: «Non ne può più di musica per nulla sacra, cori stonati, altoparlanti da discoteca, licenze assurde nella celebrazione. Non sopporta più fedeli chiassosi e sbracati. Non ne può più di chiese orrende, preti che celebrano con le scarpe da ginnastica, tazebao appesi tra una Madonna e un San Giuseppe. Non accetta più di subire omelie irrimediabilmente scontate o troppo immaginifiche. Non gli va più di fare i conti con parroci che sbrigano la messa come fosse una pratica amministrativa o che la trasformano in spettacolo. Ed è anche stanco di essere guardato come un provocatore ogni volta che osa dire come la pensa. Così si mette in viaggio e diventa un cattolico errante». IL CATTOLICO ERRANTE Ma è giusto essere un cattolico errante? Va bene passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità? La risposta è no. Far parte di una comunità di fede è necessario per la propria crescita spirituale e per sentirsi parte della Chiesa. Come ci insegna il Nuovo Testamento gli apostoli annunciavano sì il Vangelo, ma subito dopo formavano delle comunità e vi mettevano a capo uno o più presbiteri per garantire il modello gerarchico voluto da Gesù, ma anche la comunione di fede tra i membri di quella specifica comunità. Non si può essere cristiani isolati da ogni contesto ecclesiale. Né si può crescere nella fede e mantenersi nella retta dottrina senza una comunità di riferimento e un sacerdote che ci guida. Torniamo quindi alla domanda iniziale e cioè se possiamo scegliere la parrocchia che si preferisce. Innanzitutto va detto che non è per nulla obbligatorio frequentare la parrocchia nel cui territorio si risiede. Ciascuno nella Chiesa è libero di andare dove si sente più accolto e soprattutto dove meglio può fare un cammino di fede adeguato alla sua sensibilità e al suo cammino. Certamente per ottenere il certificato di battesimo si deve andare nella parrocchia dove si è ricevuto il battesimo. Chi ha da iniziare la pratica per il matrimonio deve andare dal parroco della parrocchia dove risiede uno dei nubendi. Così per avere la benedizione della casa ci si dovrà rivolgere al parroco del territorio dove è la casa. Invece per tutto il resto, cioè dove andare alla Messa, agli incontri di formazione, al catechismo dei figli, ai ritiri spirituali, ma anche ai pranzi e alle feste, insomma per tutto quello che è vivere in una comunità di fede, senz'altro si può scegliere la parrocchia più adatta. UNO SFORZO DA FARE Ovviamente può darsi che qualcuno si trovi meglio in una parrocchia e altri in un'altra senza che per questo qualcuno faccia la scelta giusta in assoluto, ma semplicemente per lui è la scelta migliore. Quindi se uno si trova bene nella parrocchia che può raggiungere a piedi, buon per lui. Come andrebbe bene se per andare nella parrocchia adatta ci volesse mezz'ora di auto. È uno sforzo che sempre più dobbiamo mettere in conto di fare se vogliamo dare a noi e ai nostri figli una corretta educazione cristiana e umana. A proposito dell'educazione dei propri figli, spesso i genitori scelgono di fargli frequentare la parrocchia dove questi socializzano meglio. Eppure non bisogna dimenticare che lo scopo del catechismo è di imparare la dottrina cristiana. Infatti un tempo il catechismo si chiamava proprio "dottrina". Si diceva "vado a dottrina" intendendo che si frequentava il catechismo. Purtroppo oggi sempre più troviamo impegnata l'ora di catechismo a fare di tutto eccetto che imparare i comandamenti, i sacramenti e le preghiere. Cartelloni, canti, argomenti di attualità... insomma di tutto fuorché la dottrina cristiana. Cosa fare in questa situazione così disastrosa? Direi che non resta che portare i figli in un'altra parrocchia, più adeguata, più fedele alla dottrina, in poche parole... più cattolica. E non solo mandarci i figli, bensì farla diventare la parrocchia di tutta la famiglia e andare lì alla Messa. In conclusione, basta trovare un parroco che possa guidare spiritualmente la propria famiglia nel solco della Tradizione vivente della Chiesa e impartisca validamente e lecitamente i sacramenti in comunione con il Vescovo e il Papa. Se vuoi l'acqua fresca e pura, fare dei chilometri per raggiungere questa oasi non sarà fatica sprecata. L'alternativa è morire di sete.
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  • Portare i figli piccoli alla Messa può essere controproducente

    6 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ hthttps://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7714 PORTARE I FIGLI PICCOLI ALLA MESSA PUO' ESSERE CONTROPRODUCENTE di Don Stefano Bimbi Portare i figli piccoli alla Messa va sempre bene oppure può essere opportuno che rimangano a casa per permettere ai genitori di vivere appieno la celebrazione liturgica? Questa domanda se la sono posta almeno una volta nella vita tutti i genitori cristiani e ciascuno ha pensato di risolverla secondo il proprio giudizio. E non è detto che fosse lo stesso degli altri fedeli o del sacerdote. Molti genitori sono contenti di poter condividere con il coniuge e i figli la Messa domenicale, fieri e gioiosi del loro essere famiglia e del vivere insieme l’incontro con Cristo. Se qualcuno li guarda storto perché i bambini piccoli non stanno in perfetto silenzio questi genitori pensano che gli altri siano degli intolleranti. Ovviamente i bambini, con la loro tenerezza, magari strappano a qualcuno un sorriso di comprensione. In questo caso i genitori si sentono rasserenati e rafforzati nella loro scelta di portarli in chiesa. Se i figli esagerano nel fare confusione, alcuni genitori li portano fuori, ma così si perdono parte della celebrazione. Altri invece restano, facendo finta di nulla, per non darla vinta al figlio, che non ne può più di rimanere perché si annoia, e non si curano delle signore che si girano lanciando delle occhiatacce minacciose e scocciate. Altri genitori portano giocattoli ai bambini in modo che non si annoino e non disturbino, anche se in realtà spesso disturbano lo stesso anche perché "giocare" e "silenzio" non sempre riescono a convivere allo stesso tempo. Tutte queste apparenti soluzioni fanno emergere una prima considerazione: ai bambini piccoli la Messa non serve, né gli interessa. Disturbano le persone circostanti e anche quando non fosse così, almeno il genitore non vive appieno la celebrazione del santo Sacrificio in quanto ha comunque il pensiero sul proprio figlio. QUESTIONE SPINOSA Si capisce come mai la questione sia spinosa e lasci alcuni genitori con un senso di inadeguatezza: pensano di dover trovare a tutti i costi un modo per poter vivere bene la Messa, riuscendo a partecipare adeguatamente con tutta la famiglia. Ma quando si rendono conto che non sono capaci di gestire la situazione possono arrivare a pensare che sia un loro difetto. Alcuni per avvalorare la loro opinione che i bambini vanno sempre e comunque portati alla Messa, citano le famose parole di Gesù "Lasciate che i bambini vengano a me" (Mc 10,14) dimenticando che questa frase è stata pronunciata fuori dal tempio ed inoltre quando Gesù non stava pregando. Quando invece Gesù voleva pregare se ne stava "tutto solo", spesso di notte, oppure era nel tempio con gli altri, ma senza bambini. Tra l’altro quando il vangelo racconta di Gesù che nell’ultima cena istituisce il santo Sacrificio della Messa, non ci parla della presenza di bambini. Citare quindi il vangelo per avvalorare l’ipotesi che i bambini, anche se rumorosi, vadano comunque e sempre portati alla Messa non ha alcun fondamento. Inoltre non si può considerare la questione solo dal punto di vista dei bambini, ma anche dei fedeli che sono presenti alla Messa. Sacrificare un’intera assemblea in preghiera per il pianto di un solo bambino, magari al momento della consacrazione, non è giustificabile. Bisogna ricordare che un conto è venire in chiesa, un altro è partecipare alla Messa. Il silenzio è più benefico di tanti canti e di tante parole. Toglierglielo con i pianti e le scorrerie dei bambini non è un atto di carità e impedisce a molti di pregare. LA GIUSTA SOLUZIONE Per trovare la giusta soluzione a questo problema occorre riflettere su cosa sia la Messa. Si sente dire che è il ritrovo della comunità. Qualcuno si spinge ad affermare che è una festa. Se la Messa fosse davvero un modo per socializzare e magari far festa allora bisognerebbe concludere che è bene che la famiglia partecipi tutta insieme, bambini piccoli inclusi. Ma invece la Messa consiste primariamente nel santo Sacrificio, attualizza cioè la morte in croce di Cristo. Ci rende partecipi dell’evento salvifico come l’hanno vissuto sotto la croce Maria e Giovanni, la Maddalena e Longino. Ebbene, per vivere bene la Messa occorre quindi prendere esempio dalla Madre di Dio che non viveva certo un clima di festa, bensì di "attiva partecipazione" alle sofferenze del Divin Figlio con un silenzio pieno di amore. Ecco che si inizia a intravedere il modo corretto di vivere la Messa e, di conseguenza, anche la soluzione al problema dei bambini piccoli. La Messa non è un pranzo parrocchiale dove ovviamente sono invitati tutti i membri della famiglia. L’idea di partecipare marito e moglie insieme alla Messa risente del clima romantico e fiabesco del "vissero insieme felici e contenti". Per partecipare fruttuosamente alla Messa non sarebbe meglio tornare a separare gli uomini dalle donne? Quando San Bernardino da Siena predicava nelle piazze c’era questa separazione in modo che non ci fossero distrazioni nell’ascoltare i suoi discorsi. Del resto nella società contadina le massaie andavano alla Messa all’alba, mentre i mariti con i figli più grandi partecipavano alle funzioni successive, quando a casa si preparava il pranzo. Non è uno scandalo se marito e moglie vanno separati alla Messa, né se i figli più piccoli, cioè quelli che non riescono a stare in silenzio dall’inizio alla fine, restano a casa con l’altro coniuge. È invece scandaloso che i cristiani non abbiano rispetto del centro della vita cristiana: la santa Messa. Il silenzio è necessario per la preghiera e non si deve tollerare che venga sprecato quello che per molti è l’unico momento della settimana per incontrare Gesù, per ascoltare la sua Parola e vivere la sua passione, morte e risurrezione. I bambini possono e devono apprendere la preghiera in altri momenti. Anzi, forse per loro sono più adeguati. Ad esempio la preghiera prima dei pasti e prima di andare a letto, imparare il segno di croce e magari il rosario in famiglia. GESÙ AL PRIMO POSTO C’è chi dice che è portando i bambini a Messa fin da subito che li si può abituare ad andarci ogni domenica. In realtà non è così. Non potendo per il momento partecipare alla Messa i bambini imparano che per i genitori questa è una cosa seria, come il lavoro o un colloquio importante, e che pur amandoli tanto, babbo e mamma mettono al primo posto Gesù. Così i figli ne sono un po’ incuriositi, fanno domande e quando potranno venire anche loro, ad esempio quando inizieranno a frequentare il catechismo, prenderanno la partecipazione alla Messa come un regalo. Per le mamme alle prese con un neonato vanno dette due cose importanti. Innanzitutto che in chiesa è lecito allattare il figlio, anche durante le celebrazioni. Non è pensabile che a quell’età la poppata sia rimandabile. Inoltre il catechismo della Chiesa Cattolica ricorda al n. 2181 che la cura dei lattanti costituisce un serio motivo per essere dispensati dal precetto della Messa festiva. In conclusione è bene precisare che tutto quanto detto non può, e nemmeno vuole, istituire la legge di non portare assolutamente mai i bambini alla Messa, ma solo che bisogna rispettare i loro tempi di crescita. I bambini si possono portare a condizione che non disturbino la preghiera dei genitori ed anche quella degli altri. Che poi questo vale per tutti. Anche un adulto che chiacchiera con il vicino disturba sé stesso e gli altri. E questo gli si può far educatamente notare, come anche ai genitori che nonostante i figli disturbino non li portano fuori. Non si può pretendere che sia sempre il sacerdote a recitare la parte del "cattivo". Tutti i fedeli sono corresponsabili di quello che accade in chiesa. Del resto a un concerto di musica classica chi fa confusione viene accompagnato all’uscita. La santa Messa non è forse più importante di un concerto di musica classica?
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  • L'abuso della messa prefestiva per avere la domenica libera

    28 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7613 L'ABUSO DELLA MESSA PREFESTIVA PER AVERE LA DOMENICA LIBERA di Fabio Amicosante Quella di prender parte alla messa vespertina, comunemente chiamata "prefestiva", in sostituzione di quella domenicale, è una tendenza di cui molti fedeli tendono ad abusare. Per capire meglio questo concetto, bisogna tornare alle motivazioni per cui questa è stata introdotta e, soprattutto, riscoprire le effettive circostanze per cui venne data questa opportunità. PAPA PIO XII La Messa vespertina fu introdotta dal Pontefice Pio XII attraverso due decreti: La Costituzione Christus Dominus del 6 gennaio 1953 e il Motu porprio Sacram Communionem del 19 marzo 1957. Attraverso questi due decreti, l'allora Pontefice introdusse anche un'altra importante novità: la riduzione del digiuno eucaristico a tre ore. Come ci ricorda Toscana Oggi, qualche anno più tardi, nel 1972, i Vescovi italiani, durante il pontificato di Paolo VI, stabilirono che si potesse anticipare la Messa domenicale e festiva al giorno precedente. Ma, in tal senso, bisogna tener presente, con estrema attenzione, alle raccomandazioni che i Vescovi dettarono in quell'anno. Il Collegio Episcopale raccomandò infatti di non far ricorso alla Celebrazione prefestiva a meno che non vi fossero "seri motivi familiari o professionali". Dunque, è bene fare uso di questa possibilità concessa, solo in caso di seri motivi e impegni improrogabili, che rendono impossibile la partecipazione domenicale. Tuttavia, sembrano essere sempre più numerose le famiglie che scelgono di prender parte alla Messa vespertina per avere tempo libero la domenica. Abusando di questa opportunità concessa, molti giustificano questa scelta con "impegni" quali sport, svago o turismo. Il direttore di Toscana oggi, in tal senso ha lanciato anche un appello molto importante: "Credo che i Parroci e i consigli pastorali dovrebbero affrontare queste tematiche". C'è infatti, da questo punto di vista, un'estrema necessità di riscoprire il vero significato del "Giorno del Signore" che, per l'appunto, è la domenica. PAPA BENEDETTO XVI Questa necessità di riscoprire l'effettivo significato del Giorno del Signore è una tematica venuta alla luce già qualche anno fa, durante il Congresso Eucaristico di Bari. In quell'occasione fu l'allora Pontefice Benedetto XVI a ricalcare questa tematica durante la sua omelia: «Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le fatiche e le stanchezze del viaggio. La Domenica, Giorno del Signore, è l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita. Il precetto festivo non è quindi un dovere imposto dall'esterno, un peso sulle nostre spalle. Al contrario, partecipare alla Celebrazione domenicale, cibarsi del Pane eucaristico e sperimentare la comunione dei fratelli e delle sorelle in Cristo è un bisogno per il cristiano, è una gioia, così il cristiano può trovare l'energia necessaria per il cammino che dobbiamo percorrere ogni settimana. Questo Congresso Eucaristico, che oggi giunge alla sua conclusione, ha inteso ripresentare la domenica come "Pasqua settimanale", espressione dell'identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua missione. [...] Il tema scelto - "Senza la domenica non possiamo vivere" - ci riporta all'anno 304, quando l'imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte, di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per celebrare l'Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene, una piccola località nell'attuale Tunisia, 49 cristiani furono sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice, celebravano l'Eucaristia sfidando così i divieti imperiali. Arrestati, vennero condotti a Cartagine per essere interrogati dal Proconsole Anulino. Significativa, tra le altre, la risposta che un certo Emerito diede al Proconsole che gli chiedeva perché mai avessero trasgredito l'ordine severo dell'imperatore. Egli rispose: "Sine dominico non possumus": cioè senza riunirci in assemblea la domenica per celebrare l'Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le forze per affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci torture, questi 49 martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così, con l'effusione del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi ora li ricordiamo nella gloria del Cristo risorto. È un'esperienza, quella dei martiri di Abitene, sulla quale dobbiamo riflettere anche noi, cristiani del ventunesimo secolo. Neppure per noi è facile vivere da cristiani, anche se non ci sono questi divieti dell'imperatore. Ma da un punto di vista spirituale, il mondo in cui ci troviamo, segnato spesso dal consumismo sfrenato, dall'indifferenza religiosa, da un secolarismo chiuso alla trascendenza, può apparire un deserto non meno aspro».
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  • Non si può benedire per sdoganare il male

    22 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7605 NON SI PUO' BENEDIRE PER SDOGANARE IL MALE di Don Stefano Bimbi Nella Bibbia il Popolo eletto benedice Dio, cioè lo loda per le sue opere e lo ringrazia per i suoi benefici: soprattutto per la creazione e per la liberazione dall'Egitto operata attraverso Mosè. In questo senso tutta la creazione loda il Signore del cielo e della terra attraverso la preghiera dell'uomo. Significativo in tal senso è il cantico di Sadrac, Mesac e Abdènego, meglio conosciuti come Anania, Azaria e Misaele. Essendosi rifiutati di adorare gli idoli, vengono gettati nella fornace ardente dal re Nabucodonosor. Interessante notare che al re dicono che il loro Dio può liberarli dalle fiamme, ma se anche non lo farà loro gli resteranno fedeli comunque. Per dimostrare la loro fede nel momento della prova benedicono il Signore chiamando tutto il creato ad unirsi a loro: «benedite, sole e luna, il Signore», «benedite, stelle del cielo, il Signore», ecc. (cfr. Dn 3,57-88) Nella Sacra Scrittura però troviamo che anche Dio benedice. Anzi, la prima volta che si parla di benedizione è proprio in riferimento a Dio che benedice gli esseri viventi che ha appena creato: «Dio li benedisse: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22). La benedizione è legata alla trasmissione della vita. Poiché essa è un dono, la benedizione la moltiplica. Anche gli sposi vengono benedetti da Dio con il dono dei figli. Questa è l'altissima vocazione dell'uomo: partecipare dell'opera creatrice di Dio. Chi blocca la nascita di nuove creature di Dio con qualunque mezzo, contraccettivo o naturale che sia, offende Dio e gli dovrà rendere conto visto che il giorno del matrimonio si era impegnato solennemente ad accettare i figli che Dio voleva donargli. Da notare che quando Dio benedice non loda le sue opere, né loda se stesso, ma effonde sulle sue opere protezione e moltiplicazione. Simbolo privilegiato della benedizione è l'acqua, indispensabile per la vita. Quando gli ebrei vagavano nel deserto avevano il problema della sete. Allora Dio fa sgorgare l'acqua dalla roccia dimostrando così la sua benedizione. Ecco il motivo per cui in genere la benedizione viene data aspergendo con l'acqua. L'acqua benedetta effonde vita, doni, grazie. UNA PAROLA EFFICACE La benedizione data da Dio o anche da parte dei ministri di Dio è una parola efficace. Basta pensare alla benedizione data da Melchisedek, sacerdote del Dio altissimo e re di Salem, ad Abramo. La benedizione ad Abramo e al popolo discendente da lui, cioè gli ebrei, è irrevocabile. Se ci si pensa infatti è l'unico popolo dell'antichità che è arrivato ai nostri giorni. Tutti gli altri popoli sembravano più potenti, tanto che si studiano ancora a scuola, ma sono tutti scomparsi: assiri, babilonesi, fenici, egiziani, ecc. L'unico popolo che è ancora esistente con la sua lingua, cultura e religione (ad esempio gli egiziani di oggi non hanno nulla in comune con gli antichi egizi) è il popolo nato da Abramo proprio perché Dio gli ha dato la sua benedizione e questa è irrevocabile. L'efficacia e l'irrevocabilità delle benedizioni che Dio fa attraverso gli uomini è riconosciuta da Isacco quando si accorge che Giacobbe gli ha estorto la benedizione al posto di Esaù: «Io l'ho benedetto e benedetto resterà» (Gn 27,33). Nel Vangelo Gesù benedice i bambini, e cioè effonde loro salute, protezione, favori divini. Il Signore benedice il pane prima di moltiplicarlo e poi il pane e il vino nell'ultima cena prima di consacrarli nel suo corpo e nel suo sangue. Ascendendo al cielo benedice gli apostoli. Gesù ha comandato agli apostoli di portare pace nelle case, e cioè di benedirle con i suoi favori e la sua protezione. La Chiesa ha quindi continuato il ministero apostolico moltiplicando le occasioni in cui si elargiscono le benedizioni. Le formule di benedizione un tempo erano contenute nel Rituale Romano, mentre oggi sono oggi raccolte in un libro che hanno tutti i sacerdoti chiamato Benedizionale. Oltre alle persone vengono benedette anche le cose, come le abitazioni, le automobili, il sale, l'olio, le uova pasquali, le corone del rosario, ecc. Attraverso la benedizione si conferisce a queste realtà il potere di tener lontano gli influssi del Maligno e di attuare la benevolenza di Dio. Tuttavia questo potere è legato allo stato di grazia e all'uso di quelle realtà secondo il disegno santificante di Dio. Infatti la benedizione non è un sacramento, che opera ex opere operato, cioè per il fatto stesso di aver fatto la cosa, ma un sacramentale. Questo significa che non ha un potere immediato, ma dipende dalla grazia e dalla devozione dei soggetti che ne usano. Ecco perché alcune benedizioni appaiono inappropriate, se non addirittura scandalose e immorali. BENEDIZIONI INAPPROPRIATE, SCANDALOSE E IMMORALI In Italia c'è la bella tradizione della benedizione delle case. Il sacerdote oltre alle case benedice anche i luoghi dove le persone lavorano e vivono anche fuori casa, ad esempio le scuole. Questo è previsto dalla legge italiana ed è sufficiente il consenso del preside e degli organi scolastici per poter procedere con la benedizioni delle classi. Come parroco io ad esempio benedico tutti gli edifici scolastici esistenti nella mia parrocchia: sia quelli comunali che quelli tenuti dalle suore. Oltre alle case e alle scuole si benedicono ovviamente anche i negozi e le ditte. Un episodio accaduto a un mio amico sacerdote ci fa riprendere il discorso sulle benedizioni inopportune. Mentre faceva la benedizione dei negozi che si trovavano in una via del suo paese entrò anche in un nuovo negozio non accorgendosi che era un negozio "particolare": era infatti un sexy shop. Quando se ne è reso conto era troppo tardi perché aveva iniziato la benedizione come al solito. La benedizione in questo caso era in contrasto con la finalità del negozio in questione che invita al peccato e vende tutto ciò che conduce al peccato. Benedizione e peccato sono in contrasto perché Dio non può benedire ciò che contemporaneamente maledice. Situazione analoga si riscontra nel caso in cui si voglia benedire una sede della Massoneria. Questa è l'associazione che ha collezionato più documenti di condanna da parte della Chiesa. Di nuovo, non può un ministro della Chiesa benedire ciò che la Chiesa ha così costantemente e chiaramente condannato in quanto portatrice di una visione del mondo antitetica alla dottrina cattolica. LA BENEDIZIONE DELLE COPPIE OMOSESSUALI Ultimo esempio di benedizione contraria alla morale cattolica è quella di cui si parla tanto in questi ultimi decenni e cioè la benedizione delle coppie omosessuali. La giusta condotta da tenere da parte dei sacerdoti è stata ribadita per l'ennesima volta nel 2021 da un Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso. La sacra congregazione ha ribadito che «non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell'unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore». «Inoltre, poiché le benedizioni sulle persone sono in relazione con i sacramenti, la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita, in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale, invocata sull'uomo e la donna che si uniscono nel sacramento del Matrimonio, dato che non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. La dichiarazione di illiceità delle benedizioni di unioni tra persone dello stesso sesso non è quindi, e non intende essere, un'ingiusta discriminazione, quanto invece richiamare la verità del rito liturgico e di quanto corrisponde profondamente all'essenza dei sacramentali, così come la Chiesa li intende». La risposta al dubium rammenta che la Chiesa «non benedice né può benedire il peccato: benedice l'uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d'amore e si lasci cambiare da Lui. Egli infatti ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo». Alla fine il documento conclude che «per i suddetti motivi, la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso nel senso sopra inteso». A scanso di equivoci occorre ricordare che Papa Francesco ha dato il suo assenso alla pubblicazione del Responsum ad dubium della Congregazione della Dott
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  • Fine pandemia: lo ha capito (in ritardo) anche la CEI

    10 MAY 2023 · VIDEO: Riassuntone di questi tre anni ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZMwI61VIYAY&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1Uxp TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7406 FINE PANDEMIA: LO HA CAPITO (IN RITARDO) ANCHE LA CEI di Stefano Chiappalone Dopo tre anni la pandemia è ufficialmente terminata anche per i vescovi italiani. La lettera della Cei è stata pubblicata l'8 maggio, a tre giorni dal pronunciamento dell'Oms (del 5 maggio), così come a suo tempo la sospensione dei riti religiosi in tutto il territorio nazionale era stata decretata il 9 marzo, all'indomani del primo di una lunga serie di DPCM che da Palazzo Chigi scandivano ciò che di volta in volta era proibito, concesso o «fortemente raccomandato». In Lombardia lo "stop" liturgico fu anticipato al 23 febbraio (e sempre, dichiarava l'arcidiocesi ambrosiana, «in ragione dell'ordinanza emanata dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, di concerto con il ministro della Salute, Roberto Speranza»). Per cominciare non si può che rallegrarsi del dichiarato ritorno alla normalità, quando tutto il resto della società vi è tornato da un pezzo. Avevamo ormai dimenticato le autocertificazioni e persino il green pass; andiamo al bar o al ristorante come prima e più di prima, affolliamo le corsie del supermercato o gli eventi sociali e culturali. Ora che «il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, condividendo l'indicazione dell'apposito Comitato tecnico, ha annunciato lo scorso 5 maggio che il Covid-19 non costituisce più un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale», finalmente sappiamo una volta per tutte che banchi e inginocchiatoi non sono più pericolosi di altri luoghi. La Cei rievoca il «tempo difficile in cui le nostre comunità cristiane sono state prossime con la preghiera e le opere di carità a chi ha sofferto la malattia e le conseguenze della difficile fase economica». Esprime gratitudine al «personale sanitario» e a «tutti coloro che, in qualsiasi maniera, hanno dato il loro contributo per alleviare i disagi e affrontare la crisi». E ricorda «le tante persone che hanno perso la vita, tra cui centinaia di sacerdoti, che hanno contratto l'infezione adoperandosi per il proprio ministero». Ministero tanto più degno di riconoscimento, aggiungiamo, in quei tre mesi di lockdown in cui i sacramenti erano divenuti una rarità. LA CEI: "GRAZIE OMS!" «Accogliendo la comunicazione dell'OMS», ripetono ancora i vescovi, «segnaliamo che tutte le attività ecclesiali, liturgiche, pie devozioni, possono tornare a essere vissute nelle modalità consuete precedenti all'emergenza sanitaria». Insomma, si torna in chiesa e in presenza, segnalando l'opportunità «che cessino, o quantomeno siano diminuite nel loro numero, le celebrazioni trasmesse in streaming». «Tutte» e «nelle modalità consuete precedenti» sono parole che finalmente danno "speranza" (con la minuscola!), per esempio laddove si continua ad aver timore delle processioni oppure - caso frequente e segnalatoci anche dai nostri lettori - ci si ostina a imporre la comunione sulle mani anche a chi preferisce riceverla in bocca, secondo la forma tradizionale, e nonostante tale obbligo sia decaduto almeno dal 1° aprile 2022. Oppure dove ancora si grida al sacrilegio per omessa mascherina. O dove ancora si raccomanda ("non si sa mai") di non inginocchiarsi al momento della consacrazione. E si intuisce, benché non detto esplicitamente, che sia tornato anche il precetto festivo, rimasto indefinito anche dopo la riapertura. Dovremmo poter tornare a scandire la vita della Chiesa tra a.C. e d.C. nel senso tradizionale di "avanti Cristo / dopo Cristo" e non più in quello di "avanti il Covid / dopo il Covid". Con qualche eccezione a discrezione dei vescovi diocesani, che possono «disporre o suggerire alcune norme prudenziali come l'igienizzazione delle mani prima della distribuzione della Comunione o l'uso della mascherina per la visita ai malati fragili, anziani o immunodepressi». Circostanze specifiche e ben delimitate, che speriamo nessuno voglia estendere per giustificare l'ulteriore protrarsi di uno "stato di emergenza liturgico" che perdura da più di tre anni. E creando un precedente non poco significativo, prima lasciando che l'autorità civile dicesse se andare o meno in chiesa; poi che si intromettesse anche nel modo di amministrare i sacramenti, senza battere ciglio - mentre gli ortodossi lo hanno battuto eccome (si vedano i due differenti protocolli). UNA RIFLESSIONE SUL PASSATO E UNA SUL FUTURO Si impone una riflessione sul passato e una sul futuro. A tre anni di distanza, perché non chiedersi anche con una sana autocritica, cosa poteva offrire (e non ha offerto) la Chiesa in quel frangente? E in quanto Chiesa, al di là dei casi pur numerosi di singoli sacerdoti sopra ricordati o di singole voci isolate come quella di mons. Giovanni d'Ercole (vox clamantis in deserto). Non si può certo tacere l'impressione che, talora, la preoccupazione per la salute dei corpi sia stata superiore a quella per la salus animarum; che le mani di troppi sacerdoti fossero più impegnate a igienizzarsi che a benedire ed assolvere. Che nel momento di maggiore sofferenza, non solo fisica, ma anche psicologica e spirituale, a un numero troppo grande di anime, pressoché vicino al totale, la Chiesa che pur si vanta di essere "ospedale da campo" abbia detto: restate a casa e curatevi da soli. È il senso del cartello apposto sulla porta di un santuario: «Confessioni e messe sospese. Pregate in casa». Forse che ci si può assolvere da soli? Se il precetto festivo può essere modificabile per disciplina ecclesiastica, la confessione sacramentale non lo è, per diritto divino. Sul futuro, già nell'aprile 2020 mons. d'Ercole scriveva: «Vedremo nel tempo quale effetto abbia causato questa quarantena con l'assenza delle celebrazioni, dei funerali, dei battesimi e del contatto diretto tra pastori e fedeli». L'effetto lo si è visto sin dalla riapertura delle celebrazioni pubbliche: tanti i posti vuoti tra i banchi, lasciati dalle vittime dell'allarmismo o semplicemente dell'inerzia. Posti lasciati vuoti da una pastorale che nei tre mesi precedenti aveva proclamato quale sommo comandamento dell'amore: "Non contagerai il prossimo tuo" (anche se magari eri perfettamente sano). Torna alla mente un libro del cardinal Giacomo Biffi intitolato Il quinto Evangelo, in cui, con la consueta ironia immaginava il ritrovamento di testi "originali" che avallavano finalmente le parole d'ordine più alla moda. Biffi morì nel 2015, ma se fosse vissuto ancora qualche anno avrebbe potuto fare lo stesso con gli Atti degli Apostoli, descrivendo così i cristiani al tempo della pandemia: «Erano assidui nell'ascoltare la conferenza stampa del premier e nel distanziamento fraterno e nel seguire in tv la frazione del pane...».
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  • L'estrema unzione e il viatico (la Comunione in punto di morte) sono obbligatori

    18 APR 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7390 L'UNZIONE DEGLI INFERMI E' OBBLIGATORIA di Gelsomino Del Guercio Prima di morire [...] non è una formalità garantire un sacramento a una persona. Ma dovrebbe essere dovere di ogni cristiano. E vi spieghiamo perché. Come si legge in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" a cura di Don Marcello Stanzione (edizioni Segno), la morte non è qualcosa di spaventoso per il cristiano. "Vita mutatur non tallitura" (la vita è cambiata non è tolta) ci fa recitare la Liturgia (Prefazio della messa dei defunti); dopo la morte la nostra anima continua a vivere, per chi muore in stato di grazia; essa entra in una vita migliore, nell'attesa di ritrovare il suo corpo il giorno del giudizio universale per farlo partecipare alla felicità eterna. Un tempo, si legge nel libro di Stanzione, riguardo ai deceduti si diceva: "Ha ricevuto i sacramenti? Si è confessato? Ha perdonato?". Oggi invece si dice: "Ha sofferto?". Così spesso si nasconde ai malati la vicinanza della morte o per ignoranza (perché non si conoscono gli effetti dei sacramenti) o per mancanza di fede e di spirito cristiano. Purtroppo non si ha una concezione cristiana della morte e si pensa: "come reagirà il malato se si fa venire il sacerdote? Avrà paura, si dispererà?". Queste obiezioni purtroppo sono correnti. Per confutarle Stanzione cita, il dottor Pierre Barbet, che fece il resoconto di una lunga esperienza: «Vi sono nella malattia, nelle sofferenze, delle grazie particolari delle quali noi medici constatiamo gli effetti, esse mettono per bontà divina i malati gravi e moribondi in uno stato migliore che non si può supporre e al quale non pensano ordinariamente le loro famiglie. E' un fatto sul quale occorre insistere perché è poco conosciuto e il fatto di non conoscerlo comporta ad ogni istante dei malintesi spaventosi, mentre facilita moltissimo tutti gli interventi dei parenti: il malato grave, il morente ha quasi sempre un desiderio segreto del sacerdote e dei soccorsi della religione». QUANDO DARE L'UNZIONE DEGLI INFERMI L'autore del libro fa una sollecitazione ai lettori: domandate fin da adesso ai vostri cari che abbiano il coraggio di avvertirvi quando la morte sarà vicina o di farvi avvertire da un sacerdote. Certamente occorrerà farlo sempre con delicatezza e prudenza. Va ricordato che a Chiesa raccomanda di ricevere i sacramenti quando si è ancora sani di mente e con qualche speranza di vita. Infatti il Catechismo del Concilio di Trento, al paragrafo 269, afferma: "Ricordiamo che cadono in grave colpa coloro i quali sogliono ungere i malati solo quando, svanita ogni speranza di guarigione, cominciano a perdere i sensi e la vita. Invece è certo che a conseguire più abbondante la grazia sacramentale, giova moltissimo che al malato sia applicato l'olio santo quando ancora conserva lucide l'intelligenza, pronta la ragione e pia la volontà". Quanti malati gravi, purtroppo si lasciano nelle angosce e nelle prove, nascondendo loro che la morte si avvicina, privandoli così dei conforti della religione. L'Unzione degli infermi, che in passato era nota con il nome di «Estrema Unzione», si riceve mediante l'unzione con olio di oliva consacrato e la preghiera del sacerdote, la salute dell'anima e spesso anche quella del corpo. Ora cerchiamo di capire perché è così importante. Questo sacramento manifesta quanto è grande la bontà di Dio nei nostri riguardi, infatti con esso l'anima viene fortificata, perché col conferimento della grazia sacramentale, essa riceve le grazie attuali che l'aiutano a perseverare nel bene fino alla morte, rimette i peccati mortali che l'infermo pentito non potesse più confessare (purché l'infermo abbia almeno l'attrizione, cioè il dolore imperfetto dei propri peccati), e le pene dovute ai peccati; e se ciò è utile all'anima ottiene pure la guarigione del corpo. CHI DEVE E CHI NON DEVE RICEVERLE QUESTO SACRAMENTO Anche Roberti e Palazzini nel loro Dizionario di Teologia morale, come tutti gli altri buoni testi, ci confermano che: "È evidente che l'estrema unzione non può essere amministrata a coloro che sono già morti. Siccome però non è da escludere la possibilità di uno stato di vita latente che, almeno in certi casi, si protrarrebbe per qualche tempo, dopo cessate le pulsazioni del cuore e la respirazione, la Chiesa, quale pia madre, permette di amministrare entro breve tempo da questa cessazione, sotto condizione, l'estrema unzione a coloro che ci appaiono morti, ed entro un tempo ancor più lungo, se sono stati colpiti da morte improvvisa". Il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can. 940§1 riporta che per ricevere validamente l'Estrema Unzione è necessario che il soggetto sia in stato di viatore (cioè essere ancora in vita), sia stato battezzato abbia raggiunto l'uso di ragione, sia in pericolo di vita per causa di malattia o di debolezza senile e infine abbia l'intenzione di riceverla. Oggi, scrive ancora Stanzione in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" vi è l'abitudine di amministrare questo sacramento alle persone anziane di una certa età, anche se sane. Dobbiamo però precisare che: "può ricevere l'estrema unzione il battezzato che ha raggiunto l'età della discrezione e che si trova in pericolo di vita a cagione di malattia, non colui il quale benché prossimo alla morte è ancora in buona salute. (can. 940 §I)". [...]
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  • San Francesco di Sales e il tribunale della penitenza

    28 FEB 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7330 SAN FRANCESCO DI SALES E IL TRIBUNALE DELLA PENITENZA di Cristiana de Magistris La quaresima è il tempo penitenziale per antonomasia, e la penitenza per antonomasia è la penitenza sacramentale, la quale soltanto - a differenza delle altre pratiche penitenziali, per quanto austere - ha il potere di ripristinare nell'anima di ogni battezzato la grazia santificante, cioè la vita di Dio, se avesse avuto la disgrazia di perderla col peccato mortale. L'abbé Barthe, in un recente articolo, dopo aver giustamente sottolineato la crisi che attraversa questo Sacramento a partire dal Vaticano II, auspica una "risalita", conseguente all'ecatombe degli ultimi cinquant'anni. A questa risalita potrà forse contribuire un opuscolo - non molto conosciuto - che san Francesco di Sales scrisse ai suoi sacerdoti per erudirli sull'amministrazione del Sacramento della penitenza. In tale scritto il Santo - come si legge nella sua Vita composta dal curato di san Sulpizio (Torino 1922, pp. 195-199) - incomincia con il raccomandare ai sacerdoti di andare sempre al sacro tribunale con una profonda purità di coscienza ed un'ardente desiderio di salvare le anime; poi aggiunge: «Ricordatevi che i poveri penitenti vi chiamano loro Padre, e che perciò dovete avere per essi un cuore tutto paterno, riceverli con dolcezza, sopportare con pazienza la loro rusticità, la loro ignoranza e tutti i loro difetti, ad imitazione del padre del figliuol prodigo, che non si lascia respingere dallo stato stomachevole di nudità e di sordidezza in cui vede ridotto il figlio, ma lo abbraccia, lo bacia con trasporto d'amore perché è padre, ed il cuor di padre è tenero verso i figli». IL SACERDOTE CONOSCE L'UMANA DEBOLEZZA In base a questo principio, vuole che si incoraggino quelli i cui peccati rendono vergognosi e timidi, dicendo ad essi che il sacerdote conosce troppo bene l'umana debolezza, perché si meravigli che gli uomini pecchino; che l'uomo più si onora con il pentimento e con la confessione delle proprie colpe, di quello che si sia disonorato con gli stessi suoi falli, e che la penitenza è una seconda innocenza. Se, all'opposto, i penitenti sembrano senza timore, vuole che si rammenti loro che sono alla presenza di quel Dio che li giudicherà, e non già di un uomo; che per essi in quel momento si tratta di una eternità felice o infelice, e che con una confessione mal fatta si macchierebbero di un nuovo delitto. Quanto a coloro che mancano di confidenza, inculca di rappresentare loro la misericordia di Dio, che è più grande delle nostre miserie; la bontà di Gesù Cristo, il Quale pregando per i Suoi carnefici ci fa intendere che, se lo avessimo crocifisso anche con le nostre proprie mani, ci perdonerebbe ugualmente, se ci vedesse pentiti; che il minimo pentimento, purché sia sincero e accompagnato dal Sacramento, dinanzi a Dio ha la virtù di cancellare tutti i peccati; che i dannati e i demoni stessi sarebbero giustificati se potessero confessarsi con sentimento di contrizione; che i più grandi Santi spesso sono stati grandi peccatori, come Davide, san Pietro, san Matteo, santa Maria Maddalena, sant'Agostino; che la più grave ingiuria che si possa fare alla divina Bontà e alla Passione e Morte di Gesù Cristo è il non sperare di ottenere il perdono dei propri falli; e che, infine, la remissione dei peccati è un articolo di Fede. I PECCATI VERGOGNOSI Il Santo suggerisce poi le sante industrie con le quali conviene strappare la tanto difficile accusa dei peccati vergognosi, e condurre, come egli dice, pian piano e destramente le belle anime dei penitenti a fare una buona confessione, aiutandoli, lasciandoli parlare senza trovar di che dire sul loro modo di esprimersi, animandoli con queste o altre simili parole: «Quale grande grazia vi fa Dio di ben confessarvi! Conosco che lo Spirito Santo vi muove per farvi fare una buona confessione. Abbiate coraggio: dite francamente... ben presto avrete un sommo contento di esservi ben confessato, e nessuna cosa di questo mondo vi sembrerà da paragonarsi con la felicità di avere interamente sgravata la vostra coscienza; quale consolazione per voi nell'ora della morte di aver fatta questa buona confessione!». Quindi il santo Vescovo passa alle interrogazioni da farsi ai penitenti, dopo che hanno finito l'accusa; per conoscere tanto il numero dei peccati, con le circostanze che ne mutano la specie, li aggravano o li diminuiscono, e spesso anche li moltiplicano in un solo atto, quanto i peccati di pensiero e di desiderio, che molte volte non si confessano, e anche quelli che si sono fatti commettere al prossimo. Tanta sapienza unita a tanta prudenza mostra con chiarezza che il Sacramento della penitenza richiede una specialissima diligenza nei confessori, i quali nell'atto di assolvere amministrano il Sangue di Cristo. Occorre dirlo con chiarezza: si tratta di un tribunale in cui si incontrano un reo confesso (il penitente) e un giudice (il confessore). Non si può ridurre la confessione ad uno sterile elenco di mancanze e neppure ad una conversazione, per quanto spirituale. Non è questa la natura del Sacramento. Il Confessore non è un accompagnatore, e tantomeno un amico spirituale: nell'atto in cui confessa egli siede come padre ma soprattutto come giudice, e perciò ha tutti i diritti, e talvolta il dovere, di fare domande prima di emettere la sentenza dell'assoluzione, che può anche negare, qualora lo giudichi necessario. LE REGOLE PER L'ASSOLUZIONE L'Autore tratta poi delle regole per l'assoluzione e dei casi riservati, quindi della penitenza da imporre, che vuole sia tale che il penitente la faccia volentieri e sia un preservativo contro le ricadute. Infine, esorta i Confessori a raccomandare ai loro penitenti di confessarsi e comunicarsi spesso, di assistere alle prediche e istruzioni, di leggere buoni e devoti libri, di fuggire le cattive compagnie e frequentare le buone, di pregare spesso, di fare ogni sera l'esame di coscienza, di pensare ai quattro Novissimi, e di avere un Crocifisso e delle sante immagini da baciare spesso. Tali sono le regole che prescriveva il santo Prelato al suo clero. Ed era il primo a metterle in pratica. Nel processo di canonizzazione del Santo, i sacerdoti e religiosi di Annecy deposero con giuramento che il pio Vescovo aveva ordinato a tutti loro di mandare al suo confessionale i più poveri e miserabili, come pure le persone affette da mali ripugnanti e nauseabondi perché, diceva, quantunque siano le più bisognose, sono in genere le più abbandonate. Alcuni anni prima, nel 1593, quando si trovava nello Chablais, il Santo - dopo averli istruiti - confessò alcuni soldati, uno dei quali cadde in profondo abbattimento dopo aver udito un sermone di Francesco sull'orrore del peccato. Il Santo ne prese una scura speciale, alloggiandolo nella propria abitazione, mangiando con lui e istruendolo sulla confessione, che il soldato fece a più riprese. Il Santo, commosso dalla sua contrizione, gli impose per penitenza solo un Pater e un'Ave. Il soldato protestò, sembrandogli quella penitenza sproporzionata all'enormità dei suoi delitti, ma il Santo rispose: «No, confidate nella divina misericordia, che è assai maggiore delle vostre iniquità, e in quanto alla penitenza farò io il resto». In quest'occasione il santo Vescovo non solo pregò per il suo penitente, ma spinse la sua sconfinata carità fino ad una sorta di "soddisfazione vicaria", come faceva, in tempi più recenti, padre Pio di Pietrelcina. Un eroismo non imposto né richiesto a tutti i confessori, ma certamente lodevole e raccomandabile. IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI Ma l'opuscolo sulla confessione prosegue. Siccome non di rado accadono delle illusioni, ed i Confessori sono esposti a prendere nei loro penitenti per ispirazioni dello Spirito Santo i suggerimenti dell'amor proprio, i traviamenti di un'immaginazione esaltata o le suggestioni dello spirito delle tenebre, il santo Vescovo credette dover aggiungere nel suo scritto alcune regole per il discernimento degli spiriti. Secondo questo sperimentato maestro, i contrassegni dello Spirito di Dio sono: 1. l'umiltà, che insegna all'uomo a conoscere la propria debolezza, a tremare considerando sé stesso, ma a sperare mirando Dio; 2. la dolcezza e la carità nel tollerare i difetti del prossimo; 3. l'amore ai patimenti e alla pazienza; 4. l'obbedienza, che ama lasciarsi guidare. Al contrario, i contrassegni dello spirito di menzogna sono: 1. l'amor proprio che conta sopra la sua virtù, che stima il suo giudizio ed il suo modo di intendere, cerca di comparire e di farsi conoscere, è schizzinoso e facile ad offendersi; 2. lo zelo amaro e senza compassione per i difetti altrui; 3. l'impazienza, che si lagna nei patimenti e si disanima nelle difficoltà; 4. l'orgoglio e l'ostinazione, che mai non sanno sottomettersi. Tutti questi saggi consigli furono accompagnati da una lettera dedicatoria, ben degna di essere riportata. «Miei carissimi fratelli - così scrisse il Santo al suo clero - l'ufficio che esercitate è eccellente, giacché Dio vi ha scelti per giudicare le anime con tanta autorità che le giuste sentenze che pronunziate sulla terra vengono confermate in Cielo, e le vostre labbra sono i canali per i quali la pace scorre dal cielo in
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  • Lo scandalo della Messa sul materassino gonfiabile

    2 AUG 2022 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7100 LO SCANDALO DELLA MESSA SUL MATERASSINO Un sacerdote celebra in costume nel mare di Crotone: la procura indaga per offesa alla religione, poi il sacerdote chiede scusa sul sito della parrocchia, ma precisa ''una signora mi ha ringraziato dicendomi che si era sentita raggiunta dalla Chiesa anche in spiaggia'' di Giuliano Guzzo La vicenda di don Mattia Bernasconi, il sacerdote milanese che domenica scorsa ha celebrato l'eucaristia in mare - su un materassino - in località Alfieri (Crotone), nelle scorse ore ha conosciuto almeno due elementi di sviluppo. Il primo è dovuto ad una iniziativa della procura crotonese che, dimostrando più tempestività delle autorità ecclesiali, ha deciso indagare il sacerdote della parrocchia di San Luigi Gonzaga di Milano per offesa ad una confessione religiosa. Il secondo dato di novità sono invece le scuse del sacerdote in questione che, sul sito della parrocchia, ha pubblicato una lettera in tal senso. «Carissimo Arcivescovo Mario, carissimi vicari episcopali, carissimi confratelli, carissimi fratelli e sorelle nella Fede», è l'esordio della nota, «vi scrivo poche ma sentite righe per chiedere scusa per la celebrazione di domenica 24 mattina nelle acque del mare di Capo Colonna». Tutto bene, dunque? Non proprio, e non solo perché, come si diceva poc'anzi, l'episodio rischia di avere conseguenze giudiziarie. Infatti, il sacerdote, formulando le sue scuse, ha da una parte derubricato tutto ad una leggerezza («mi rimprovero forse un po' di ingenuità») - quasi avesse posteggiato l'auto in doppia fila, anziché mancare gravemente di rispetto alla Presenza reale di Gesù nell'eucaristia - e, dall'altra, ha aggiunto una considerazione spiazzante. «Però una signora mi ha ringraziato», ha replicato don Mattia, «dicendomi che si era sentita raggiunta dalla Chiesa anche in spiaggia». Un pensiero che andrebbe benissimo se di mezzo ci fosse l'attività di vendita di birra o di cocco fresco; ma un sacerdote - anche se forse il concetto non è forse più così chiaro - è qualcosa di leggermente diverso dall'uomo del «cocco bello». Soprattutto, la Santa messa è qualcosa di anni luce diverso da un semplice intrattenimento in salsa religiosa, da allestirsi dove capita. Peccato, pure qui, che però il significato originale della celebrazione della liturgia si sia perso spesso di vista in favore di degenerazioni sconcertanti. Dinnanzi a tutto questo, amareggia ancora più un fatto: il debutto della messa sul materassino gonfiabile era stato in qualche modo previsto. E non l'anno scorso, ma decenni or sono quando l'allora cardinale Joseph Ratzinger, intervistato da Vittorio Messori in un libro che fece epoca - Rapporto sulla fede (1985) - ebbe a rammentare: «La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro». Ora, perché sono significative tali valutazioni? Per un motivo semplice: pur togliendo le parole, tanto è grave, il caso del sacerdote che arriva a dire messa sul materassino gonfiabile non è il problema, bensì la più estrema conseguenza di un problema. Che è quello di celebrazioni improvvisate, disordinate e, in definitiva, della totale mancanza di consapevolezza di che cosa sia l'eucaristia, anzi di Chi sia. A non saperlo, non è una novità, sono anzitutto milioni di fedeli ogni domenica, non c'è dubbio. Il punto è che, se ad istruire e a formare questi stessi fedeli, sono poi pastori che a loro volta preferiscono il mare all'altare, stiamo freschi; e in tutti i sensi, anche se purtroppo la cosa è ben poco consolante. Nota di BastaBugie: Stefano Chiappalone nell'articolo seguente dal titolo "La liturgia annega nel mare di Crotone" spiega che la Messa celebrata in acqua, con il celebrante in costume e usando un materassino come altare, è il culmine di decenni di sperimentazioni in cui ciascuno si sente padre-padrone del culto, da manipolare a piacere, nell'indifferenza di una gerarchia che sanziona soltanto la Tradizione Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 luglio 2022: Le foto che stanno facendo il giro del web parlano da sole: una Messa in mare utilizzando un materassino come altare, con tutti i presenti in costume, compreso (ovviamente) il celebrante. A che pro? Nel corso dei decenni le hanno tentate tutte per mostrare una Chiesa "accattivante" (o semplicemente modaiola), ma a don Mattia Bernasconi va riconosciuto senz'altro il "merito" di aver superato tutti gli altri, buttando - letteralmente - a mare quel che resta della sacralità del culto cattolico ma anche del buon senso. La bizzarra liturgia è avvenuta al termine di un campo di volontariato a Crotone, organizzato da Libera (l'associazione fondata da don Luigi Ciotti). Qui il giovane sacerdote ambrosiano, viceparroco della Comunità Pastorale San Luigi Gonzaga di Milano, ha portato i suoi ragazzi a trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine dei quali, essendo domenica, si doveva pur onorare il giorno del Signore. Ma dove? In chiesa sarebbe parso troppo scontato: «Avevamo scelto una pineta di un campeggio ma era occupata da un'altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo scottati», riferisce il sacerdote. Il diritto canonico sembrerebbe pensarla diversamente: «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro [cioè, in chiesa], a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso» (Can. 932 §1). Ci sarebbe da dire sia sul luogo «decoroso» (che dovrebbe significare anche: adatto all'azione sacra), sia sulla «necessità»: possibile che non ci siano chiese a Crotone? Immaginiamo che non fossero raggiungibili facilmente dall'allegra brigata costringendola a "improvvisare"... però «il sacrificio eucaristico si deve compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del corporale» (ivi, §2). Almeno un tavolo, non un materassino! E perché in mezzo all'acqua invece che sulla riva, non avranno mica naufragato? La mobilità dell'altare "aquatico" non avrà forse favorito la dispersione di frammenti? E come sarà andata per la comunione? La sacra particola avrà cominciato a sciogliersi sulle mani probabilmente bagnate... Senza contare la possibilità che un'onda anomala travolgesse l'anomalo altare con tutto il Corpo e Sangue. Se in contesti drammatici sacerdoti e fedeli sono stati costretti a celebrare con mezzi di fortuna, qui non siamo in un campo di concentramento, né in guerra, per cui l'unica «necessità» ipotizzabile è l'insopprimibile smania di protagonismo che da decenni spinge il clero a escogitare infinite variazioni di quella lex orandi che dicono sia e debba essere unica, ma invece si rivela di fatto una, nessuna, centomila. La "Missa aquatica" di Crotone è la vetta (o l'abisso?) di una liturgia concepita come campo di battaglia in cui "vince" chi la inventa più grossa, annegando - è il caso di dirlo - l'unico vero Protagonista. Ancora una considerazione, sul piano più laico: immaginereste un giudice che, spinto dalla calura e dal desiderio di mostrarsi cool, decidesse di tenere un processo in spiaggia, col costume invece della toga? O un giornalista che trasmettesse il telegiornale a bordo piscina? Qualunque sia l'ambito, nell'esercizio delle proprie funzioni ciascuno tende a presentarsi in modo professionale. Ne va della serietà di ciò che sta compiendo. Non dovrebbe valere, a maggior ragione, per chi compie la più elevata delle funzioni, la più sacra delle azioni? A meno di non ridurre la Messa a un gioco di società... Il tutto con un sottinteso senso di "impunità", sapendo di poter stravolgere il mistero affidato loro, ben sapendo di non rischiare nulla (curioso paradosso, dopo un campo sulla "legalità": vale solo per le norme civili, mentre il Corpo di Cristo si può manipolare a piacimento?). Di certo il comunicato della diocesi di Crotone («è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche») non basterà a dissuadere il don Mattia di turno dal presentare il proprio numero sulla scena del cabaret liturgico, mentre gli unici a subire sanzioni concrete sono quei sacerdoti che celebrano con pietà e riverenza secondo un rito usato per secoli nella Chiesa. La Messa di don Mattia è in realtà l'epifania della "pastorale della spoliazione", che credeva di togliere orpelli e ha finito per perdere di vista la sostanza. Pur di "avvicinare" la gente (che non si è avvicinata affatto) alcuni chierici hanno iniziato spogliando gli altari. Poi hanno ridotto i paramenti, limitandosi a camice e stola, talvolta soltanto la stola. Infine, sono rimasti in mutande, pardon, in costume. Sarà stato, almeno quello, del colore liturgico giusto?
    12m 48s
  • Non lasciamo che la Quaresima passi invano

    1 MAR 2022 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3631 NON LASCIAMO CHE LA QUARESIMA PASSI INVANO Digiuno, preghiera, carità: alcuni consigli pratici per rinunce e propositi per vivere bene questo momento di grazia di don Stefano Bimbi Se a un fedele che va alla Messa o a un ragazzo che frequenta il catechismo chiediamo di dire, magari nell'ordine, i dieci comandamenti probabilmente avrà qualche difficoltà. Eppure in confessione dobbiamo accusarci dei peccati mortali e allora ci si chiede come possa farlo chi non sa nemmeno elencare i comandamenti. Se poi chiediamo a chi va a confessarsi se conosce i precetti generali della Chiesa, forse avremo delle brutte sorprese. Può darsi che nemmeno sappia che sono cinque. Eppure anche questi sono obbligatori per tutti sotto pena di peccato mortale e quindi, al pari dei comandamenti, da confessare in caso di mancato adempimento. Eccoli dunque così come sono formulati nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate [per l'assoluzione del precetto vale anche la Messa del sabato pomeriggio, anche se è meglio partecipare la domenica, giorno del Signore, n.d.A.] e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni; confessare i propri peccati almeno una volta all'anno; ricevere la Comunione almeno a Pasqua; astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa; sovvenire alle necessità materiali della Chiesa, secondo le proprie possibilità. DIGIUNO E ASTINENZA In vista della quaresima vediamo di approfondire almeno il quarto precetto il quale afferma che il cristiano deve "astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa". Appare innanzitutto opportuno precisare il contenuto di questo precetto alla luce del documento del 1994 della Conferenza Episcopale Italiana "Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza" che contiene al numero 13 alcune disposizioni normative, tuttora vigenti. La legge del digiuno "obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera". Ovviamente questa è la forma minima di digiuno. Come però è obbligatorio confessarsi una volta all'anno, ma ovviamente ciascuno capisce bene che è molto salutare ricevere l'assoluzione dai peccati molto più spesso, così anche il digiuno può e deve essere adeguato al cammino spirituale e alla salute del penitente. Insomma fare digiuno totale dal cibo nei giorni previsti è possibile a tutte le persone adulte e in buona salute fisica. La legge del digiuno obbliga dai diciotto ai sessanta anni e deve essere osservata il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo (facoltativamente estendibile anche al Sabato Santo). Per il rito ambrosiano il digiuno il primo venerdì di quaresima sostituisce quello del Mercoledì delle Ceneri. La legge dell'astinenza, che obbliga dai quattordici anni in poi, "proibisce l'uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che (...) sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi". L'astinenza "deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità" (ad esempio: il 19 marzo, San Giuseppe e il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione). Inoltre l'astinenza dalle carni e dai cibi ricercati e costosi deve essere osservata tutti i venerdì dell'anno, ma fuori dalla quaresima può essere sostituita da altra rinuncia a scelta del fedele. Il documento CEI ricorda infine che "dall'osservanza dell'obbligo della legge del digiuno e dell'astinenza può scusare una ragione giusta, come ad es. la salute". Quindi i malati o coloro che devono fare lavori estremamente faticosi possono essere dispensati dalle penitenze. Infatti, a norma del canone 1245 del Codice di Diritto Canonico "il parroco, per una giusta causa, (...) può concedere la dispensa dall'obbligo di osservare il giorno di penitenza, oppure commutare in altre opere pie". In passato i matrimoni erano vietati in quaresima, ma questo divieto non è più in vigore. Questa proibizione risultava dai precetti generali della Chiesa e, quindi, la Chiesa come ha il potere (datole da Cristo) di introdurre dei precetti, ha anche il potere di modificarli o cancellarli. Invece la Chiesa non può cambiare i dieci comandamenti che sono stabiliti da Dio stesso. Nessun Papa potrà, ad esempio, rendere lecita l'uccisione dell'innocente o modificare l'indissolubilità del matrimonio. RINUNCE E BUONI PROPOSITI Infine occorre ricordare che in quaresima siamo invitati a fare delle rinunce e dei buoni propositi. Perché? Ci basti pensare all'anno scorso: la quaresima è stato un periodo speciale oppure ci è capitato di arrivare a Pasqua fiaccamente e, soprattutto, senza che questo periodo abbia minimamente influito nella nostra vita? Spesso ci poniamo un obiettivo (ad esempio: dimagrire oppure ottenere un risultato lavorativo, scolastico o sportivo) e facciamo degli sforzi per riuscire in ciò che ci preme realizzare. Perché quando si parla di Dio o del cammino di santità lasciamo al caso o all'improvvisazione? Per coloro ai quali interessa davvero fare qualche passo avanti ci viene incontro la Chiesa con i suoi materni consigli per questo periodo: digiuno, preghiera, opere di carità. Nulla di nuovo, visto che già i Padri della Chiesa nei primi secoli avevano caro questo trinomio. Innanzitutto il digiuno. Nella società dove il superfluo appare necessario va senza dubbio recuperata una libertà interiore con una maggiore sobrietà di vita. Perché allora non rinunciare a qualcosa che ci piace, ma che non è assolutamente necessario? Non pensiamo solo al consumo esagerato di cibo, ma anche, a titolo di esempio, a forme smodate e non rilassanti di divertimento, acquisti di indumenti e cianfrusaglie superflue, uso eccessivo di cellulare, televisione o internet, ecc. Magari lasciare un giorno alla settimana il cellulare a casa può sembrare impossibile da attuare, ma passato l'iniziale smarrimento ci accorgeremo che possiamo anche farne a meno. Del resto per quanto tempo gli uomini sono vissuti senza cellulare? E stiamo parlando di appena una ventina di anni fa... C'è da precisare che la rinuncia va fatta per qualcosa di lecito, non di illecito (bisogna smettere di bestemmiare sempre non solo in quaresima) e inoltre si sospende la domenica in quanto la domenica è il giorno del Signore e si ricorda la risurrezione di Gesù: è quindi un giorno di festa (anche in quaresima) e non si può fare penitenza in un giorno di festa. Ecco quindi perché la quaresima deriva il nome dal numero quaranta, ma questi sono i giorni di penitenza, non la durata totale (che comprendendo le domeniche è dunque più lunga di quaranta giorni). Ovviamente quanto risparmiato con la rinuncia va poi destinato ai poveri, altrimenti rischia di diventare ascetismo autocompiacente; insomma non vale evitare la cioccolata o il caffè in quaresima pensando: "Almeno dimagrisco oppure economizzo dei soldi per poi andare a cena fuori quando voglio!". PREGHIERA E OPERE DI CARITÀ Il secondo impegno quaresimale è la preghiera. Quante volte ci capita di dire di non avere tempo per pregare! Eppure, come in tutte le cose che ci interessano veramente, basta fare un po' di spazio nella giornata. Perché non riscoprire il rosario, l'angelus a mezzogiorno o la Santa Messa, magari quotidiana? Oppure perché non leggere ogni sera, o almeno un giorno alla settimana, un libro di un santo oppure sulla vita di un santo? Un buon libro di meditazione è ad esempio "La filotea" di s. Francesco di Sales. Oppure perché non suggerire in famiglia, se non si fa già ordinariamente, la preghiera prima di ogni pasto unita alla proposta di spengere la televisione mentre si mangia per poter parlare in tutta calma? Infine il terzo impegno da prendere con serietà sono le opere di carità. Non si tratta di fare l'elemosina, ma di amare. Le sempre valide opere di misericordia corporali e spirituali possono darci molte indicazioni. E non bisogna per forza pensare alle persone sfortunate che stanno a migliaia di chilometri da noi; impariamo a vedere i bisogni materiali e morali di chi soffre intorno a noi. E poi perché non dedicare più tempo ai figli? Oppure perché non andare a trovare persone anziane o sole? Ovviamente le rinunce quaresimali vanno concordate con il padre spirituale il quale, conoscendoci, saprà indirizzarci meglio di noi stessi nel cammino di purificazione necessario alla nostra anima per liberarci dalla zavorra del peccato e dei vizi che si sono radicati in noi. Lasciamoci guidare dal Signore e mettiamoci tutto il nostro impegno affinché non accada che, anche quest'anno, la quaresima passi invano! Nota di BastaBugie: ecco un elenco di rinunce quaresimali tra le quali puoi scegliere quelle più adatte alla tua condizione di vita. Qualunque cosa farai durante questa Quaresima falla nel segreto perché tu non perda la tua ricompensa. Gesù ci ha insegnato infatti che se gli altri la sapranno, perderemo la nostra ricompensa, mentre se la faremo nel nascondimento il Padre Nostro che vede nel segreto ci ricompenserà. Rinunce per tutti: - Lavarsi le mani con l'acqua fredda - Rispettare con l'auto i limiti di velocità - Non salare il proprio cibo - Mangiare il pasto freddo (basta metterlo in frigo 1 minuto) - Non lamentarsi mai della qualità e della quantità del cibo che ci è stato preparato - Dormire senza guanciale - Quando la sera si torna a casa, parcheggiare l'auto distante almeno 500 metri da casa - Non mettere piede nel proprio locale preferito (pub, bar, negozio di vestiti, ecc) - Non ascoltare musica in casa (oppure in auto) - Alzarsi sempre ad una certa ora prestabilita (es. alle 7.00, o alle 7.30 o alle 6.30) anche se non si ha niente da fare (e quindi si potrebbe dormire di più) o anche se la sera si è fatto tardi
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  • A Dio puoi chiedere tutto, ma non puoi pretendere nulla

    28 SEP 2021 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6739 A DIO PUOI CHIEDERE TUTTO, MA NON PUOI PRETENDERE NULLA di Pierfrancesco Nardini C'è una specie di cortocircuito che colpisce alcuni nel momento del bisogno (fisico, lavorativo, famigliare, di qualunque tipo). Senza voler entrare nel foro interno delle persone, c'è chi prega Dio solo in quei momenti e sembra che lo faccia quasi pretendendo da Lui quel che si chiede. Per capirci meglio: si chiede a Dio una cosa (ad esempio di essere liberati da una situazione dolorosa) non solo dando per scontato che sia la soluzione giusta per loro, ma pretendendo che Lui gliela dia, altrimenti... "Dio è cattivo" [leggi la nota in fondo a questo articolo]. Due premesse, intanto. Prima: è ovvio che sia cosa buona pregare in determinate situazioni (c'è anche chi, nella stessa condizione, bestemmia o non si rivolge a Dio); pregare però Dio, ricordarsi di Lui, solo nel momento del bisogno, fa sì che Lo si trasformi in una "macchinetta automatica di grazie"... Seconda premessa: pregare senza affidarsi, ma addirittura pretendendo, non è esattamente un "buon metodo". Dalle premesse si arriva velocemente alla nota dolente (sempre rimanendo, sia chiaro, nel foro esterno delle persone): si scorge in questo una mancanza di fiducia in Dio, una non reale volontà di chiedere aiuto a Dio. Sembra più una pretesa verso di Lui. Se chiedo aiuto ad un amico, senza però essere aperto ad un suo eventuale parere sulla validità della cosa, non sto realmente chiedendo aiuto, piuttosto sto solo chiedendo una "mano" materiale nel fare quel che voglio. Così, se mi rivolgo a Dio pretendendo che Lui mi mandi quel che voglio, non sto realmente chiedendo aiuto. Se l'amico potrebbe rendersi conto dell'inefficacia di una soluzione, Dio, onnisciente, sa per certo quel che per noi è davvero salutare. E questo non necessariamente coincide con quel che vogliamo... Il cortocircuito sopra accennato è quindi chiedere aiuto a Dio e poi prendersela con Lui se non ha fatto esattamente quel che abbiamo chiesto (proprio come prendere a pugni una macchinetta che non ha fatto uscire il prodotto richiesto). L'uomo, nella suo essere finito, ha una visione limitata della realtà, anche delle questioni che lo riguardano (a volte non si è lucidi, perché coinvolti, e non si indovina la scelta delle cose da fare). Quel che vogliamo per noi stessi non è sempre il reale bene (spesso perché ne vediamo solo l'effetto immediato, ma non quello futuro). Dio conosce invece tutto, anche e soprattutto ciò che accadrà in futuro e le conseguenze di ogni scelta, fatta o ipotizzata. Non si deve mai dimenticare, tra l'altro, che per Dio l'unico vero male è quello morale, ossia il peccato, e il bene supremo è la salvezza delle anime. Potrebbe dunque sembrarci che non ci aiuti, non accolga le nostre preghiere, quando invece avrà fatto per noi molto di più (perché ad esempio sa che a fronte di un disagio attuale il bene maggiore lo otterremo più in là, in altro modo). Sant'Agostino ha scritto che "chi con fede prega per le necessità della vita presente, con uguale misericordia può essere esaudito e non esaudito. Poiché il medico sa meglio del malato quello che fa bene all'infermo" (In libro Senten. Prosperi). Affidiamoci dunque realmente e sinceramente a Dio, combattendo ogni giorno per rimanere il stato di grazia. Abbiamo la certezza che Lui ci aiuterà. Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Piefrancesco Nardini, nell'articolo seguente dal titolo "Perché ce la prendiamo con Dio, se fa tutto per il nostro bene?" spiega perché Dio non è mai cattivo, nemmeno quando non fa quello che a noi sembra necessario. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 maggio 2021: "Mala tempora currunt". Quante volte abbiamo sentito questa esclamazione! A volte anche in riferimento a cose non relative alla Chiesa. Nella norma però è oramai frase strettamente legata alla crisi nella Chiesa e agli episodi frutto di questa. Si può però ben estendere anche ad altre situazioni, come ad esempio al modo in cui molte persone ai nostri giorni reagiscono alle vicissitudini della vita. C'è un'altra frase che mi è sembrata sempre efficace per far pensare: "Te la prendi con Dio per il male che ti capita e non lo ringrazi mai per il bene?". Purtroppo è proprio così. Sempre più spesso. Quante volte abbiamo sentito di chi ha "protestato" (eufemismo!) con Dio per qualche evento negativo, come se Dio stesso glielo avesse mandato, e mai è capitato invece di sentire quella stessa persona ringraziarlo per qualche cosa bella? E quante volte abbiamo sentito persone dire che "ce l'hanno con Dio" per una disgrazia, un male? Se ci pensiamo un attimo, questa cosa (l'avercela con Dio) è una soluzione facile e comoda. Sì, facile e comoda. In questo modo, infatti, non ci si deve sforzare ad esempio a cercare proprie eventuali responsabilità o a perdonare o a cambiare la propria vita o il proprio modo di pensare (e tanti altri esempi), ma, anche, si trova il capo espiatorio per tutto... Se la colpa è di Dio... Per questo possiamo usare la frase "mala tempora currunt" in questo contesto. Non possono essere che "mala tempora" quelli in cui sempre più persone assumono questo atteggiamento verso Dio... Eppure la Sacra Scrittura ci insegna a prevenire simili pensieri. La sempre più diffusa ignoranza delle nozioni della fede e l'indifferenza dilagante verso Dio, però, nascondono agli occhi del mondo quelle verità e quegli insegnamenti tanto semplici quanto fondamentali. Il salmo 18, 7 è uno di questi. Analizziamo velocemente le sue parole e ci renderemo conto della sua chiarezza. Nella sua semplicità questo salmo ci ricorda che Dio è in ascolto. Se il Figlio ci ha raccomandato di chiedere perché solo così ci sarà dato (Lc 11, 9), volete che non sia così? Quale atteggiamento deve avere, dunque, l'uomo verso Dio? Soprattutto in situazioni difficili? Quello della fiducia, dell'affidamento, del confidare. In un momento di angoscia (per un dolore, per un problema, per una malattia, per qualsiasi cosa) bisogna subito invocare Dio, gridare al Signore non parole di rabbia e di odio, ma richieste di aiuto, di grazie, di sostegno. Lui è sempre in ascolto, dal suo "tempio" ascolta la nostra voce, alle sue orecchie le nostre grida arrivano sempre. Non dubitiamo mai di questo. Formarsi è importante. Nel Catechismo di San Pio X leggiamo che «Dio non può fare il male, perché non può volerlo» in quanto Bontà infinita. Significa quindi comprendere la differenza tra male morale (il peccato, ossia il vero male, intollerabile da Dio) e male fisico (frutto del peccato originale), che quest'ultimo Dio lo può tollerare o volere "indirettamente" «per lasciar libere le sue creature», in quanto Dio stesso «ricava il bene anche dal male» (cit. n. 11 Catechismo) e quindi che, se mai il Signore tollera un male che ci capita, lo fa perché sa che da quel male ci arriverà un bene (altro che cattivo, quindi...). Qui rientrano anche i castighi di Dio, che sono sì possibili, ma che rientrano sempre nella prospettiva dell'amore, cioè della salvezza dell'anima. Non si può scendere nella spiegazione approfondita di questi punti, ma, per esperienza, sappiamo che, se ci si forma, li si imparano e, soprattutto, li si comprendono, con la conseguenza di non arrivare ad "avercela con Dio". Per questo preghiamo la Vergine di starci ancora più vicina nei momenti bui della nostra vita, così da evitare di rendere ancora più amari quei momenti con slanci rabbiosi verso Chi non lo merita, e di darci la forza di conoscere sempre più e sempre meglio la nostra fede, così da avere uno strumento unico nella nostra strada verso la santificazione.
    10m 58s
Gesù Cristo, unico salvatore del Mondo, continua ad agire oggi attraverso la sua Santa Chiesa
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